8 marzo 2010

INTERVISTA A SUSANNA BELLANDI, CEO DI FUTURE BRAND


“Ora basta con la finzione. Io ho cinquant’anni, siamo in pieno duemila e mi domando: che eredità stiamo lasciando ai nostri figli? Forse in alcuni casi un normale benessere, ma non è questo il punto, voglio dire- c’è un’idea, un sentimento, una morale, una visione del mondo?” (G.Gaber- “Quella volta lì avevo 25 anni”)

… Ci risponde Susanna Bellandi, CEO della Future Brand di Milano e Parigi, che si occupa di fornire consulenza di marca e di design ed è inoltre la più importante agenzia internazionale di branding in Italia. Susanna ha 55 anni, è sposata e ha un figlio di 20.

“Sebben che siamo donne paura non abbiamo” cantavano le ragazze più e meno giovani di “Siamo tutte a piede libero“, associazione scattata a Roma, nell’aprile del 1977, quando il movimento delle donne manifestava davanti alla Rai, mostrando provocatoriamente gli zoccoli, considerati dalla polizia un’arma impropria mentre il Parlamento iniziava a discutere la legge sull’aborto. 33 anni sono passati. Erano gli inizi di una rivoluzione già in corso a livello mondiale che avrebbe dato presto i suoi frutti. Giusti? Sbagliati? Sta a ognuno di noi deciderlo. Fatto sta che il mondo è cambiato e insieme con esso anche la nostra Italia. E le ragazze oggi hanno cambiato volto, il loro futuro ha spalancato nuove porte dai risvolti spesso inediti. Ma ora che la rivoluzione si è esaurita e gli animi si sono freddati, che cosa ne è rimasto?

Susanna, quando hai cominciato a lavorare? Io ho sempre lavorato, sin dall’università. Quello che ci caratterizzava ai miei tempi era la voglia d’indipendenza-subito. Uscire di casa e guadagnarsi soldi propri. Era dunque normale che durante il periodo universitario si cercassero dei lavori. Ho lavorato anche a tempo pieno, ma senza che mi venissero pagati i contributi. Quindi ho realmente cominciato a lavorare nell’80-’81.

Il mercato del lavoro era più ampio di quanto non lo sia ora. Non ci si poneva proprio il problema, quando facevi l’università, che uscitane, avresti trovato subito un lavoro. La prima, vera, grande differenza tra ieri e oggi è che allora non c’erano dubbi. C’era un futuro. Per tutti. Sicuramente qualcosa avrei fatto, tant’è che non mi ero posta neanche bene il problema di che cosa avrei fatto. Appena laureata ho ricevuto il primo impiego serio, all’Alitalia, alle pubbliche relazioni. Non c’erano le scuole per svolgere questo mestiere, come non c’erano per le comunicazioni. S’imparava sul campo. Dopo un paio di anni ho iniziato a lavorare come account in ambito pubblicitario. Il ruolo di stagista non esisteva. Si veniva assunti- a basso costo- ma quei soldi avevano più valore di oggi. Al primo impiego guadagnavo 750.000 lire. E ci vivevo.

Quando nasce lo stagista? Non esiste da tantissimo questa ‘invasione’ di categoria.

Come ci si è arrivati? Assumere vuol dire accollarsi un costo fisso, quindi si ricercano quelle forme di assunzione che ti permettono di interrompere il rapporto di lavoro quando è più conveniente. Lo stagista troppo spesso non viene retribuito. Io mi sono sempre rifiutata di non farlo. Suppongo che nella nostra azienda siano elargiti i migliori stipendi per stagisti. Diamo 700-750 €. Che è tanto rispetto a niente. Anche perché poi noi facciamo un lavoro particolare. In pratica i nostri stagisti ce li ‘forgiamo’ e costruiamo la professionalità di queste persone. Detto questo, per tornare alle differenze tra ieri e oggi, i ragazzi non vedendo un futuro, cominciano a lavorare senza crederci più di tanto. Ora mi trovo ad avere quattro account su nove in maternità e mi sono quindi vista dovere attingere a delle forze lavoro a tempo determinato. Li osservo ormai da qualche mese e vedo che faticano molto a vedere questo loro ruolo precario con impegno. Stanno a interrogarsi tra loro sul proprio futuro in azienda e a preoccuparsi di quando torneranno le neo-madri. E si chiedono: “Perché dovrei impegnarmi più di tanto”.

