5 aprile 2010

LAST CALL PER LE AMMINISTRATIVE A MILANO


Come a ogni elezione i commenti del giorno dopo, per chi ha perso, si dividono tra bartaliani (“è tutto sbagliato è tutto da rifare”) e saragattiani (“noi abbiamo ragione ma il destino è cinico e baro”) e quelli che come frankestein junior dicono: “poteva andare peggio. Poteva piovere”. Poco essendoci da argomentare sul risultato regionale, dove il centro sinistra è numericamente arretrato, politicamente più isolato, amministrativamente governa solo in qualche periferia; il Pd et similia, per una volta tanto compatto, parla di Milano e delle elezioni del prossimo anno viste come last call. Come dopo Borghini, Formentini, Albertini.

Diffusa è la convinzione che, essendo la popolarità del sindaco Moratti bassa e non avendo Formigoni superato il 50% dei voti, le possibilità di vittoria sono intatte. Sulla popolarità misurata dai sondaggi vi è poco da dire, è un parametro che in politica, serve solo quando è comparato ad altri nomi. Oggi è di relativa utilità, essendo che gran parte degli elettori sceglie il meno peggio tra i candidati e decide nell’ultima settimana. Il fatto che Formigoni non ha superato il 50% (ma le sue liste si) è un dato positivo per il centro sinistra, ma era già successo alle regionali del 2005.

Le cose su cui riflettere pensando all’anno prossimo secondo me sono altre:

  • L’astensione alle comunali è più bassa che alle altre elezioni amministrative; in periferia l’astensione si riduce più che nel centro città
  • L’elettorato moderato si mobilita maggiormente alle politiche che alle amministrative; le percentuali del centro destra sono più alte alle politiche che alle amministrative
  • Gli elettori che votano solo il candidato alla carica monocratica e non votano le liste sono in costante aumento
  • I candidati di centrodestra alle cariche monocratiche prendono sempre meno voti che la somma delle liste che lo sostengono (Moratti, Formigoni, Podestà)
  • Il bipolarismo è sempre più accentuato anche in ragione del voto utile. Le liste di centro tendono più facilmente a schierarsi al secondo turno con il candidato di centro destra che con quello di centro sinistra. Le liste di sinistra al secondo turno tendono in misura sensibile verso l’astensionismo
  • Il candidato di centro destra può contare su uno schieramento più compatto, apparentemente meno contradditorio. Il candidato di centro sinistra risulta spesso essere obbligato alla mediazione tra diversi
  • La scelta del candidato è nel centro destra relativamente semplice: basta l’investitura del leader nazionale. Nel centro sinistra il candidato passa attraverso tappe e gradi di giudizio interminabili offrendo all’avversario un vantaggio
  • La frammentazione dei candidati e delle liste ha un effetto indifferente in relazione allo schieramento
  • Il passaggio al secondo turno non automaticamente favorisce il centro sinistra.
  • Le caratteristiche del candidato: genere, religione, professione, provenienza politica, abitudini sessuali sono indifferenti per l’elettorato
  • Il numero delle preferenze espresse rispetto ai voti di lista è in continuo aumento senza variabili significative tra centro destra e centro sinistra. Le liste del sindaco sono più un regolamento di conti all’interno dello schieramento che un appeal per l’elettorato, i candidati di centro destra e di centro sinistra spendendo gran parte del loro lavoro nella lotta sulle preferenze
  • La campagna elettorale e le modalità del suo svolgimento influenzano l’elettorato nelle elezioni comunali molto più che nelle elezioni politiche. Il centro destra ha una strategia fissa: tende alla politicizzazione delle amministrative (scelta di campo). Il centro sinistra quando accetta questo terreno (se vinciamo Berlusconi va in crisi) generalmente perde.

In sostanza l’elettorato di appartenenza è nelle elezioni amministrative meno saldo e più influenzabile ma solo in presenza di fatti amministrativamente rilevanti e di candidature significative. L’elettorato di scambio ovviamente è più attratto da chi governa. L’elettorato d’opinione tende a scegliere il candidato più che lo schieramento. L’astensione penalizza maggiormente lo sfidante che vede ridursi la platea meno schierata.

