23 marzo 2010

LA RICCHEZZA DELLA CITTÀ – QUANTO VALGONO LE INFRASTRUTTURE DI TRASPORTO DI MILANO


Milano ha troppe infrastrutture. O meglio, non mi sembra oggi particolarmente “virtuoso” vedere la concentrazione di capitale fisso sociale e privato, come sono le città “storiche”, come elemento che giustifichi il continuo privilegio dell’attenzione su queste realtà rispetto al territorio circostante. Questo mio atteggiamento critico scaturisce da una lettura economica non troppo benevola del fenomeno. Le economie di scala e di aggregazione consentite dall’accessibilità privilegiata e dalla concentrazione di attività hanno infatti un risvolto meno positivo: la creazione di rendite immobiliari elevatissime, generata in gran parte grazie alla spesa pubblica. E queste rendite hanno comportato la graduale espulsione delle attività produttive di tipo industriale, e delle categorie a più basso reddito.

E fin qui si potrebbero fare considerazioni “storiche” di equità e di selezione sociale, che però non porterebbero lontano, dal momento che questi fenomeni sono avvenuti dappertutto. Il problema è che il meccanismo qui delineato non è affatto terminato. L’alleanza rendita-spesa pubblica in infrastrutture continua anche oggi: le maggiori opere infrastrutturali previste (quattro linee di alta velocità, due già fatte e due prossime, e le metropolitane) sono radiocentriche. Alcune autostrade (pedemontana e tangenziale esterna) non lo sono, ma queste si pagano da sé con tasse sui carburanti e pedaggi, non sono spesa pubblica “secca”. Ma come evolve in realtà negli ultimi decenni la struttura produttiva e insediativa? Le industrie e le residenze a basso reddito e operaie si disperdono sul territorio lombardo, spinte dai citati fenomeni di rendita. Questa dispersione è ovviamente consentita dal trasporto stradale per le persone e per le merci. E anche i meccanismi produttivi cambiano, con crescenti fenomeni di outsourching e just in time, che aumentano l’efficienza e postulano flessibilità dei trasporti nel tempo e nello spazio. Flessibilità che è anche alla base di un mercato del lavoro non più tayloristico e sempre più terziarizzato.

Senza dimenticare che la grande distribuzione, osteggiata in Italia con ogni mezzo (siamo tra gli ultimi paesi d’Europa per diffusione…), abbassa radicalmente i prezzi, a tutto vantaggio delle categorie a più basso reddito. Orrore! Secondo le opinioni dominanti, questo è l’inferno dello sprawl, l’americanizzazione del territorio, la città metropolitana amorfa e indifferenziata.

Questa partita oggi si gioca soprattutto sotto le bandiere dell’ambiente, nel cui nome s’invoca la “damnatio nomini” dell’automobile e soprattutto s’invocano ulteriori fiumi di denaro pubblico per “ricompattare” intorno al trasporto collettivo il territorio disperso (e la rendita). S’ignora poi che nelle aree dense gli impatti antropici delle emissioni (non più di un terzo delle quali sono generate dal trasporto su gomma, e per gran parte di queste solo dai vecchi diesel) sono molto maggiori nelle aree dense per l'”effetto canyon”, e inoltre si ritiene che sia è un capriccio degli economisti segnalare che il trasporto su gomma internalizza le esternalità ambientali (cfr. il principio “polluters pay”) dieci volte di più degli altri settori.

Nel tempo libero, l’uso dell’automobile per muoversi con la famiglia sembrava sensato, anche per ragioni ambientali (le emissioni pro capite crollano) ed economiche. Ma anche questo è messo in dubbio dalle recenti “domeniche a piedi”. Pare che soprattutto occorra dare dei segnali politici agli automobilisti ostinati, visto che c’è concordia che il provvedimento è perfettamente inutile.

Il futuro di Milano “storica” dunque sembra chiaramente delineato: una città senz’auto (e questo è ragionevole: non ci stanno fisicamente), “museo” con grandi valori urbani, storici e ambientali per i ricchi (e chi non vorrebbe abitarci, visto che i trasporti pubblici continueranno a essere ipersussidiati e, speriamo, ben funzionanti?). L’hinterland sarà abbandonato alla macchina privata (ipertassata) e alle fabbriche e, visto che tutte le risorse pubbliche saranno assorbite dai trasporti collettivi, con una rete stradale inadeguata e alti livelli di congestione (ma un contesto probabilmente meno inquinato, dato il rapido progresso tecnologico dei veicoli stradali). Così l’americanizzazione del territorio (comunque inarrestabile) sarà almeno esemplarmente punita….

Credo che occorre cambiare radicalmente questa logica, e spostare risorse intellettuali ed economiche fuori dalla Milano storica, per rendere più funzionali e vivibili le aree a bassa densità. Le infrastrutture “milanesi” valgono certo alcune decine di miliardi, e la rendita che hanno generato molti di più; ma forse è ora di avere una visione un po’ più ampia del fenomeno, e più attenta alle dinamiche reali, sia sociali che economiche che territoriali, che sono in corso, e che sembra irragionevole pensare che s’invertano.

 

Marco Ponti


 



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