29 marzo 2010

PEDOFILIA NELLA CHIESA: “MA IL VOSTRO DIRE SIA SOLO SI, SI o NO, NO”


Gesù Cristo non temeva lo scandalo, non temeva la parola chiara, anzi l’amava a costo proprio dello scandalo e poi della sua stessa Vita. Usandola, la affermava come massima forza liberatrice degli uomini e massimo principio della relazione con Dio. Disse anche “sinite pargulos venire ad mihi”, e certamente non si è mai preoccupato che la vicinanza dei fanciulli potesse essere fonte della loro sofferenza e di gravissimo peccato contro Dio, nella misura in cui colpisce quanto di più caro a esso: l’Innocenza dei puri e dei poveri di spirito.

Per quale motivo allora la Chiesa di oggi deve temere, e nella misura che vediamo in questi ultimi tempi, il verificarsi dello scandalo quando colpisce le proprie fila, se questo scandalo consiste nell’emergere di una Verità troppo a lungo nascosta, dirompente ma liberatrice? Gesù portò lo scandalo prima di tutto nel Tempio, tra gli addetti ai riti, a cui rimproverò, non lasciando loro scampo alcuno, l’ignavia, la superbia, la lontananza da Dio e dal popolo, il comportarsi, anzi l’essere, come un gruppo dedito principalmente a praticare i propri interessi di casta, onorando le formule dei Testi Sacri, ma rifiutando la Verità della sua Parola. Nel dire questo, Gesù scelse come suoi compagni poverissimi proletari, prostitute, gentili, gli ultimi del mondo, portando proprio per questo il massimo dello scandalo nel Mondo e nel Tempio. Non solo non si chiese se la loro presenza fosse opportuna nell’atto di rivelare la Parola di Dio, ma al contrario disse che proprio di essi era il Regno e su di essi edificava la Chiesa. Possiamo immaginare ancora oggi qualcosa di più scandaloso e d’inopportuno?

Gesù, e dopo di lui, e per suo mandato, la Chiesa, sono portatori di verità. In quanto tali sono inevitabilmente portatori di scandalo, lasciando ai farisei, ai tartufi di ogni tempo, agli ipocriti, agli adoratori delle convenienze e delle opportunità, la triste incombenza di ignorare deliberatamente il dettato cristiano di fronte alla Verità: Dire sì o Dire no, servendo sempre la verità perché nella Verità vi è l’Amore di Dio. Senza verità non c’è amore, Senza amore non v’è verità: Caritas in Veritatem. Ma la Chiesa d’oggi sulla questione dei Pedofili religiosi si è infilata su di un percorso incoerente con il suo mandato, anche se le ragioni che porta a motivazione non sono poche o di poco conto. Si dice, a proposito di queste verità scandalose, che il venire a conoscenza di certi fatti, di certi comportamenti, di specifici danni portati da religiosi contro persone e comandamenti, possa far venir meno la Fede, minando la fiducia tra i credenti e la Chiesa come Istituzione, allontanando così molti, o anche solo pochi, dalla religione cattolica. E si dice poi che questa preoccupazione abbia guidato, maldestramente alla fine si riconosce, diversi autorevoli uomini della gerarchia cattolica.

Che poca cosa deve però essere una Fede, se chi la nutre addebita direttamente a Dio i peccati, anche gravi, che alcuni suoi servitori, membri della Chiesa, hanno compiuto tradendo i suoi insegnamenti, e per questo fatto rimette in discussione l’adesione profonda ai suoi insegnamenti. E quale scarsa fede hanno certi uomini di Chiesa se condividendo quest’assunto, ne traggono conseguenze intese al silenzio ad ogni costo. Si potrebbe però anche dire che il problema purtroppo è molto più ampio, adombrando responsabilità talmente estese da ipotizzarsi una colpa generalmente addebitabile all’intera gerarchia ecclesiastica in quanto tale: sarebbe allora ancora più opportuno un atteggiamento minimizzante, di estrema prudenza, nel momento in cui una tale chiamata di “correità morale” sarebbe difficilmente sostenibile dalla Chiesa nel mondo. Si porta poi, a scusante parziale dei fatti contestati, che non solo uomini di Chiesa si sono macchiati di gravi crimini contro la morale e l’infanzia, ma che anche altri ambienti, non cattolici, hanno condiviso, anche in maggior misura, questa sciagurata pratica. L’argomento contiene una mezza verità, ma nel sostenerlo non si coglie quanto questa stessa affermazione sia particolarmente grave proprio dal punto di vista della Chiesa: i suoi membri, si propongono come Maestri di vita e di morale, e proprio per questo il loro deviare è tanto più grave di quello di altri che non dichiarano tale “pretesa”, specie se avviene in un campo specifico, quello dell’educazione dei fanciulli, dove vi è il massimo di delicatezza, di affidamento e di responsabilità, e dove proprio per questo la Chiesa reclama per sé una specifica primogenitura. Proprio per queste le famiglie affidano serene i loro figli, e proprio per questo il tradimento della loro fiducia è molto più grave che quello che possono nutrire verso un “lupo sociale” guidato solo dai propri istinti selvaggi.

