26 novembre 2020

QUESTIONI DI SCALA: L’ILLUSIONE DELLA CITTÀ DEI 15 MINUTI

Non lo sarà mai per tutti e accentuerà le disuguaglianze


L’dea della città in 15 minuti sembra essere più un’utopia o uno slogan. Riguarderà, se mai si realizzerà, solo i capoluoghi dimenticando l’hinterland per non parlare della città metropolitana

peverini chiaro 00

Durante la prima fase del Covid19 e la reclusione domestica, molte previsioni sono state fatte sul futuro della città in relazione a condizioni – lavorative, sanitarie, relazionali – immaginate in via di mutazione nell’epoca post-pandemica e a una crescente percezione di “insalubrità” della città. Alcuni osservatori italiani hanno previsto una “crisi urbana”, con le grandi città in via di svuotamento in favore dei piccoli borghi o nelle località del Sud Italia. Altri si sono limitati a prevedere una variazione nelle preferenze, ad esempio che la domanda di casa privilegerà tagli di alloggi più grandi, mentre altre posizioni sono più scettiche.

Tra le risposte politiche a questa presunta crisi dell’urbano, è spiccata nel campo progressista quella di Anne Hidalgo, sindaco di Parigi, che ha proposto un progetto urbanistico definito “città del quarto d’ora”: l’obiettivo di avere una città in cui i cittadini possono raggiungere tutti i servizi, dalla cultura allo shopping, in 15 minuti a piedi o in bicicletta. Pur sembrando un’idea innovativa, è un tipo di risposta urbanistica non nuova a una condizione di insalubrità, che ricorda il paradigma della città giardino.

La della città dei 15 minuti può essere intesa come “l’idea di una unità di vicinato che, al di là dei modelli di pianificazione che hanno guidato lo sviluppo della città, viene riconosciuta in una città densa in cui il gradiente dei servizi di prossimità è un dato già acquisito, da svelare e socializzare”1. Un concetto non nuovo urbanisticamente parlando2, ma soprattutto un concetto che rischia di essere “riduttivo”3 e, come vogliamo mostrare, forse applicabile solo ai centri delle grandi aree metropolitanz

Infatti, nella narrazione della “città del quarto d’ora” si dimentica – o si tralascia volutamente – una questione fondamentale, quella urbana. Cioè, che le dinamiche urbane si esplicano su distanze che vanno ben oltre il cerchio dei 15 minuti e che la città ha di fatto luogo su tempi e spazi ben più ampi che a sua volta sono un prodotto di fenomeni demografici, sociali, economici del fenomeno urbano. E ci porta a chiederci, in fin dei conti: per chi è/sarà la città dei 15 minuti? E chi invece continuerà a vivere la città dell’ora, delle due ore, delle tre ore…?

La città non è solo vicinato

Le dinamiche di mobilità residenziale hanno determinato un cambiamento di scala dei fenomeni urbani che, con la diffusione della casa in proprietà e dell’automobile, sempre più hanno dato luogo a livelli metropolitani o addirittura regionali4. Nella maggior parte delle grandi aree urbane italiane, nel periodo tra il 1971 e il 2011 le città capoluogo hanno perso abitanti (ed esempio: Genova, Milano e Venezia -28%; Torino -25%; Napoli -22%; Bari -12%; Roma “solo” -6%, ma a fronte di un’estensione del territorio comunale molto più ampia), in favore dei comuni di cintura che sono quasi ovunque cresciuti5.

Tra le cause di questo fenomeno, che sono varie, va senz’altro annoverato il peso dei costi abitativi sui redditi. I prezzi di acquisto e i canoni di locazione delle abitazioni erano e si mantengono ben più elevati nei comuni centrali che in quelli esterni, con l’effetto che il “peso” delle spese abitative – la quota di reddito spesa per l’abitazione, o affordability – è elevato.

Uno studio condotto dalla CGIL nel 2015 mostra come i costi abitativi connessi all’acquisto e alla locazione di un’abitazione di 80 mq siano in tutte le maggiori città italiane superiori al 30% del reddito medio (soglia considerata di “disagio abitativo”), con punte che toccano il 50% e che sui bassi redditi sono ancora più pesanti6. Ciò ha spinto (e continua a spingere) le scelte insediative residenziali delle popolazioni a reddito medio e basso verso i comuni esterni, dove i costi abitativi sono più bassi, pur continuando ad avere relazioni quotidiane (di lavoro e di servizi) con la città centrale.

