22 febbraio 2010

IL PALAZZO DI GIUSTIZIA A PORTO DI MARE? NO GRAZIE.


Da alcuni mesi si è diffusa la notizia che i Ministeri della Giustizia e dei Beni Culturali, Regione Lombardia, Provincia e Comune di Milano hanno avviato una procedura per il trasferimento degli uffici giudiziari e del carcere di S. Vittore dalle sedi attuali, tra cui lo storico Palazzo di Giustizia, a un nuovo insediamento, denominato “Cittadella della Giustizia”, da costruire nel quartiere di Porto di Mare.

Negli atti amministrativi sinora redatti si legge, quanto al Palazzo di Giustizia, che la “crescente domanda di giustizia ha registrato un forte incremento di esigenze funzionali”, sicché esso non sarebbe in grado di “rispondere alle esigenze funzionali nelle strutture originarie”.

L’area di Porto di Mare, ubicata nell’estrema periferia sud-est di Milano e in parte ricadente nella zona del Parco Agricolo Sud, è stata individuata, così si legge, perché, essendo in stato di abbandono, la realizzazione della Cittadella della Giustizia ne consentirebbe la riqualificazione e perché vicina all’autostrada del Sole, alla stazione ferroviaria di Rogoredo e dotata di metropolitana.

Quanto al finanziamento dell’opera, si legge che le strutture in questione, per collocazione centrale e caratteristiche architettoniche, costituiscono “una rilevante risorsa economica”, talché il loro “riuso” sarebbe sufficiente a finanziare la rilocalizzazione delle funzioni. A quel che risulta, sin da oggi, l’operazione è stata oggetto di studi preliminari giunti in fase avanzata ma l’Accordo di Programma che ne costituirebbe la base non è stato firmato. La bozza che ne è stata redatta delinea però chiaramente il “riuso” che si vorrebbe fare del Palazzo di Giustizia: un museo, ma soprattutto un albergo di lusso, spazi commerciali e di ristoro, uffici e residenze.

Molti sono gli aspetti che fanno considerare questo progetto del tutto inopportuno. Anzitutto, sul piano logistico, sono recuperabili all’interno e all’esterno del Palazzo ampi spazi, sufficienti a rispondere alle future esigenze degli uffici giudiziari (cambio di sede dell’Archivio Notarile; informatizzazione dei processi e degli archivi). Addirittura in area limitrofa è già oggi in costruzione un grande edificio adibito a uffici giudiziari! L’area di Porto di Mare è mal servita, difficilmente raggiungibile e al suo degrado si somma quello del vicino quartiere S. Giulia, ove il faraonico intervento programmato è tragicamente fallito.

Ancora: il Palazzo di Giustizia è sottoposto a vincoli architettonici, né è impossibile la “valorizzazione” attraverso una diversa destinazione a scopi commerciali. Ma ciò che soprattutto incredibilmente sparisce nell’argomentare la necessità del trasloco è proprio l’apprezzamento del piano culturale e simbolico, fondamentale nel valutare tutta l’operazione.

“Fiat Iustititia ne pereat mundus”, “Iustitia fundamentum regni”…Questo è scritto sui frontoni del Palazzo, che nasce e vive come Palazzo di Giustizia. Progetto di Piacentini, realizzato negli anni ’30, contiene opere di Carrà, Severini, Sironi e altri grandi artisti. Un luogo che volutamente manifestava – secondo i codici del periodo – l’autorità della Giustizia e che tuttora, in tempi di democrazia, rappresenta dignità e prestigio della funzione giudiziaria. Essa ha oggi la possibilità di essere esercitata, a Milano, in un luogo ricco di simboli e di richiami forti, un luogo che impone a tutti la riflessione sui suoi scopi, sui suoi metodi e sui suoi effetti. La Giustizia repubblicana si è appropriata del palazzo e ne ha fatto un suo luogo di elezione, secondo a nessuno, nemmeno al “Palazzaccio” di Roma. Ne fanno fede, se non altro, le centinaia di ore di riprese televisive che hanno riguardato, in questi anni, l’attività giudiziaria che vi si è svolta. Sbaglierebbe molto chi, ancor più nell’attuale società dell’immagine, sottovalutasse la portata simbolica del palazzo milanese e la sua funzione di storicizzazione della giustizia.

Ebbene, lo sfratto della Giustizia dal Palazzo sarebbe il segnale della marginalizzazione e burocratizzazione della Giustizia, plasticamente relegata in una periferia anonima, priva d’identità, collocata là dove speculazione immobiliare e finanziaria vogliono.

Credo allora che dobbiamo riflettere molto a fondo se acconsentire a un’operazione simile o se invece propugnare un’altra soluzione e indicare il vero traguardo di modernità da perseguire in questa situazione, costruendo invece che una Cittadella lontana, chiusa ed estranea al cuore della città, un “Borgo della Giustizia” che – composto, oltre che del Palazzo, di altri edifici storici e di edifici nuovamente adibiti ad uso giudiziario così come della vicina Facoltà di Giurisprudenza e dei tanti uffici di avvocati insediati nella zona – ben può rispondere, esaltando l’esistente e valorizzando il centro storico nel solco della sua tradizionale identità, alle sfide di efficienza che la modernità richiede alla funzione giudiziaria. L’approvazione del PGT in corso in Consiglio Comunale, in questo senso, è un’occasione da non perdere.

Angelo Mamabriani*

 

*) Presidente di Sezione del Tribunale di Milano



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