Milano è quindi contendibile, come lo era 5 anni fa, ma con alcuni paletti

  1. Per poter battere il centro destra è necessario che tutte le opposizioni siano coalizzate ovvero che un candidato sia capace di coalizzarle ovvero che ci siano più candidati di peso per andare al secondo turno

    Questo pone al Pd alcuni problemi:

  • Dopo aver scelto di non cercare alleanze a sinistra per incompatibilità programmatica (cosa peraltro realizzatasi nelle lontane provincie del Piemonte e della Liguria) l’attuale gruppo dirigente non può certo riproporre l’Unione
  • Dopo aver ricevuto due no tra provinciali e regionali e visto anche il peso numerico dell’UDC milanese il corteggiamento al centro serve a poco

    La risposta del Pd è: “non parliamo di schieramenti ma di contenuti”. Giustissimo ma un po’ naif, dopo decenni di opposizione lo schieramento è nelle cose e i contenuti con un’elezione ogni 6 mesi, forse ovvi. Io credo invece che la risposta dovrebbe essere: “cerchiamo un nome che abbia queste caratteristiche”:

  • un candidato completamente autonomo dai partiti e dallo schieramento che lo sostiene: con uno slogan del tipo: “non parlo di politica voglio amministrare”. Non ho nulla (anzi) contro i candidati di partito, il problema è che a Milano nel centro sinistra, non mi pare ci siano i partiti
  • un candidato che si impegna ad ignorare l’esistenza di Berlusconi e del quadro politico nazionale. Per quanto incredibile possa apparire alla sinistra più il confronto è svolto tra berlusconiani e antiberlusconiani più questi ultimi perdono e s’incasinano da soli
  • un candidato dal basso profilo identitario che obblighi i malpancisti di sinistra a votarlo in base al voto utile ma consenta anche ai moderati di votarlo
  • un candidato che lavori sull’astensione. Impostando una campagna elettorale un po’ meno elitaria di quelle che vediamo di solito (avete presente quelle curiose facce con problemi ai calli che avrebbero dovuto spingere a votare Pd nelle scorse settimane?)
  • Un candidato che non si preoccupa della sua lista ma che favorisca la presentazione di tutte le liste possibili e immaginabili. Più il menù è vasto meno il candidato appare condizionato dal main course
  • Un candidato, soprattutto, consapevole che si vince e si perde con la campagna elettorale e che a questa si dedichi anima e corpo, da leader, nulla delegando
  • Un candidato consapevole che le campagne elettorali si vincono con la giusta strategia ma anche con mezzi economici adeguati

Un candidato scelto con le primarie?

Non saprei e riformulerei così la domanda: “Le primarie aiutano elettoralmente il candidato del centro sinistra”?

In Lombardia non ci sono precedenti di primarie ad esclusione di quelle del 29 gennaio 2005. Le primarie infatti per Veltroni Martina/Sarfatti Bindi, Bersani Martina/Fiano Franceschini per non parlare di quelle Casati/Antoniazzi erano faccende interne dall’effetto trascurabile sulle elezioni.

Le primarie di Ferrante hanno avuto un indubbio effetto logorante sul candidato del centro sinistra sottoposto a un confronto di coalizione con soggetti più noti e più abili (Fo) più ricchi (Moratti) più giovani (Corritore). La legittimazione del candidato è stata così pagata con un suo appannamento. Le primarie avevano portato anche alla convinzione che il candidato dovesse subire un maquillage per renderlo un po’ più “di sinistra”. Si è assistito così a quella de courtisiana campagna elettorale in cui il prefetto, già vicecapo della polizia, veniva descritto come un tardo settanttotardo. Tuttavia l’effetto primarie dipende dal candidato e dalle condizioni in cui si svolgono, in altre realtà hanno dato effetti diversi e positivi.

Al minimo occorrerebbe:

  • limitare il numero di concorrenti e sottoporli a uno sbarramento d’ingresso (ormai tutti pensano che partecipare alle primarie sia un utile strumento di diffusione del proprio nome)
  • fissare delle incompatibilità sul dopo (chi partecipa alle primarie non va in lista)
  • definire prima un programma minimo, un minimo comun denominatore che limiti il confronto a proposte compatibili e non sia una scimmiottatura delle elezioni vere e proprie

    ma soprattutto occorre

  • avere date certe e rapide rifuggendo dalla tendenza ad aprire “laboratori”, che consentano di avviare il prima possibile la campagna di found raising e di mobilitazione dell’elettorato di appartenenza.

Prevedo invece che ….

 

Walter Marossi



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