Questo filtering territoriale in base al reddito (filtering down dei redditi bassi verso l’esterno e, in certi casi, filtering up di quelli elevati nella città centrale), oltre a creare divari e segmentazioni territoriali fino ai limiti della segregazione, genera ulteriori aggravi, sia sugli individui che sulla collettività.

Si pensi ai costi di trasporto. Nelle maggiori città, i dati elaborati da Legambiente evidenziano un enorme fenomeno di pendolarismo, persone che ogni giorno entrano nel Comune principale da quelli esterni per ragioni di studio o lavoro7: sono 1,34 milioni ogni giorno a Roma, 650mila persone a Milano, 420mila a Torino, 380mila a Napoli. Grandi “contingenti” di persone che impiegano una parte importante del loro reddito e del proprio tempo nello spostamento quotidiano, che ne riduce la quota di reddito residuo impiegabile nell’acquisto di altri beni e servizi, ma anche il tempo residuo disponibile per altre importanti attività quotidiane (la cura familiare e personale, lo svago, la cultura, ecc.).

Per fare un esempio, nel 2011 mediamente i pendolari milanesi impiegavano quasi 30’ per raggiungere il luogo di studio/lavoro, un quarto dei pendolari tra i 30’ e i 60’ (senza considerare il tempo per accompagnare i figli a scuola)8. Inoltre, mentre le percentuali di spostamento con trasporto pubblico si mantengono sotto il 20% (Milano è la migliore con il 21%), il pendolarismo avviene per lo più tramite mezzo privato. Fiumi di automobili che determinano ulteriori costi sociali e ambientali importanti, che si scaricano sulla collettività e sui territori – sia quelli di origine che di destinazione, e anche quelli attraversati, in forma di traffico, congestione, spese infrastrutturali, incidenti – rendendone le condizioni ulteriormente insostenibili9. E con tassi di motorizzazione molto peggiori rispetto a quelli delle città europee (l’Italia è seconda in Europa con 64,4 vetture ogni 100 abitanti), non solo nelle metropoli ma in tutte le articolazioni territoriali si è determinato un assetto di distribuzione dei servizi, e un relativo stile di vita, assestato sul raggio d’azione territoriale della mobilità motorizzata – si pensi all’avanzata dei modelli del grande centro commerciale e della “strada mercato” sul commercio di prossimità, ma anche all’accorpamento dei servizi, ad esempio ospedalieri e scolastici. Negli hinterland metropolitani e in molti territori interni e dell’“Italia di mezzo”10 si sono così venute a creare estese “periferie funzionali”, in cui il mix di attività, che determina l’“effetto città” e l’urbanità, e in ultima analisi le premesse della città dei 15 minuti, sono completamente assenti11.

La città del quarto d’ora tra ipocrisie e mezze verità: tre questioni

Data la premessa, è possibile affermare che la città dei 15 minuti, almeno in Italia, nasconde almeno tre ipocrisie o mezze verità:

  1. Disuguaglianze e tessuto urbano: le città non stavano bene già prima del Covid. Non erano solamente i quartieri cosiddetti “popolari” a soffrire degrado e povertà ma anche altre parti della città (intesa in senso ampio) da cui giornalmente la gran parte dei cittadini doveva spostarsi verso il luogo di lavoro lasciando i propri figli e cari in strutture (scuole o altri luoghi di assistenza) fatiscenti e in tessuti urbani poveri di opportunità. L’espulsione delle popolazioni a basso reddito dai centri delle città oggi ci appare come qualcosa del passato ma in realtà fermando l’orologio a dicembre 2019 la situazione appariva estrema.
  2. I più importanti centri urbani italiani vivevano una sostanziale vittoria della rendita sia verso studenti e lavoratori sia verso i turisti. In aggiunta alcune periferie avevano avviato una trasformazione sociale simile alle banlieu parigine in cui elevate quote di popolazione anziana convivono con un numero crescente di stranieri. La fotografia dell’Istat al tempo del censimento 2011 delle geografie sociali resta ancora valida con evidenziate le fratture nord/sud e centro/periferia. Per quanto riguarda il ritorno della rendita, definire un limite all’espansione incontrollata degli alloggi turistici non era nell’agenda politica allora e tale sistema avrebbe continuato a sopravvivere per lungo tempo. La città dei 15 minuti era per i turisti o per i cittadini dunque? Nelle aree interne del Paese o nelle periferie e comuni di prima cintura come è possibile applicare la città dei 15 minuti? E chi non vuole vivere in una città dei 15 minuti ha possibilità di non esserne avvolto?
Le geografie sociali nelle città italiane