Quale deve essere allora di fronte a questi avvenimenti e a queste riflessioni non prive di drammaticità etica, il luogo del Laico? Se il Laico ha un luogo in questa triste vicenda, questo consiste nella ricerca serena e ferma della verità, nella comprensione che non si tratta di affermare in assoluto, in una ben vana ricerca di primogeniture etiche e scientifiche, il primato di una sfera (laica) sull’altra (religiosa), ma di riconoscere quanto di divino e di bestiale ancora convivono nel cuore e nell’anima dell’uomo moderno, laico o religioso che sia. Così un Laico, che guardi ai fenomeni con spirito critico, riconoscerà che questo disagio odierno della Chiesa è, tra gli altri, il frutto specifico di due fattori, uno proprio, e immanente a essa quale Istituzione gerarchica, e uno quale Segno dei Tempi. Se oggi un rimprovero forte si può e si deve muovere alla Chiesa come Istituzione, questo consiste nell’aver praticato troppo spesso e troppo a lungo un atteggiamento teso costantemente a non fare scandalo, a tenere per sé e in segreto le cose dolorose, richiedendo alle stesse vittime di osservare lo Status specifico che la connota: la Chiesa come segno nel Mondo di un’entità sovrannaturale e in quanto tale, come Sposa di Cristo, non contestabile e non sottoponibile al giudizio storico, immanente, espresso dagli uomini.

Questa prassi non è specificamente riferibile al dramma della pedofilia, ma è tratto essenziale, distintivo, della concezione della relazione della Chiesa con il Mondo, con il quale convive affermando al tempo stesso di essere Altro. La sua extraterritorialità non è solo spaziale, quale estremo residuo di un passato di potere temporale, ma è prima di tutto essenziale al suo esistere, dal che deriva la concezione e la pratica conseguente che in tutti i suoi ambiti la Chiesa risponde prima di tutto a se stessa e poi, se e come vorrà, al mondo, che si tratti di finanza o morale poco importa. E nel riconoscere l’esistenza e il peso specifico di questo fattore, dobbiamo ora chiederci quali fossero gli obiettivi perseguiti con questa prassi e quale ne sia stato l’effetto concreto conseguente, in quanto oggi dispiegato sotto gli occhi di tutti. L’obiettivo principale consisteva nell’evitare alla Chiesa l’onta della vergogna di comportamenti di alcuni suoi componenti, e questo è ben comprensibile, e in un qualche modo ascrivibile al riflesso obbligato che tutte, dico tutte, le organizzazioni umane hanno quando nei confronti del mondo “esterno”.

Ma l’effetto derivante specificamente dalle omissioni, dai silenzi, dalle coperture, compiute in nome della salvaguardia dell’immagine santa della Chiesa, è in concreto consistito nel coinvolgimento sempre più ampio della Chiesa come Istituzione nello scandalo della pedofilia. Per non aver voluto dichiarare lo scandalo per quello che era, e nel momento in cui accadeva, come cioè la grave manomissione della legge di Dio verso i fanciulli da parte di pochi o pochissimi, si è coinvolta la Chiesa tutta, moltiplicando così in modo incommensurabile la fonte e la ragione dello scandalo. Per non avere ammesso le colpe di alcuni religiosi, si è inevitabilmente caduti nella condizione collettiva, propria cioè a tutta l’Istituzione Chiesa, di connivenza, di insensibilità, di silenzio irrispettoso verso le vittime e la Verità. Peccati ora ammessi, ma che si potevano ben prevedere allora. Per non aver dichiarato un piccolo scandalo se ne è generato uno molto più ampio e doloroso.

Questo fattore si è poi intrecciato con un altro di cui gli stessi laici non possono onestamente affermare l’irrilevanza: i valori in merito ai comportamenti contro la moralità, specie quelli connessi alla sfera sessuale, hanno registrato negli ultimi decenni una notevolissima evoluzione culturale. Negli ultimi tempi si è affermata la sessualità come sfera specialmente tutelata della persona, specie se espressione di soggetti deboli, le donne e i minori: è degli anni 60 in Italia, per esempio, l’abrogazione del cosiddetto “delitto d’onore”, il che implica il fatto che precedentemente era “consentito” uccidere la consorte sorpresa, o fatta sorprendere, in flagrante adulterio.