Cosa ne pensi di questo atteggiamento? Lo trovo proprio sbagliato. Non lo condivido. Innanzitutto perché non lo so io cosa succederà nel futuro prossimo, figuriamoci loro. L’ho detto e lo penso fermamente: farò di tutto pur di tenerli, tutti quanti, anche perché il loro costo non incide drammaticamente sull’azienda. Io offro a dei ragazzi giovani se valgono. Offro loro l’opportunità di imparare un mestiere e quindi investo su di loro.
Venendo al ‘problema donne’, io devo dire che le ho sempre privilegiate in qualche modo, ma non per idealismo. Avendo però fatto l’esperienza di partire dal basso, di farmi tutta la scala dei livelli del mondo commerciale della comunicazione; avendo io avuto un figlio, ho imparato una cosa che poi ho riverificato anche sulle altre persone con le quali ho lavorato: la maternità rende le donne più forti, più sicure e quindi più brave. Non mi sono mai posto il problema. Ho sempre assunto donne, che come account nel mondo della comunicazione sono più brave degli uomini. Fino a tempi recenti, quando mi sono trovata con le spalle contro il muro, quando la maggior parte di loro hanno privilegiato la vita privata rispetto al lavoro.

Quindi ritieni che il tuo sia un modello vincente, fino a prova contraria. Se decidono che vogliono lavorare anche dopo la maternità, devono puntare molto sulla famiglia, ma se scelgono di tornare al lavoro, questa scelta non deve essere a discapito dell’azienda. Non posso tollerare che se decidono di tornare, a ogni starnuto del bimbo, a ogni festicciola d’asilo corrano a casa, danneggiando il posto di lavoro.

Qual è oggi il ruolo dell’uomo-padre? Sicuramente rispetto alla situazione precedente l’uomo è più coinvolto nella vita famigliare. Più spesso limita però il suo tempo al fine settimana ma non mi risulta che gli uomini diventino “mammi” a tempo pieno. L’uomo quando lavora, lavora. E basta. Mi dicono sempre che sono un’eretica, quando rispondo alla domanda: ma se io non posso permettermi qualcuno che segua mio figlio, come posso fare?
Io so che quando ho avuto mio figlio, tanto guadagnavo, tanto spendevo per la baby-sitter. Poi avevo anche un marito che guadagnava. Pochissimo, ma guadagnava. La soluzione sarebbe che lo stato sostenesse le situazioni di queste donne. Capisco che sembra un’eresia dirlo in questo periodo nel quale mancano i soldi per qualsiasi cosa nelle casse dello stato, ma questa è l’unica soluzione che riesco a intravedere.

Hai bisogno di un account. Un uomo e una donna a colloquio. Pari credenziali. Quale scegli? Non mi sono neanche mai sforzata di guardare chi avessi di fronte se una donna o un uomo, anche perché uguali le credenziali non sono mai. Per me la vera parità è quando si riesce a non guardare in faccia chi hai di fronte, ma giudicare e scegliere solo in base alle loro capacità, ai risvolti che prende il colloquio. La cosa fondamentale è il dialogo. Poi questo periodo mi prende un po’ in contropiede per la situazione dilagante delle maternità nella mia azienda. Quindi se la domanda fosse- oggi chi cerchi: uomini o donne? La risposta sarebbe: uomini. Per una pura necessità di stabilità interna.

In termini giuridici, quali agevolazioni vengono attribuite alla donna in maternità oggi? Se il periodo della gravidanza non ha complicazioni, la donna può scegliere se restare a casa dal settimo o dall’ottavo mese. Il periodo di maternità obbligatorio è di cinque mesi. Quindi possono scegliere se fare il due più tre o l’uno più quattro. Questo è il periodo obbligatorio poi ci sono altri cinque mesi facoltativi dove lo stipendio viene pagato dall’Inps che copre il 100%.