Le geografie sociali nelle città italiane

  1. La geografia della governance: i 15 minuti non rappresentano alcun confine istituzionale e risultano un sottoinsieme incapace di restituire una governance efficace. L’idea localista, alla base del concetto della città minima, – provocando un arretramento verso la scala locale della pianificazione urbanistica – rischia di mettere ulteriormente da parte la questione fondamentale, ma irrisolta e mai sostanzialmente affrontata, del governo dei fenomeni urbani a scala metropolitana, che è la scala a cui i fenomeni urbani (come la rendita, le mobilità residenziale e i trasporti) avvengono e che è realmente decisiva per la qualità della vita delle fasce medie e basse. Dalla legge n. 7 del 2014 (legge Delrio) in avanti la geografia della governance risulta spesso incoerente e rigida rispetto alla liquidità delle relazioni, dei movimenti e dei “nuovi” sistemi locali del lavoro. Anche il riassetto delle Province ha generato situazioni in cui è sempre più difficile risalire al decisore politico. D’altro canto, a nostro parere la cellula dei 15 minuti non può essere il giusto confine amministrativo.
  2. Una questione di tempo: senza home working non ci saremmo mai potuti ribellare al quotidiano pendolarismo che continuava a rubare tempo alle nostre vite e soprattutto a coloro che, non potendo sostenere i canoni o i mutui dei centri urbani, erano costretti a vivere in periferie o oltre per raggiungere un canone sostenibile. La mancanza di consapevolezza del tempo perso negli spostamenti e nei costi diretti dei trasporti era funzionale al mantenimento di uno status quo che il covid ha spazzato via. Ha posto l’attenzione anche verso il sistema dei trasporti italiano per nulla vicino ai sistemi di mobilità sostenibili che integrano trasporti pubblici a mobilità lenta.
  3. La mancata rivoluzione lavorativa dal lavoro a tempo (o a cottimo nel post covid) al lavoro per obiettivi ha reso ulteriormente evidente l’inconsistenza dell’equilibrio dei trasporti città-periferia e quindi, ancora una volta l’impossibilità di applicare la città dei 15 minuti alla realtà italiana. Infine, i 15 minuti possono risultare molto differenti tra le generazioni. In 15 minuti un anziano quanta strada potrà fare rispetto ad un adolescente? La città dei 15 minuti non sarà mai la stessa per entrambi, il primo si fermerà alla farmacia o al panificio sotto casa mentre il secondo cercherà di arrivare il più in là possibile per trovare una forma qualsiasi di intrattenimento. Trovare un equilibrio tra le due città sarà la sfida del futuro.

Le condizioni urbane sin qui descritte sono il prodotto di decenni di “sviluppo urbano” che si misura sulla rendita e sul valore immobiliare al metro quadro per gli operatori, e sulla promessa di posti di lavoro e oneri di urbanizzazione per le amministrazioni locali. Le quali, in una situazione finanziaria sempre più difficile, dipendono dall’andamento del mercato delle costruzioni e dal consumo di suolo per il pagamento della spesa corrente relativa ai servizi pubblici, e competono al ribasso nel laissez faire urbanistico12. La dispersione urbana che oggi viviamo è il risultato di fenomeni urbani ad ampia scala e di trasformazioni urbane condotte al di fuori di una qualunque logica di sistema e di struttura, e la cosa più urgente da fare, se si vuole favorire una diffusa urbanità. È concentrarsi sul governo del fenomeno urbano alla sua scala territoriale, quella ampia e metropolitana, e non più stretta e locale: il rischio, altrimenti, è di mancare il bersaglio e consegnare al futuro una città ancora più diseguale.

Per chi sarebbe la Milano dei 15 minuti?

