16 marzo 2010

MILANO: COME SFUMANO 21 MILIARDI DI EURO?


Ci ricordiamo certo tutti quell’impareggiabile coppia di attori comici – Gabriele Albertini e Riccardo de Corato, nella loro riuscitissima maschera di sindaco e vicesindaco – quando a chi si lamentava dell’alto prezzo delle case a Milano rispondevano: ” I milanesi dovrebbero ringraziarci se le case costano care perché li abbiamo fatti ricchi”. Poi si sono accorti che dovendone comprare una misera manciata (niente rispetto al fabbisogno) per sistemare alcune famiglie in situazione insostenibile, il Comune per primo le pagava care, troppo care. Ma veniamo a oggi. Le ultime rilevazioni dei prezzi a Milano ci dicono che mediamente nell’ultimo periodo i valori immobiliari sono scesi del 10%. Allora, tanto per capirci, facciamo due conti con in mano i dati del censimento del 2001 e dunque certamente per difetto.

A Milano ci sono 60 milioni e 772 mila metri quadri di superfici destinate a residenza e se le valutiamo al prezzo medio di 3.500 € al metro quadro, per star bassi, fanno la bella sommetta di 212.701 milioni di euro o se preferite 212 miliardi e rotti d: la perdita di valore è quella che dicevamo: 21 miliardi. Davvero le case valevano quelle cifre? Davvero siamo più poveri? Sì ma. Ma dobbiamo distinguere tra valore di mercato e valore d’uso, tra chi la possiede e la abita e chi la vuol compare o vendere. Il discorso ci porta lontano: quando si parla della casa bisogna andar cauti, non è un bene commerciale come tutti gli altri e il mercato non ha mai le caratteristiche di un libero mercato competitivo ma piuttosto di un oligopolio diffuso. Per i cultori del libero mercato oggi la sua mano invisibile ha fatto ai risparmiatori il gesto dell’ombrello e non solo ai proprietari di casa. Ma i dati statistici sulle abitazioni sollecitano anche qualche altra curiosità.

Quanto vale la rendita di posizione complessiva a Milano, quella che volgarmente chiamiamo speculazione? Presto fatto: dai 212 miliardi di valore togliamo il costo di costruzione, progettazione, oneri di urbanizzazione e ci restano almeno 140 miliardi di euro di rendita di posizione pura solo per le case d’abitazione e aggiungiamoci gli uffici e tutto il resto. Sono stato prudentissimo in tutte le cifre, probabilmente si tratta di molto di più. Un ultimo dato, poi veniamo a noi: il patrimonio pubblico di edilizia residenziale rappresenta il 6% del totale, il più basso in Europa tolta forse la Grecia. Ma dove vogliamo arrivare con questi discorsi? In primo luogo è evidente che la casa (housing, public housing, social housing e così via neologicizzando) ha bisogno di strutture pubbliche cha tengano monitorato il mercato quasi quanto e di più del mercato finanziario, e dunque va ripristinato il Ministero della casa e l’Assessorato alla casa nei Comuni, senza questa strana vergogna di usare il termine “popolare” e non certo per compiacere Berlusconi che di “popolo” si riempie vanamente la bocca ma perché popolare non è un insulto.

Dobbiamo separare il problema della casa da quello più generale dell’urbanistica: è vero che non c’è edilizia se non ci sono aree urbanisticamente disponibili ma non è assolutamente vero che basta questa disponibilità perché le case si facciano. Il loro valore dipende da molti fattori che attengono al valore complessivo di una città, che non si misura solo in termini monetari come ho fatto io sinora in quest’articolo ma anche pensando ad altre e ben più articolate fattispecie di valori, dalle infrastrutture ai servizi sociali, dalle istituzioni alla percezione di benessere. Il valore e quindi la “ricchezza” di una città saranno l’oggetto di una serie di articoli che compariranno su questo giornale, cominciando da oggi, con quello firmato da Franco Morganti.

Vogliamo capire in che cosa consista la ricchezza della città per capire dove vadano indirizzati gli sforzi e le scelte politiche per mantenere, possibilmente accrescere ma anche meglio distribuire questa ricchezza.

L.B.G.



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