22 febbraio 2010

A PAOLO DEL DEBBIO. LA RESA DEI CONTI


Caro Paolo, ho abbastanza stima di te (reciproca, credo) anche se non siamo proprio amici, da essere sicuro che prenderai en amitié la segnalazione di due evidenti contraddizioni nelle tue affermazioni sul Corriere del 13 Marzo. La prima. Premetto che ti fa onore, come filosofo, l’affermazione che l’umanità è naturalmente corrotta: tutti uguali dunque, la corruzione è ineliminabile. E’ bene che i filosofi siano pessimisti, altrimenti perdono di lucidità di giudizio. Come filosofo cattolico, poi, credi al peccato originale e questo tuo cinismo (in senso tecnico filosofico, mi intendi) è rafforzato, anche se superficialmente sembrerebbe contraddittorio. Io non sono d’accordo, perché questa filosofia contrasta con la mia esperienza di una vita, ahimè ormai sufficientemente lunga da avermi offerto molti casi di studio, tra i quali anche quelli di non poche persone integre. E poi in base al semplice ragionamento che tutta la riflessione moderna, da Hobbes in poi, insegna che nessun sistema potrebbe funzionare se oltre alla corruzione non ci fosse anche l’integrità. Perché lo stato di homo homini lupus, come sai perfettamente dal Leviatano, porta a una vita “poor, nasty, brutish, and short”. Ora noi possiamo avere opinioni molto diverse sulla qualità della vita nella società contemporanea, se sia buona o cattiva, ma nessuno può contestare che, nel bene o nel male, si sia grandemente allungata grazie a quel contratto collettivo che possiamo chiamare in molti modi, ma che al fondo rimanda allo Stato moderno e ai principi incorporati nella Costituzione.

Però io sono un convinto relativista, per la semplice ragione che l’antonimo di relativismo è assolutismo e nel XX secolo di assolutismi ne abbiamo avuti fin troppi, e quindi credo sarebbe fiato sprecato se io cercassi di convincerti a non essere cinico, come lo sprecheresti tu se cercassi di convincermi a non essere moderatamente progressista. Dopotutto, come dice il grande eticista americano K.A. Appiah, per citare uno del tuo mestiere, “la nostra esperienza quotidiana ci insegna che i rapporti tra persone non partono dagli accordi sui principi. Chi, se non qualcuno ossessionato da qualche tremenda teoria, vorrebbe insistere su accordi di principio prima di decidere quale film andare a vedere o a che ora andare a dormire?” (Cosmopolitanism, 2006 p. 68). So bene che mi dirai che purtroppo in Italia abbiamo l’esperienza opposta perché per anni i rotocalchi ci hanno inzeppato la testa con il fatto che la doccia è di sinistra il bagno di destra o che ai veri uomini piace il Milan, ma non la quiche e amenità del genere, ma fortunatamente a giudicare dagli svolazzi ideologici di molti personaggi, pochi ci hanno creduto. Ma, dicevo, tu cadi in una contraddizione profonda proprio perché credendo che la corruzione sia connaturata alla specie umana, poi proponi non un rafforzamento, ma un indebolimento dei controlli. Come la mettiamo?

La seconda contraddizione sta nell’insanabilità tra il credere che tutti (lo dici tu) siano corrotti perché è nella natura umana e il volersi, poi, mettere nelle mani dell’uomo della provvidenza. Purtroppo da Craxi in poi è passata la teoria della governabilità (ma a quale fine?) e del “fare” (ma che cosa?) e dell’intangibilità del manovratore, anzi non lo si deve neppure disturbare. Si è creata la figura del governante eroe-semidio o addirittura investito di grazia divina. Invece di una modernità intelligente, al nostro paese sono stati proposti i principi Ancien Régime della gerarchia e del sistema che Weber definisce patrimoniale-tradizionale, in cui l’attività di governo è regolata dai rapporti di deferenza. Chi pretende di controllare, anche se a ciò preposto dalle leggi, è automaticamente nemico o “comunista”. Ma la democrazia costituzionale, come la scienza moderna, figlia degli stessi padri, è basata su fondamenti esattamente opposti: cioè sull’assunto della fallibilità umana (come anche tu dici) e quindi sulla necessità di controlli dell’errore che, nel mondo scientifico, sono la sperimentazione e la verifica dei pari e, nel sistema politico quelli che si chiamano “checks and balances”.

Ce lo ricorda con l’usuale concisione e maestria Nadia Urbinati su La Repubblica, del 17 Febbraio 2010, “La propaganda dell’emergenza”, riprendendo sostanzialmente un tema sul quale il Nobel Amartya Senn ha scritto pagine memorabili, dimostrando che proprio nelle emergenze è la democrazia a essere più efficiente del Superuomo. Grazie all’ideologia politica dominante, qui si è arrivati al punto che il direttore di uno dei maggiori quotidiani del paese, cioè per definizione parte del sistema di controlli, sfoderando una chutzpah formidabile, ha sostenuto senza neppure il sospetto di un’assonanza storica, che discutere delle (registrate, documentate e dallo stesso vantate) prodezze di letto del premier lo distraeva (il discutere, non le prodezze) dagli impegni politici. Siamo entrati in un sistema diverso da quello previsto dal meccanismo di “checks and balances” che, difatti, nel nostro paese, da vent’anni a questa parte è sottoposto a un’incessante processo di smantellamento ed erosione. Ma i conti poi si pagano: non esiste, come si dice nel mondo anglosassone, nessun pranzo gratis.

Non è tanto la persona Bertolaso, ma il sistema che lo ha eroificato e deificato, a cadere a pezzi e non perché Bertolaso va a farsi fare i “massaggi” come un qualsiasi Gay Talese – sia pure con tutto quel che la parola evoca nel cuore macho dei Billionaires, e il carattere sovrumano del tentativo di far credere a un mondo maschile cresciuto nel mito degli “aspettoni” delle Blue Bell Girls nel retro del Teatro Lirico, che tutto quel bendiddio di carne abbronzata venisse aerotrasportato sulle rive del Tevere solo per quattro salti in famiglia. Il modello Bertolaso crolla quando lui stesso, per difendersi, ammette che qualcosa gli deve essere sfuggito e distrugge così le premesse del meccanismo dell’affidamento al Superuomo: Achille non può piagnucolare sul suo tallone. Se ti è scappato qualcosa – Oh Intoccabile Eroe! – abbiamo ragione noi poveri mediocri comuni cittadini che vogliamo che i nostri soldi vengano spesi oculatamente e che qualcuno (non l’interessato, ovviamente) controlli che ciò avvenga. E’ sui meccanismi e sulle pratiche di controllo che voi filosofi cinici dovete aiutare tutti noi a trovare la soluzione, non limitandovi alla ripetizione generica dell’ineluttabilità del male.

Tuo Guido

 

PS. Tra il momento in cui ti ho scritto la lettera e la sua pubblicazione sono usciti vari testi che sarebbe troppo lungo riprendere qui, ma che peraltro non aggiungono nulla al discorso. Ne è un buon esempio l’editoriale di Galli della Loggia “La corruzione e le sue radici” (Corriere, del 17 Febbraio) che però non fa altro che ripetere – ovviamente senza citarti, ma qui la citazione non usa più – con molte più parole e molto minore lucidità quello che avevi scritto tu.

 

    



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