29 marzo 2010

LE COMMISSIONI LOCALI PER IL PAESAGGIO


Ho letto su “La Repubblica” di giovedì 11 marzo l’articolo di Carlo Alberto Bucci e di Francesco Erbani che descrive la situazione delle Soprintendenze spinta sempre più verso il collasso: la disponibilità di fondi che si riduce di anno in anno così come la dotazione di personale. E pensare che nel 2003 quando nella Commissione Ministeriale per la redazione del Codice si proponeva di assegnare alle Soprintendenze nuovi compiti ispettivi nell’ambito della gestione del paesaggio, a chi come me, ricordava che già venti anni prima quest’operazione era fallita nell’attuazione della legge Galasso si dava assicurazione che un programma di nuove assunzioni già previste avrebbe dotato le Soprintendenze del personale necessario a far fronte ai nuovi impegni.

Nel gennaio 2008 alcune delle principali associazioni ambientaliste hanno pubblicato su “La Repubblica” un appello rivolto al Presidente del Consiglio per introdurre nel Codice dei beni culturali e del paesaggio l’obbligo di parere vincolante del Soprintendente sulle pianificazioni urbanistiche in paesaggi vincolati e sulle autorizzazioni nella convinzione che potesse arginare la gestione della delega agli Enti locali ritenuta inadeguata alla salvaguardia del patrimonio paesaggistico tutelato dalla Costituzione. Naturalmente a condizione che si provvedesse anche a potenziare l’organico delle Soprintendenze. Effettivamente alle Soprintendenze è stato attribuito il potere di rilasciare pareri vincolanti, ma la loro dotazione di personale, nonostante che lo stesso Salvatore Settis avesse richiesto un “reclutamento straordinario”, è rimasta la stessa e, purtroppo, anche il numero di pratiche, che in Lombardia sono circa trenta mila all’anno.

Dal primo gennaio di quest’anno è entrata in vigore la norma del Codice dei BB CC e P (noto anche come “Codice Urbani”) che stabilisce che il parere sui progetti negli ambiti tutelati sotto il profilo paesaggistico venga espresso preventivamente dalla Soprintendenza e abbia valore vincolante, vale a dire che prevale sul giudizio che possono esprimere il Comune o gli altri enti delegati a rilasciare autorizzazioni paesaggistiche. Passo provvisoriamente ad altro tema: sul n. 9 di Arcipelagomilano è apparsa l’intervista all’architetto Pierluigi Nicolin nominato nell’ottobre scorso Presidente della Commissione locale del Paesaggio di Milano. Le domande che sono state poste a Nicolin e, in parte, le sue risposte mi hanno convinto dell’opportunità di provare a fare chiarezza sul ruolo istituzionale delle Commissioni per il paesaggio, per evitare che si attribuiscano loro competenze non previste dal Codice e dalle direttive regionali di applicazione.

Le Commissioni locali per il paesaggio rappresentano un’innovazione molto interessante introdotta dal Codice Urbani già nella versione iniziale del 2004, destinate a sostituire le Commissioni edilizie integrate dall’esperto ambientale. L’iniziativa ha una sua logica molto condivisibile che tiene conto della progressiva soppressione delle Commissioni edilizie nella maggior parte dei Comuni e della riconosciuta autonomia e prevalenza della valutazione paesaggistica preliminare rispetto a ogni determinazione urbanistica; concetto espresso e più volte ribadito dalla Corte Costituzionale. Concetto su cui si fonda l’obbligo di differenzazione tra le strutture dedicate alla tutela paesaggistica da quelle dedicate “all’esercizio di funzioni amministrative in materia urbanistica-edilizia”; quindi la Commissione per il paesaggio si differenzia dalla Commissione edilizia non solo quando sia composta “solo da architetti”, ma per ben distinti compiti d’istituto. La norma che definisce ruolo, composizione e competenze di queste Commissioni è stata ripetutamente modificata; è rimasto tuttavia invariato il compito primario di esprimere un giudizio di compatibilità paesaggistica con il contesto per i progetti proposti in ambiti tutelati, invariato è rimasto anche il requisito di “pluriennale e qualificata esperienza nella tutela del paesaggio” che devono possedere i membri che le compongono.

