5 aprile 2010

DOPO IL VOTO NON TUTTO E’ PERDUTO


Leggendo le analisi della recentissima tornata regionale si ha come l’impressione di un clima di disfatta, di generale scoramento, di perdurante apnea elettorale. Come se, con il passare del tempo, anno su anno, restasse al centrosinistra e al suo pilastro centrale, il PD, solo una condizione per così dire, strutturalmente e definitivamente minoritaria, di fronte al dilagare delle armate della destra bossiana e berlusconiana. Ma, perdonate il puntiglio, le cose stanno davvero così? I numeri, che hanno la testa più dura di qualsiasi percezione, idea, analisi o ipotesi, legittimano effettivamente i clamori trionfali della destra e il ripiegare malinconico del centrosinistra? Davvero siamo messi così male, da non poter pensare ad altro orizzonte, per i prossimi anni, che non sia il rifugiarsi nelle ridotte appenniniche dell’ex PCI e attendere che passi la tormenta? Per non saper né leggere né scrivere, con qualche amico, mi sono allora messo a fare qualche modesto conticino, di quelli propri della “serva” fatti sulla carta del droghiere, nulla a che vedere con le sofisticate analisi informatiche degli istituti di ricerca e dei politologi esperti di flussi e controflussi, così coinvolti nel loro vortice che alla fine rischiano di perdere il senso generale delle cose.

Ci siamo limitati a fare qualche modesta addizione aritmetica e qualche altrettanto modesto calcolo percentuale sui voti registrati nelle ultime elezioni regionali e guardate cosa viene fuori:

a) totale dei voti del centro sinistra (compreso anche il Movimento 5 stelle): 10.273.246 voti;

b) totale dei voti del centro destra: 10.651.670 voti;

c) differenza: 378.424 voti pari all’1,69% sul totale dei votanti.

Il dato è oggettivamente stupefacente e contraddice in modo patente, assoluto e quindi incomprensibile, la percezione diffusa dell’esito del voto: tra i 2 schieramenti passa su base nazionale una leggerissima differenza, assolutamente marginale e del tutto recuperabile, quantitativamente, in sede di elezioni politiche generali. Qualche Pierino, del tipo Brunetta ammesso che il poveretto ne abbia ancora voglia e fiato, potrebbe anche sollevare dubbi sul fatto che i voti del Movimento 5 stelle siano ascrivibili al centro sinistra: personalmente credo di sì, credo che gli elettori che l’hanno sostenuto siano espressione prevalente di questo schieramento, ma anche se si escludessero (ma, ripeto, non si dovrebbe) questi voti, la percentuale di differenza passerebbe dall’1.69 al 3,46 %, insomma tutt’altro che una voragine su base nazionale. Diviene allora chiaro che il cosiddetto plebiscito a favore di Berlusconi e del suo governo non solo non si è verificato, ma è del tutto inventato, è solo una gran balla. Ma, se così stanno le cose, come si è generata questa leggenda “metropolitana”, questo esuberante sufflè informativo che lascia però tracce pesanti nella digestione del risultato elettorale, con pesanti effetti sull’immaginario collettivo della nazione intera e sul morale delle due opposte fazioni?

Due le motivazioni. La prima ha a che vedere con la diversa abilità nel gestire la comunicazione. La seconda con le aspettative sorte nel corso dell’ultimo mese di campagna elettorale. Non vi è dubbio che il centrodestra possegga, tra le sue principali armi, una particolare capacità di racconto politico, di affabulazione, di marketing dell’immaginario: Berlusconi e Bossi posseggono entrambi la capacità tutta politica di raccontare al mondo, essendone creduti, quello che fa più comodo, in una visione spregiudicata della relazione politica con l’elettorato del Paese. In questo, si deve proprio ammettere, sono decisamente moderni, coerenti ed espressione di un clima socio culturale che non premia la trasparenza e la correttezza, ma piuttosto la capacità di manipolazione del rapporto. D’altra parte, l’uno si è inventato dal nulla la più grande industria della comunicazione italiana, il secondo, non riuscendo neppure a diplomarsi alla Scuola Elettra, si è baloccato fin dal principio con miti ineffettuali, ma testardamente proclamati e difesi con enfasi bertoldesca.

Insomma due ballisti di genio. Di contro il PD non solo continua a portarsi dietro, e c’è comunque del buono in questo, la moralistica tradizione cattocomunista, che impedisce al suo personale dirigente approcci strumentali e falsificatori nella descrizione della realtà, prassi arrivata al suo top con il buon Prodi, che del resto negli ultimi tempi neppure si capiva più bene cosa dicesse, salvo comunicare subliminalmente agli italiani una insopportabile serietà da tedioso tecnocrate brusselliano.

C’è di più, c’è anche l’incapacità di cogliere l’attimo fuggente e di comunicare con “gesti, parole e opere” quei feeling che più facilitano la gestione del momento politico. Così, e ce lo dobbiamo pur ricordare, se qualche mese prima delle elezioni era del tutto prevalente il senso di una durissima battaglia di resistenza alle regionali, ci si è lasciati via via abbindolare da un seducente, quanto incauto, profumo di avanzate sempre più leggere e felici, dimentichi dei disastri elettorali appena precedenti come della recentissima vicenda Marrazzo. Ci si è lasciati cullare dal dolce sciabordio delle speranze, questi dolcissimi fior di loto della politica, tanto stordenti quanto pericolosi, coinvolgendo prima iscritti e i militanti, e poi gli elettori. Il risveglio soprattutto per questo è stato duro, ma se non avessimo abusato dei fior di loto, il 7 a 6 delle regionali sarebbe parso per quello che è: un ottimo risultato che avrebbe impedito, se ben comunicato, a Berlusconi di raccontare per l’ennesima volta il suo trionfo, convincendo di questo, e qui sta davvero il suo capolavoro, non solo i suoi elettori e i media, ma anche e soprattutto i suoi avversari. Insomma, il PD come una banda d’incapaci comunicatori.

E ora? E ora, resta sul terreno sia l’oggettiva forza dei numeri che la soggettiva forza di raccontarli e farli valere. Qui vale proprio quanto diceva Gianni Agnelli: i voti non si contano, si pesano. E per farli pesare, occorre proprio che nasca qualcuno nel centrosinistra che li sappia prima di tutto ben raccontare, nel prima, nel durante e nel dopo. Qualcuno, non si dice manipolatorio, che non ci si riuscirebbe neppure a provarci cent’anni, tale è il retaggio culturale, ma quantomeno avvertito, diciamo pure scaltro. La partita politico elettorale prossima non quindi è chiusa, anzi è apertissima, proprio per la natura dell’ultimo successo del centrodestra, dove il regno berlusconiano si avvia al tramonto, lasciando intravedere i bagliori di conflitti interni pressoché ingestibili.

Al centrosinistra e al PD il compito di leggere lucidamente la partita e soprattutto, per una volta almeno, di ben raccontare la propria parte in commedia: non tutto è perduto…neanche il futuro.

Giuseppe Ucciero



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