29 marzo 2010

LETIZIA MORATTI DONNA PRASSEDE


Michel Rocard sosteneva che la politica deve occuparsi di “aggiustare le cassette delle lettere” mentre Mitterrand era convinto che dovesse ” cambiare la vita “: dopo alcuni anni di contrasto personale feroce, Rocard si rassegnò a occuparsi del livello amministrativo della politica, come primo ministro nella Repubblica presidenziale o come presidente di una grande Regione, lasciando che il machiavellico sognatore da Presidente affascinasse la politica nazionale ed europea per quasi un quindicennio. Tutte le volte che Rocard tentò di occuparsi di politica nazionale furono legnate storiche, così come le (poche) volte che Mitterrand si fece irretire nelle elezioni di “medio termine”, tra boiardi locali (nel psf si chiamano “dinosauri”) e populismi vari, rischiò più di qualche penna.

Certo pretendere che Donna Letizia Moratti conosca qualcosa della storia della politica è eccessivo, ma qualche consigliere tra le decine di consulenti strapagati (dal Comune o dalle società del Comune) che affollano il suo salotto avrebbe anche potuto dirle che infilarsi nella partita politica quando non è il proprio turno non è mai una buona idea.

Avrebbe così evitato uscite agghiaccianti come il commento alla disgrazia della morte del ragazzo rom bruciato (” questo è il risultato della clandestinità “), ricordandosi che il compito di un Sindaco è quello di essere prima di tutto parte della sua intera Comunità e quindi la pietà e la vicinanza non possono lasciare il passo all’allineamento sempre e comunque alle parole d’ordine della politica del proprio schieramento. Non è un’attenuante il fatto di essere oggettivamente nel mirino politico concentrico dei suoi “alleati” Lega e Formigoni che, forse per assenza fisica di avversari di “sinistra”, l’hanno eletta bersaglio preferito già in questa tornata elettorale: i tempi giusti di risposta in politica sono tutto, come Rocard potrebbe dirle. Il vero problema è proprio che Donna Letizia, sospesa sul monte di petroeuro di famiglia, non ha imparato nulla né di politica né di amministrazione e continua a essere un’aliena rispetto alla città reale che riesce a mandare a memoria e ripetere solo un’idea per volta.

Avendo individuato come avversario elettorale più pericoloso proprio la Lega, è sul tema “sicurezza” che si è concentrata. Dopo la mitica marcia per la sicurezza contro il governo non più in carica, le è stato spiegato che, governando il centrodestra da oltre quindici anni a Milano e per sette degli ultimi nove anni a Roma, doveva far qualcosa di visibile e, sin dal suo insediamento, ha scelto la via dei divieti e della faccia feroce. C’è casino alle colonne di San Lorenzo? Divieto di stazionamento sul sagrato. La droga del sabato sera? Aboliamo gli scambiasiringhe. Incidenti interetnici in viale Padova? Chiusura degli esercizi commerciali alle dieci di sera. Troppi furgoni in via Paolo Sarpi? Divieto di carico e scarico per i cinesi. Cosa hanno in comune queste “misure”? L’essere solo dei divieti, l’essere in gran parte inapplicabili e per la restante parte illegittime e dannose. Per restare solo a viale Padova, il Bronx evocato strumentalmente dai leghisti si è materializzato la prima sera di applicazione dell’ordinanza: alle 23 non c’era in giro un’anima e l’atmosfera da “day after” dava un’agghiacciante sensazione di quello cui ridurranno questa città se continuiamo a lasciarla fare. E fra un po’ inizieranno i suicidi a catena degli esercenti, in buona parte lumbard o milanesi cientopeciento, che vedranno sparire un’altra fetta d’incassi.

Cercando nella memoria, scopriamo che il modello monomarcia di Donna Letizia (peraltro evolutasi rispetto ai tempi della Rai, quando Vittorio Feltri la bollava come una signora “molto decisa a non si sa cosa”) viene da lontano, come si evince da questo celeberrimo brano.

Era donna Prassede una gentildonna molto inclinata a far del bene: mestiere certamente il più degno che l’uomo possa esercitare; ma che pur troppo può anche guastare, come tutti gli altri. Per fare il bene, bisogna conoscerlo; e, al pari d’ogni altra cosa, non possiamo conoscerlo che in mezzo alle nostre passioni, per mezzo de’ nostri giudizi, con le nostre idee; le quali bene spesso stanno come possono. Con l’idee donna Prassede si regolava come dicono che si deve far con gli amici: n’aveva poche; ma a quelle poche era molto affezionata. Tra le poche, ce n’era per disgrazia molte delle storte; e non eran quelle che le fossero men care. Le accadeva quindi, o di proporsi per bene ciò che non lo fosse, o di prender per mezzi, cose che potessero piuttosto far riuscire dalla parte opposta, o di crederne leciti di quelli che non lo fossero punto, per una certa supposizione in confuso, che chi fa più del suo dovere possa far più di quel che avrebbe diritto; le accadeva di non vedere nel fatto ciò che c’era di reale, o di vederci ciò che non c’era; e molte altre cose simili, che possono accadere, e che accadono a tutti, senza eccettuarne i migliori; ma a donna Prassede, troppo spesso e, non di rado, tutte in una volta.

Entrambe, donna Prassede e donna Letizia, operavano da casa nobiliare centrale, ma gli effetti ai nostri tempi sono un po’ più ampi. Non sono certo che la situazione odierna sia migliore.

 

Franco D’Alfonso



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