Al momento, in Italia l’idea della città dei 15 minuti è spinta soprattutto nel contesto Milanese, dove è stata assunta come centrale nella “Strategia di adattamento” per la fase 2 da parte dell’amministrazione comunale13, e immediatamente rilanciato su molti luoghi di informazione – tra cui anche quelli vicini al mondo dell’immobiliare. In particolare, Scenari Immobiliari ha realizzato un ranking dei quartieri di Milano rispetto alla raggiungibilità di certi servizi in un raggio di 15 minuti, che, come da aspettarsi, vede le periferie in fondo (tranne per la presenza di verde), e premia invece i quartieri semi centrali.14 Una geografia che conferma la sostanziale disuguaglianza territoriale e che, per molti versi, rispecchia la geografia dei prezzi immobiliari e della rendita, nel passato (figura) e nel futuro. E che tralascia ancora una volta tutto ciò che è al di fuori del confine della città amministrata, l’hinterland, ovvero la città dell’ora o più di pendolarismo.

Variazione percentuale dei prezzi per appartamenti nuovi tra il 2006 e il 2016. Fonte: Centro Studi PIM, "Abitare a Milano", 2019.

Variazione percentuale dei prezzi per appartamenti nuovi tra il 2006 e il 2016. Fonte: Centro Studi PIM, “Abitare a Milano”, 2019.

Si pone la questione su chi potrà di fatto permettersi di vivere la città dei 15 minuti, la cui narrazione (che ben si accompagna alle dinamiche del mercato) rischia di diventare un’ulteriore affermazione delle già esistenti disuguaglianze territoriali e delle dinamiche di estrazione di rendita dai quartieri semicentrali. Ma rischia anche – provocando un arretramento verso la scala locale della pianificazione urbanistica – di mettere ulteriormente da parte la questione fondamentale del governo dei fenomeni urbani a scala metropolitana, su cui invece dovremmo puntare tutto.

Marco Peverini e Gianluigi Chiaro

1 Paola Savoldi (2020), Distanziamento spaziale e prossimità dei servizi: verso una commutabilità degli spazi, in Urbanistica Informazioni, n. 287-288, p. 20.

2 https://www.arcipelagomilano.org/archives/57121

3 https://www.arcipelagomilano.org/archives/57036

4 Si veda ad esempio: Alessandro Balducci, Valeria Fedeli, Francesco Curci (2017), Oltre la metropoli. L’urbanizzazione regionale in Italia, Guerini e Associati editore.

5 I dati sono consultabili, ad esempio, navigando nell’atlante web sul sito: http://www.postmetropoli.it/.

6 http://www.cgil.it/cgil_attachments/87425_0_Cgil_StudioCostiCasa_30mar13.pdf

7 Legambiente, Rapporto “Pendolaria”, 2019. link

8 Comune di Milano, settore statistica, Analisi del pendolarismo per studio e per lavoro a Milano, relativo al censimento 2011. link

9 R. Camagni, M. C. Gibelli, P. Rigamonti, I costi collettivi della città dispersa, Firenze, Alinea, 2002.

10 Definizione data dal prof. Lanzani (Politecnico di Milano) a tutti quei comuni che non fanno parte né delle aree metropolitane né delle aree interne. Si veda qui.

11 Per un’analisi dettagliata della questione si veda la ricerca “Demix”. Link

12 P. Pileri, “Suolo, oneri di urbanizzazione e spesa corrente. Una storia controversa che attende una riforma fiscale ecologica”, in Territorio, n. 51, pp. 88-92, 2009.

13https://www.comune.milano.it/documents/20126/95930101/Milano+2020.++Strategia+di+adattamento.pdf/c96c1297-f8ad-5482-859c-90de1d2b76cb?t=1587723749501

14 https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/20_ottobre_02/0203-milano-acorriere-web-milano-cdcdce98-047a-11eb-952f-bb62f0bc5655.shtml



