5 aprile 2010

OLTRE LA CINTA DAZIARIA: MILANO DOV’E’?


 

L’idea di Arcipelago di ragionare sulla “ricchezza della città” rimanda intanto a un semplice interrogativo: la città dov’è? Dove inizia e dove finisce? Per valutare quali e quante ricchezze, ed anche purtroppo carenze e mediocrità, vi sono contenute è infatti necessario definire il contenitore.

Qui la discussione rischia di arenarsi subito perchè l’interpretazone prevalente della “città infinita” porta alla resa di fronte ad una realtà apparentemente indefinibile. Poiché la città si propaga verso la Svizzera conviene accontentarsi di una governance fluida, limitarsi a labili intese tra gli enti esistenti, affidarsi alle virtù magiche della “rete”.

Tuttavia la città infinita, che è il prodotto e non la causa del mancato governo strategico del territorio, copre la carta geografica “fisica”, distinta dalla carta “politica” che segna le frontiere e le rispettive pertinenze variamente colorate. Chiaramente la carta politica muta con gli eventi della storia che, mediante guerre e armistizi, annessioni e secessioni, hanno di volta in volta fissato “arbitrariamente” i diversi confini. E’ altrettanto vero che la globalizzazione del presente secolo ha travolto molta parte dei confini tradizionali. Questo fenomeno però riguarda, per così dire, il software del sistema, ovvero la mobilità delle persone e delle merci nonché la diffusione di beni immateriali. Diverso il dicorso per l’hardware, ossia la base fisica costituita dal territorio e dalle restanti risorse naturali idriche, energetiche, atmosferiche (guarda caso i quattro elementi empedoclei).

Ora se a livello del software non è dannoso e talvolta vantaggioso – qui le scuole di pensiero hanno ampia possibilità di confronto – lasciar fare alla “mano invisibile” del libero mercato non altrettanto si può dire a livello dell’hardware, che tratta di risorse primarie limitate. Quindi il consumo del suolo, così come l’efficienza energetica, la disponibilita dell’acqua e l’inquinamento dell’aria, devono essere poste sotto controllo da una mano cosciente e responsabile, possibilmente capace di impugnare la matita che disegna a priori la costruzione territoriale e ambientale. Tocca allora alle istituzioni elettive guidare e controllare, esercitando competenze definite dentro ambiti territoriali determinati, i quali peraltro individuano due altri fattori essenziali delle democrazie progredite: il diritto di voto e la tassazione. I diversi livelli istituzionali devono inoltre coordinarsi dentro l’ordinamento generale, evitando doppioni, sovrapposizioni e rimpalli di responsabilità. I principi di sussidiarietà (verticale), di adeguatezza e differenziazione, sanciti dall’art. 118 della vigente Costituzione, offrono criteri precisi per una seria azione politica di riordino e avvicinamento agli standard europei.

Tornando allora alla domanda iniziale (Milano dov’è? ) si ripropone la questione dei confini. Nella storia Milano è risorta dalla distruzione del Barbarossa fondando i propri contorni e ampliandoli nei secoli – dalla cerchia viscontea ai bastioni spagnoli – fino alla “cinta daziaria” del primo novecento, geniale espediente di detassazione e sviluppo. Tuttavia il dazio comunale è stato abolito nel 1974 e da allora Milano non ha saputo più relazionarsi col proprio intorno, sino a subire la “scissione” di Monza e Brianza. Scissione antistorica (a Monza vige il rito romano, mentre le parrocchie brianzole sono fieramente ambrosiane) e antieconomica (il mercato del lavoro come il mercato immobiliare insistono nella medesima dimensione metropolitana) bensì tutta politica: protesta verso il centralismo e unilateralismo del capoluogo. Per non parlare del sistema della mobilità, analizzando il quale un recente studio di Giuseppe Boatti individua chiaramente gli “spartiacque” dei movimenti quotidiani, ovvero – con ottima approssimazione – i contorni della possibile città metropolitana.

Infine Milano se è troppo piccola per governare adeguatamente insediamenti, infrastrutture e ambiente, è in pari tempo troppo grande per gestire democraticamente le proprie periferie in mancanza di un vero decentramento, responsabile a pieno titolo di servizi alla persona, aggregazione sociale, manutenzioni e pulizia, similmente ai comuni dell’hinterland. Sotto questo profilo, come ebbe a dire a suo tempo il Cardinal Martini “la città è troppo grande per sentirsi una”.

 

Valentino Ballabio



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