E questa era legge dello Stato Italiano. Ora, chi scrive, avendo passato da tempo i 50 anni, ricorda tempi diversi, sensibilità diverse, tutele morali e giuridiche diverse, dall’oggi. Non intendo ovviamente dire giuste, ma semplicemente diverse e certamente non connotate dal giusto rigore con cui oggi si guarda a certi fatti. Nei primi anni ’60 ed anche per anni dopo, le preferenze e i comportamenti sessuali lesivi della sessualità dei minori erano valutati con minor rigore e condanna morale di oggi: si sbagliava in questo, o meglio erano altri tempi, certo allora era diffusa la chiacchiera maldicente, ma non la ripulsa assoluta. Ci si dava di gomito, si sapeva o s’intuiva, ma non si approfondiva in virtù di una visione che non attribuiva alla relazione perversa con il minore una valenza negativa paragonabile a quella odierna: quasi il Male Assoluto.

La Chiesa, i suoi responsabili, anche per effetto di un clima culturale socialmente diffuso, e non solo quindi per paura dello scandalo, teneva la pedofilia come fatto certamente grave, ma di una gravità per così dire attenuata: la Chiesa nel Mondo era così anche Chiesa del Mondo, subendone l’influenza storica. Che vi sia, in questo, una stridente contraddizione tra la “pretesa” di essere fuori, e sopra la Storia, e il subirne l’influenza è cosa che si lascia in generale all’indagine di filosofi, teologi e storici, ma che, in linea di fatto, questa relazione sussista e si faccia sentire anche sulle coscienze e sulle prassi religiose è certo. Certo è che la Chiesa non ha saputo sempre, come Istituzione, leggere tempestivamente e accompagnare operativamente i mutamenti del tempo, l’evoluzione delle sensibilità sociali e personali, e questo è stato un limite grave, che ha inciso pesantemente nel modo con cui anche in anni recenti la Chiesa ha gestito le conseguenze di fatti passati ascritti a religiosi cattolici.

E allora la Chiesa non ha responsabilità per il fatto che è essa stessa figlia del proprio tempo? Ovviamente non è possibile affermarlo, ma il riconoscerlo nel suo specifico contesto storico è cosa ben diversa che affermare una responsabilità “astratta”, basata e misurata esclusivamente con il metro morale di oggi, ché per questa strada allora dovremmo arrivare alla conclusione insostenibile che Aristotele era uno schiavista ed Elisabetta I ^ una sanguinaria Piratessa dei Mari. Lo erano (anche) di fatto, ma da un punto di vista morale erano figli del loro tempo. Ma torniamo al punto: cosa si attende ora un Laico, e cosa pensiamo debbano attendersi i credenti dalla Chiesa, nella futura gestione dello scandalo Pedofilia? Ci attenderemmo che la Chiesa facesse la Chiesa ossia la Comunità di Dio, dimenticandosi di essere Istituzione e Gerarchia, tutti Segni del Mondo, riaffermando con forza un’adesione senza riserve al suo lascito “divino”: il suo essere prima di tutto Parola, Logos, Veritas.

E dunque, si lascino perdere contorcimenti dialettici, scuse puerili, argomenti controproducenti, coperture incrociate, chiamate a correo verso un Mondo che si vorrebbe nel tempo stesso educare, e si dicano, di fronte alle domande legittime poste dalle vittime, dai fedeli e dall’opinione pubblica, in modo trasparente, chiaro, candido, esattamente come un fanciullo di fronte alle domande di un genitore, queste semplici parole: si, si, no, no. E che vi sia trasparenza nella ricerca delle responsabilità, serenità nell’accettare la giustizia degli uomini, sensibilità, tutela ed effettiva comunanza verso le vittime, che cessi insomma quella particolare atmosfera, alla fine un po’ morbosa, che, nella dichiarata tutela della Chiesa, in realtà rende difficoltoso il riconoscimento delle responsabilità dei singoli. La Chiesa ha superato ben altre prove, in momenti lontani e vicini, e sempre la risorsa principale a cui ha attinto è stata quella della sua effettiva superiorità etica, magari smarrita o resa opaca in determinati frangenti, ma poi riemersa e affermata come principale suo Valore.

Questo ci auguriamo come Laici, come persone che pur non condividendo le ragioni mistiche del cattolicesimo, tuttavia riconoscono che di una Chiesa autorevole e libera vi è un grande bisogno nel mondo odierno. Parli la Chiesa con dire franco, si si – no no, faccia ammenda delle colpe che alcuni suoi appartenenti, in alto e in basso, hanno compiuto con gli atti impuri, le omissioni e i silenzi, muti come sta mutando, e radicalmente, la sua prassi sulla questione, e troverà non solo tra i credenti, ma anche e forse più tra i laici, un attento ascolto e un’affettuosa comprensione, ché “chi è mondo dei propri peccati scagli la prima pietra”.

 

Giuseppe Ucciero



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