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  1. Giorgio OrigliaAnalisi perfetta e circostanziata del disastro che l'amministrazione pubblica di ogni colore politico ha assecondato sul territorio. Peccato che si concluda con il bel sogno che la stessa amministrazione pubblica possa cambiare qualcosa. Se non l'ha fatto finora... Informandovi meglio sulle esperienze in corso, anche in Italia, ad esempio a Roma, scoprireste che non molto ma almeno qualcosa si può fare per migliorare le condizioni abitative nell'attuale pasticcio urbanistico, che tale resterà per generazioni, partendo ora e dal basso, dai processi di partecipazione, anziché dall'alto
    2 dicembre 2020 • 11:41Rispondi
    • Marco PeveriniGentilissimo Giorgio Origlia, Grazie mille per il commento. Non è un sogno ma una grave e urgente necessità amministrare il territorio alla scala dei fenomeni che vi avvengono. Avrei piacere a conoscere le esperienze a cui si riferisce, le andrebbe di indicarcele con più precisione?
      3 dicembre 2020 • 13:11
  2. JacopoAnalisi molto condivisibile, se la città dei 15 minuti viene pensata nello stato di cose attuale. Tuttavia, secondo me, l'idea della città di 15 minuti dev'essere necessariamente accompagnata da una visione più ampia di trasformazione dell'urbano. Prima di tutto, andrebbero create nuove centralità e aree dense per ridurre i tempi di pendolarismo, e allo stesso tempo si dovrebbe bloccare ogni tentativo di sviluppo volto a produrre maggiore sprawl. In ogni caso, dovrebbero essere portate avanti azioni e politiche volte a ridurre il canone d'affitto e il fatto che ci siano sempre tanti appartamenti vuoti in città. Per questo motivo secondo me la città dei 15 minuti di fondo è per la giustizia sociale ed ambientale. A mio avviso, non pensare ad un simile cambiamento radicale può contribuire a perpetuare l'attuale stato di cose e continuare a produrre i soliti problemi ambientali e sociali. Per esempio, è importante ricordare che nelle aree suburbane non vivono solo persone che non possono permettersi di vivere in città, ma anche individui che scelgono la villetta monofamiliare anziché l'appartamento in una zona densamente abitata, e allo stesso tempo pretendono di raggiungere la città in auto nel minor tempo possibile. Sarò impopolare, ma il fatto che questo comportamento rappresenti una libera scelta di alcuni individui non lo ritengo una buona ragione per garantirlo come se fosse un fatto di giustizia sociale, in quanto ne rimette la collettività - in particolar modo i poveri che vivono negli ambienti urbani invivibili perché l'automobile domina. Tuttavia, è innegabile che chi sceglie di vivere in una villetta nell'hinterland lo fa anche per avere accesso al verde, cosa che spesso manca a Milano. Però proprio per questo l'obiettivo della città dei 15 minuti è anche quello di aumentare il verde urbano, trasformando la città in un posto vivibile che non costringa le persone a desiderare la villetta per avere accesso al verde.
    2 dicembre 2020 • 13:55Rispondi
    • Marco PeveriniGentilissimo Jacopo, Si potrebbe anche essere daccordo che "di fondo" sia un'idea giusta, dal punto di vista sociale ed ambientale, ma a mio parere bisogna guardarci dentro (chi la propone) e fuori (quali condizioni ci sono per applicarla). In generale, è inquietante l'allineamento sull'idea della politica locale e del mondo dell'immobiliare. Il sospetto è che i quartieri dei 15 minuti saranno anche i quartieri dei 3-5000 euro al metro quadro, e che alla fine se li potranno permettere in pochi, mentre tutti gli altri andranno fuori dalla città amministrativa, continuando a ingrassare lo "sviluppo urbano" fatto di villette e quartieri dormitorio e a ingrandire il consumo di suolo e la congestione veicolare. Quindi come paradigma urbanistico rischia di sviare totalmente l'attenzione (e gli investimenti) dalla scala più importante dei cambiamenti urbani, quella metropolitana, che come lei sottolinea andrebbe governata con più decisione.
      3 dicembre 2020 • 13:22
  3. Silvana PulcinellaBella l'idea di una cittá a portata di 15 minuti. Bello pensare a questa possibilitá. ma ... 15 minuti sono il nulla in una grande cittá per: andare al supermercato andare in banca andare a scuola andare dal medico andare a casa di un amico insomma ...utopia! Quanto sopra per fare esempi spiccioli ma ben concreti per la stragrande maggioranza dei cittadini. E se poi abiti "da povero can" nelle periferie abbandonate, i 15 minuti sono favole da ricchi. Si potrebbe obiettare che non ci sono trasformazioni sociali, economiche, psicologiche, culturali senza qualche forma di utopia iniziale. E allora si accolga questa utopia ma la si alimenti dentro le realtá cosí composite e complesse della vita in una grande cittá. Come ? Iniziando con un passo alla volta ma in modo fermo e determinato, a scardinare leggi farraginose e a liberare tutto l'armamentario ideologico ed economico su cui poggiano. Facile ? No affatto. Possibile ? Sí certamente.
    4 dicembre 2020 • 14:28Rispondi
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