22 febbraio 2010

PROIBIZIONISMO AUTOMOBILISTICO, OVVERO DEL “PRINCIPE BENEVOLO E ONNISCENTE”


Paolo Hutter sostiene su Repubblica-Milano che le automobili la domenica vadano proibite comunque, anche se non inquinano. Forse si è accorto che i nuovi modelli, e soprattutto i nuovi prototipi, inquinano sempre meno, e teme che alcune argomentazioni ambientali siano destinate a indebolirsi, per cui previene il catastrofico rischio.

Che questa visione illiberale dei “divieti a priori” provochi dei costi sociali che vanno valutati a fronte di benefici sembra non sfiorarlo. Il “principe” ne sa sempre di più degli stupidi sudditi, irretiti in questo caso da una subdola pubblicità a usare le macchine, pubblicità in cui cascano sistematicamente nonostante le altissime tasse (due terzi circa dei costi d’uso) che gli gravano sopra. A quando proibire i cibi grassi? O l’alcol, (che fa notoriamente più danni della cannabis, ma ha una lobby difensiva più potente)? O la stessa pubblicità delle automobili, così suadente?

Proviamo prima con il buon senso, e poi con qualche ragionamento economico. Fiumi di macchine vanno fuori città le domeniche: a sciare d’inverno, al mare d’estate, o a trovare la zia in campagna, o a giocare a tennis fuori porta. Alcuni sono i “guidatori della domenica”, abbastanza fortunati da avere il posto di lavoro collegato alla residenza dal trasporto pubblico, per cui durante la settimana non la usano. Solo i più ricchi vanno via l’intero week end (in seconde case o in albergo), e magari rientrano il lunedì, ma comunque sfuggirebbero al divieto.

La domenica usano la macchina a questo scopo in genere famiglie, o coppie. Ma certo, ci possono andare in autobus o in treno! E’ la stessa cosa, anzi, così evitano l’egoismo di stare tra di loro, chiusi in una scatola di latta, e socializzano gaiamente con altre persone! Dati i numeri in gioco (flussi “da tempo libero”, e perciò molto dispersi nello spazio e nel tempo), il costo per le casse pubbliche del trasporto collettivo sussidiato da rendere disponibile sarebbe davvero molto alto. Ma cosa importa? Qualcuno pagherà.

Ora, i costi sociali dei divieti si possono misurare, ma nessuno lo fa. Tanto quelli colpiti in questo caso sono gli automobilisti, gruppo poco vocale (Marchionne non sembra tuonare contro tasse e divieti, tanto sa benissimo che il bisogno della mobilità individuale è incomprimibile nelle società post-tayloristiche, e soprattutto per il tempo libero). Come si misurano questi costi? Con la perdita di surplus sociale, che è la differenza tra quanto una cosa è giudicata utile dai consumatori e le risorse che si consumano.

In prima approssimazione, una stima (iper-prudente) dice che una cosa è giudicata utile almeno quanto gli utilizzatori pagano per usarla (in realtà molto di più, perché questa “disponibilità a pagare” incorpora i risparmi di tempo di viaggio, che hanno valori altissimi nei paesi sviluppati, grazie ai nostri redditi). Le risorse nette consumate sono quelle per far viaggiare gli autobus aggiuntivi, meno i costi industriali che si risparmiano non viaggiando in macchina. Il saldo sociale netto, stimato molto per difetto e con approssimazione, sono le tasse sulla benzina che la domenica non sarebbero pagate, più il costo industriale del trasporto pubblico aggiuntivo. C’è da credere che emergerebbero valori interessanti.

Ma Paolo Hutter è uomo d’onore, e spesso combatte battaglie giuste e difficili (non questa). Per cui sono sicuro che non pensava a odiosi divieti, ma a civili esortazioni a non usare la macchina la domenica … meglio dirlo esplicitamente però. Per inciso, il fatto che una seria e nota studiosa ambientalista militante, come la professoressa Maria Rosa Vittadini, abbia ricordato sulla Repubblica stessa che il traffico genera non più del 26% delle emissioni nocive non è stato ripreso o criticato da nessuno, e mi piacerebbe molto capire il perché …

Marco Ponti



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