Una prima osservazione sulla nuova procedura entrata in vigore con il primo gennaio evidenzia che il parere vincolante attribuito alla Soprintendenza ridimensiona alquanto il ruolo delle Commissioni per il paesaggio, anzi, se tutto dovesse funzionare come previsto dal Codice, il ruolo sarebbe di mera verifica conformativa del progetto con i criteri deliberati dalla Regione e con le norme del Piano Paesaggistico Regionale. Ma, come rivela l’articolo di Repubblica, le Soprintendenze vengono progressivamente “svuotate” e la scarsità di personale non rende possibile far fronte alle nuove incombenze nel tempo assegnato, trascorso il quale, il Codice prevede che la competenza a provvedere all’autorizzazione ritorni in capo all’Ente delegato, che si avvarrà della Commissione per il Paesaggio per esprimere un giudizio di compatibilità paesaggistica delle proposte progettuali in carico. Giudizio argomentato che permetterà all’amministrazione di motivare le proprie decisioni non solo quando s’intenda respingere il progetto, ma anche nel caso lo si autorizzi. Queste argomentazioni potranno essere uno strumento di comunicazione e trasparenza molto utile se appariranno nella pubblicazione prevista dalla norma del Codice che riporto:

Presso ogni amministrazione competente al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica è istituito un elenco delle autorizzazioni rilasciate, aggiornato almeno ogni trenta giorni e liberamente consultabile, anche per via telematica, in cui è indicata la data di rilascio di ciascuna autorizzazione, con l’annotazione sintetica del relativo oggetto.

Una raccolta delle motivazioni consultabile può costituire un utile riferimento per progettisti e per i membri della Commissione che nel corso del tempo sostituiranno quelli attuali. Tornando all’intervista, si profila quindi per le Commissioni un impegno ben più decisivo per l’immagine del paesaggio urbano di Milano di quanto non sia l’arredo urbano con particolare riferimento a manufatti minuti o a edicole unificate, che, per dire, avrebbero indubbiamente un impatto positivo meno percepibile delle pensiline di Foster. Si pensi invece a tutti gli interventi edilizi negativi, ancorché minori come i sottotetti, la cui sistematica e diffusa presenza nella scena urbana ne determinano un mal tollerato degrado. Darei a questi interventi una priorità assoluta sulla definizione e configurazione del paesaggio urbano.

Non va infine dimenticato che la Commissione non dovrà valutare solo gli interventi negli ambiti tutelati per legge, ma il Piano Paesaggistico già dal 2001 richiede che tutti gli interventi in tutto il territorio vengano esaminati in relazione al corretto inserimento nel contesto. Non è il Codice ma sono le direttive regionali ad attribuire anche questo compito alle Commissioni per il paesaggio. Rimane quindi poco tempo da dedicare ad attività di consulenza sui programmi generali, anche se ritengo che alcuni possibili temi affrontabili in tal modo possano risultare indubbiamente importanti per orientare i lavori della Commissione, come l’integrazione dei criteri regionali – necessariamente generici- con di specifici indirizzi formulati in relazione ai caratteri prevalenti e caratterizzanti dei diversi ambiti, articolando utilmente più in dettaglio le individuazioni di aree di diversa sensibilità proposte dal PGT in itinere. A questo programma sembra avere accennato l’arch. Nicolin.

Infine mi è sembrata molto interessante la domanda sulla sistemazione della Darsena che apre l’intervista. Penso che tra i criteri irrinunciabili della Commissione ci sia la restituzione alla Darsena d’immagine e funzione storiche e quindi l’impegno a ridarle l’acqua, evitando ogni tentazione di giardinaggio, assecondando soluzioni di “gradevole” riordino inadeguate alla dignità di un monumento storico.

 

Umberto Vallara



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