12 aprile 2010

DA QUI AL SINDACO


Appena letti i risultati ufficiali delle elezioni, il candidato del Pd in Lombardia, Penati, muovendosi tra tante rovine, ha cercato di intravvedere un filo d’azzurro all’orizzonte. Così, come gli era capitato dopo le provinciali (quando venne scalzato da Podestà), ha voluto rincuorarci mostrandoci il ridotto distacco tra destra e centrosinistra a Milano. Con la prudenza che tutti gli riconosciamo: non siamo ancora a Palazzo Marino, ma possiamo arrivarci, bisogna lavorare per tempo. Per tempo, appunto. Lo ha ripetuto un paio di giorni fa anche il capogruppo in consiglio comunale per il Pd, Pierfrancesco Majorino: fare presto e lavorare. Aggiungendo un passaggio assai importante: le primarie. E’ evidente che le primarie non rallentano proprio nulla. L’importante è non organizzarle tirati per i capelli un mese prima del voto… Le primarie non sono la medicina di una democrazia zoppa, ma sono un’occasione per ravvivare la discussione e l’interesse attorno ai problemi della città, muovendo chi ha a cuore i problemi della città.

Vorrei sentirmi d’accordo con Penati, nell’ottimistica valutazione del voto. Lo sono quando ci spiega che “serve un movimento civico che accenda i riflettori su Milano e che faccia emergere un grande progetto per la città”. Per ora manca tutto. Sono naturalmente d’accordo con Majorino a proposito di urgenza e di primarie.

Finora però, a ogni scadenza elettorale, con Formentini, da Formentini ad Albertini, da Albertini alla Moratti, mi pare che si siano seguite strade un po’ diverse, che si potrebbero riassumere nella disperata ricerca all’ultimo respiro del candidato d’eccellenza, estratto come il coniglio dal cappello del mago di turno, bocciato poi da qualcuno, indignato perché non era stato avvertito per tempo, per poi ripiegare su chi ci stava, spesso vittima sacrificale di una sconfitta annunciata. Non faccio nomi, ma sarebbe facile ricordarli. Anche quelli dei desaparecidos (malgrado le promesse di lungo impegno nelle battaglie comunali). Taccio di alleanze e “progetti”.

Se si cerca il candidato di gran fama, di straordinaria caratura politica, di calorosissimo, intimo rapporto con la città, pronto a presentar programmi suggestivi, telegenico, trascinatore d’eccelso carisma, esente da tangenti, escort e cose affini, insomma il supercandidato già confezionato e possibilmente, magari, già vittoriosamente votato, l’eletto per definizione, allora tanto vale rinunciare. Ma, avviandoci subito, cioè subito, alla ricerca, immagino che sarebbe possibile fare in modo che apparissero alcuni competitori mediamente intelligenti, mediamente colti, mediamente dotati di parola, ciascuno con un piccolo programma (due o tre cose, non di più) e con la disposizione a discuterlo, che sarebbe possibile proporli attraverso il varco delle primarie e infine accompagnare il prescelto nella campagna elettorale, aiutandolo nella riaffermazione di un progetto semplice semplice e condivisibile dal maggior numero possibile di forze o forzine politiche, di club e associazioni, di rappresentanze sindacali, due o tre impegni, che derivino da un’idea o da un auspicio centrali: che la città sia per i cittadini, per chi abita e per chi lavora, non solo un portafoglio gonfio per alcune categorie baciate dalla buona sorte e dal sindaco Moratti. Rivolgendosi a tutti nel segno dell’apertura, facendo appello all’intelligenza (chissà) di quanti si riconoscono sul fronte dell’opposizione nei confronti di questa ventennale amministrazione albertinmorattiana. Bisognerebbe fare intendere e che i più intendessero che cosa è meglio e che cosa è peggio e che alcune regole elementari della politica venissero rispettate: cogliendo l’esempio della consultazione appena chiusa, i cosiddetti “grillini” della Val di Susa avrebbero dovuto capire che a proposito di alta velocità sarebbe stato meglio discutere con Mercedes Bresso piuttosto che con le brigate verdi di Cota. Impareranno.

Riassumendo, mi pare d’aver sostenuto argomenti assai banali: che si faccia presto, che si discuta alla luce del sole, che si abbandonino i salottini più o meno nobili, che si lascino le cene del lunedì agli ospiti di Arcore, che si rompa con il rituale tramestio interpartitico. Meglio le piazze, i banchetti, gli auditorium, le sezioni purchè aperte.

Poi, se volete un candidato, eccolo… Non sono io. Arrischio: per me è don Gino Rigoldi, uno delle persone migliori di Milano, una bella faccia, un’intellettuale pronto a misurarsi con la concretezza del fare, conosce la città come pochi, conosce il male della città e sa pensare al bene, sa parlare, ha un carisma straordinario, vive con la gente, sa che cosa significa responsabilità. E’ un prete, è un democratico. Potrebbe rappresentare la società civile, quella buona. Non dovrebbe sventolare bandierine di partito. Immaginate don Gino sindaco di Milano, rinfrescare la tradizione di una comunità solidale che progredisce insieme, cancellando spartizioni di mafie e mafiette, ruberie di amici e parenti, regali di famiglia.

 

Oreste Pivetta


 



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