22 febbraio 2010

Scrivono vari 22022010


Scrive Gian Pietro Venturi

Non condivido il giudizio sulla nuova costruzione. E’ un giudizio solo politico di parte e non un giudizio che proviene da una persona che si qualifica architetto. Non è un giudizio professionale che può essere anche negativo ma che esprime un proprio vissuto.

Scrive Manuela Bianchi

Concordo totalmente con le opinioni dell’architetto Origlia e, come cittadina milanese, sono molto preoccupata. Quanto sostenuto nell’articolo è constatabile da chiunque: grattacieli e nuove costruzioni da adibire a uffici sorgono ovunque come funghi. Uno scempio al Portello, così come ad Assago, a Gioia, etc. Purtroppo fra poco toccherà anche all’area Fiera e, come abitante di questa zona non ne sono per nulla contenta. Già alle mie spalle hanno costruito la Residenza Prati: un ecomostro (come lo chiamiamo noi) che più che una “residenza” pare un alveare. Un palazzo enorme strettissimo fra altri palazzi, che si affaccia su una via di dimensioni molto ridotte: un “non senso” architettonico ma con un “chiaro senso” economico. Ma, al di là del discorso di chi occuperà tutti questi uffici – visto che già ci sono decine e decine di strutture vuote che recano il cartello affittasi, soprattutto in zona Lorenteggio/Corsico – mi chiedo: come concilia il Comune, che dà tutte queste autorizzazioni a costruire e che – come sostiene l’assessore Masseroli – intende far diventare Milano una città da 2 milioni di abitanti, con il discorso inquinamento? Sono ormai anni che in inverno superiamo tutti i limiti previsti per le polveri sottili per un sempre maggior numero di giorni. Si parla sempre e solo di auto, come se fossero l’unico problema. In realtà, il vero problema sono l’emissione delle caldaie dei palazzi. Ecco, in merito a questo, qualcuno mi sa dire se in Comune quest’argomento è stato affrontato e come pensano di conciliare una politica anti-inquinamento con questa politica “iper-immobiliarista”?

Scrive Carlo Stanga

Sono tra gli architetti che non hanno voluto affrontare l’assalto in forma di mandria al cantiere del nuovo palazzo Lombardia (non lo chiamo Pirellone bis per rispetto a Gio Ponti). Sono d’accordo con l’architetto Origlia: il paragone con Potsdamer Platz e con il Sony Center, che sembra il modello di riferimento dei progettisti, è assolutamente pertinente, a tutto svantaggio dell’edificio milanese. L’aspetto più evidente è la mancanza di legami con la città, così che il palazzo appare come un elemento estraneo rispetto al contesto urbano, come un oggetto mastodontico caduto dal cielo e atterrato lì per caso. E’ talmente forte questo senso di non appartenenza che tutta la retorica profusa a voler trovare dei legami con il territorio lombardo non è altro che la dimostrazione di questo scollamento, quasi a voler soffocare una sorta di senso di colpa mal celato. “La nuova sede della Regione non c’entra niente con Milano, come non c’entreranno niente lo smilzo, lo storpio e il gobbo, lo sappiamo già. Milano sta diventando una città sempre meno originale e sempre più standard, chiusa nel provinciale entusiasmo per ” il grattacielo”, peraltro di altezza sempre modesta, ripescato da qualche cassetto e piazzato nel tessuto urbano con l’aiuto di provvidenziali rendering, spesso accompagnati da grande abbondanza di alberi simili a mostruose selve amazzoniche o esagerate foreste nere: si sa, i software fanno calcare la mano e il verde sembra ormai un viatico per tutto. Insomma la Milano del futuro si profila come una città sempre più simile ad altre, priva di nuove sperimentazioni architettoniche ben contestualizzate, ma disseminata di torri ” per caso “, come una sorta di Francoforte senza il Meno.

Scrive Fabio Rossella

Sono stupefatto dal leggere l’articolo nel numero 6 della vostra rivista a firma Gianni Zenoni. Credo che a tutti i milanesi la torre scenica e la torretta dei servizi, “… uscita dalla Galleria” appaiano come un vero scempio al vecchio teatro. Quando poi leggo più sotto che qualcosa impedisce il godimento delle lucine notturne, non so più cosa pensare! Il povero Teatro alla Scala era un esempio unico di teatro settecentesco con strutture di palcoscenico storiche. Neanche i bombardamenti della seconda guerra mondiale erano riusciti a far tanti danni.  Ora non c’è più. Sono rimasti i palchi e la platea. E noi godiamoci le lucine e quelle orrende strutture bianche costruite sullo sventrato Teatro e sull’ex Piccola Scala. Evviva il genio architettonico di cui parla il vostro articolista.



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