E quando tornano in azienda …? Quando tornano in azienda te ne accorgi subito. C’è il modello “mamma apprensiva” che è un disastro. Ovvero sta in azienda fisicamente ma con la testa è a casa dal bambino. Il caso più frequente è che tornino più forti, è solo il tempo che dedicano a vacillare. Soprattutto se poi arriva il secondo figlio. Tra l’altro quando tornano subentra il periodo dell’allattamento che va avanti per un ulteriore anno. C’è chi di queste cose ne tiene conto e chi no. Lì capisci chi reagisce continuando a voler fare carriera, ovvero che non si rassegna a stare china sui pannolini, ma reagisce o chi decide di continuare a lavorare per la pagnotta.

Che cosa succede quando arriva lo scavalcamento in famiglia? Quando la donna arriva a guadagnare più del marito o del compagno … In risposta ho solo la mia esperienza personale. Da noi in famiglia non è successo assolutamente nulla, va sottolineato però che mio marito è della mia stessa generazione e non di quella antecedente, cosa che potrebbe fare la differenza. Sicuramente un pelo di orgoglio ferito non lo si può negare. Il tipico ‘macho ferito’, più o meno riconosciuto e ammesso, c’è. Comprensibile poiché all’uomo storicamente nella società spetta questo ruolo. Però nel nostro caso personale io il problema non l’ho sentito, anche perché lui per anni ha guadagnato più di me e abbiamo sempre messo tutto nel calderone.

Cosa ne pensi dell’idea degli ‘asili aziendali’ come soluzione al problema che dicevi tu prima del famoso starnuto. L’idea che il mattino tu vada in un ufficio e prima di entrare lasci il bimbo all’asilo nella porta a fianco mi piace molto. Il sacrificio della pausa caffè per andare a vedere come sta tuo figlio, mangiare con lui all’ora di pranzo, lo troverei fantastico. E sono anche convinta che ognuno sarebbe solo felice di rinunciare a una minima parte del proprio stipendio per investirlo in un progetto del genere.
Ho anche pensato di attuarlo nella nostra azienda, avevo trovato anche le persone, poi un po’ per mancanza di tempo e un po’ per le implicazioni giuridiche e burocratiche che l’istituzione di una struttura di questo genere comprenderebbe, mi sono sentita ostacolata e ho rinunciato.

Future Brand Italia a livello globale sta facendo i migliori fatturati di tutte le altre filiali, anche in tempo di crisi. Come è visto questo successo capitanato da una donna? Al massimo si stupiscono ma non te lo diranno mai. Quindi io non lo so. Vedo solo grandi dubbi da parte di tutti sulla possibilità di continuare a conseguire eccellenti performance nei prossimi anni.
Io sento ancora un atteggiamento fortemente maschilista e sottolineo che io femminista non la sono stata mai. Credono molto nel machismo del management, ma di fatto la storia sta dando loro torto. Non credo poi neanche di essere la regola, perché se guardiamo i numeri, le donne dirigenti sono ancora poche.

Se potessi tornare indietro e avessi il potere di cambiare la storia, cancelleresti quelle rivoluzioni che ti hanno portata a raggiungere il tuo ruolo all’interno di questa azienda? Non le cancellerei assolutamente, anche se si sono fatti errori.

Che cosa cambieresti? Ripercorreresti tutti gli step dal basso verso l’alto per arrivare in cima? È facile dirlo adesso. Forse cambierei gli studi. Sapendo dove sono arrivata, potessi tornare indietro studierei qualcosa di diverso, di più idoneo al lavoro che avrei svolto. Ma ero troppo immatura e inconsapevole.

Un consiglio alle giovani dipendenti che vogliono tentare la scalata nel mondo del lavoro? Le donne tendono a essere più gelose degli uomini, tra di loro. Il consiglio è di pensare al loro lavoro, di farlo bene, senza guardarsi troppo attorno, deconcentrarsi e guardare cosa fa quello accanto, quanto guadagna, ecc. ecco, pensare a fare il proprio. E a farlo bene. A me questo atteggiamento ha ripagato, penso lo possa fare anche per gli altri.

Giulio Rubinelli



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