23 febbraio 2019

IL 1959 A MILANO, TRA STRIPTEASE E POLITICA

Per il centrosinistra è l'anno della svolta. Il ruolo di Ezio Vigorelli


190223_Marossi 3 vigorelli e aniasi

190223_Marossi 1La prima giunta di centrosinistra milanese è del gennaio 1961 ma in realtà la svolta avvenne nel 1959. In quei mesi la città sembrava più interessata ai manifesti ammiccanti “Parigi arriva a Milano”; il Teatro alle Maschere di via Borgogna 7, sala da 158 spettatori dei quali 53 seduti, stava infatti per abbandonare una economicamente difficile programmazione dedicata agli atti unici (ricordiamo quelli di Carlo Terron, Luigi Pirandello, Umberto Simonetta, Rosso di San Secondo, Peppino De Filippo, Giovanni Mosca) per introdurre la si suppone ben più remunerativa Rita Renoir star parigina dello striptease con cachet da 80.000 lire a serata; l’annuncio però allerterà i solerti censori della questura che imporranno l’assoluta obbligatorietà di mutandine e reggiseno, rovinando le attese dell’affollata platea di giornalisti e flaneur.

Parigi arriverà effettivamente a Milano pochi mesi dopo con il più vestito generale De Gaulle in visita per celebrare l’anniversario della battaglia di Magenta, il presidente dormirà in prefettura e pasteggerà a Villa Comunale (menu tristanzuolo: cocktail di gamberi, flan di verdure, petti di pollo con crema di funghi, gelato al limone ma con una perla, lo storione del Po in bellavista). A ricevere De Gaulle il presidente Giovanni Gronchi, il premier Antonio Segni, i presidenti di Camera e Senato e un interminabile stuolo di autorità tra cui il sindaco Virgilio Ferrari, la cui giunta è nel pieno della bufera. Nel gennaio infatti la sinistra socialdemocratica aveva deciso di lasciare il Psdi fondando (l’8 febbraio) il Muis, Movimento Unitario di Iniziativa Socialista. Tra gli scissionisti due dei suoi più importanti assessori i socialdemocratici Aldo Aniasi, e Lamberto Jori, che lasciano le rispettive cariche passando all’opposizione.

Scrive Enrico Landoni: “Aniasi rassegnò le dimissioni dall’incarico di assessore all’Economato ricoperto all’interno della Giunta Ferrari, accusando il Sindaco e la coalizione centrista che sosteneva la sua amministrazione, di aver colpevolmente anteposto le ragioni di partito alle vere istanze della città. A suo avviso, il Psdi e la Dc avevano commesso un grave errore nell’impedire al Psi, disposto a condividere gli obiettivi programmatici definiti dalla giunta allora in carica, di entrare a far parte della maggioranza organica del consiglio comunale. Iso era convinto del fatto che socialisti e democristiani fossero pronti ad elaborare insieme un’articolata piattaforma programmatica, che avrebbe certamente potuto incontrare il consenso di altre forze democratiche e progressiste, rappresentando un importante modello di riferimento anche su scala nazionale. Per questo è possibile affermare che le svolte politiche consumatesi a Milano anche per effetto del significativo contributo di Aniasi ebbero un indubbio valore nazionale.” Con Aniasi sono altre figure importanti del riformismo milanese e nazionale (che il primo maggio 1959 aderiranno al Psi): Corrado Bonfantini, Ugo Faravelli, Matteo Matteotti ma sopratutto uno dei grandi protagonisti della vita politica cittadina, Ezio Vigorelli.

190223_Marossi 5 nenni e vigorelliNato nel 1892, avvocato, era entrato nel consiglio comunale milanese nel 1922 per la lista dei socialisti unitari assieme a Turati, Treves, Caldara, Gonzales, Mondolfo, D’Aragona, Nino Levi, Paolo Pini, Osvaldo Maffioli, Giovanni Forlanini, Antonio Mascheroni, Cesare Marangoni, Pietro Mentasti, Carlo Raule (e scusate se è poco). Volontario nella prima Guerra mondiale, invalido e decorato di guerra, condusse subito una battaglia a Palazzo Marino ricordando “come la trincea avesse tutto eguagliato al di sopra delle classi e delle tessere e come ora il partito di dominante smentisca tutto ciò”, suscitando le ire dei conservatori che infatti al corteo commemorativo del 4 novembre del 1923 gli impediscono di partecipare perché, come scrisse un quotidiano, le intenzioni con i quali i socialisti intendevano partecipare “bastano da sole a giustificare le legnate fasciste”.

Nel 1923 la Giustizia, organo del partito di Matteotti, scrive che Roberto Farinacci era stato un imboscato. Il gerarca querela il giornale e sfida a duello l’autore, per l’appunto l’autodenunciatosi Vigorelli che attenderà invano i preannunciati padrini. Il tribunale assolve il giornale difeso da Enrico Gonzales dal reato di diffamazione e per reazione le squadracce lo assaltano il 9 dicembre 1923. Gli avvocati socialisti milanesi diventano la bestia nera dei fascisti e vengono più volte aggrediti. Durante il ventennio, Vigorelli, che viene sottoposto a vigilanza speciale e per due volte incarcerato a San Vittore, ricercato, dopo l’8 settembre si rifugia con la famiglia in Svizzera. I figli Bruno e Fofi rientrano in Italia per combattere tra i partigiani nella Divisione autonoma “Valdossola”; entrambi moriranno nel giugno 1944 durante un rastrellamento nazista. Fofi è medaglia d’oro al valor militare, Bruno d’argento. Anche Vigorelli torna in Italia nel settembre 1944 per assumere l’incarico di “ministro della Giustizia” della Repubblica partigiana dell’Ossola.

Nel dopoguerra eletto alla Costituente per i socialisti, è vicino alle posizioni del sindaco Greppi, ergo nel gennaio del 1947, con la scissione socialista, aderisce ai socialdemocratici, presiedendone sino al 1950, il Gruppo parlamentare e assumendo incarichi di governo: sottosegretario alle pensioni di guerra nel V governo De Gasperi e ministro del Lavoro e della Previdenza sociale nel primo Segni, nel governo Scelba e nel secondo governo Fanfani, ministero dal quale appunto si dimise nel gennaio del1959 per passare all’opposizione.
L’occasione gli fu fornita dai risultati assolutori (su proposta di Saragat), per un voto, della commissione d’inchiesta sullo “scandalo Giuffrè”, il cosiddetto banchiere di Dio che aveva truffato istituzioni e singoli cittadini, nel quale erano coinvolti (poi scagionati) il suo compagno di partito Luigi Preti e Giulio Andreotti. Le sue dimissioni portarono a quelle di Fanfani da presidente del consiglio e da segretario della Dc ed al secondo governo Segni (Dc-Pli). Insomma inizia la lunga agonia del centrismo e l’avvio della fase preparatoria del centro sinistra, soprattutto di quello milanese che precederà di anni quello nazionale.

Alle elezioni comunali milanesi del 1960 tra gli eletti della lista Psi, oltre a Vigorelli (con 7.000 preferenze) e a Guido Mazzali (con 9.000), troviamo Aldo Aniasi (4.628), il giovane Bettino Craxi (con 1.000 preferenze) e i radicali Eugenio Scalfari (con 3.500 preferenze) ed Elio Vittorini (ultimo); in pratica, come agli inizi del secolo, il gruppo consiliare è a schiacciante maggioranza riformista, anzi come si diceva allora autonomista/nenniano (le sinistre interne ebbero un solo eletto, Walter Alini). L’ingresso di Vigorelli e Aniasi ha cambiato gli equilibri, per sempre. Con i risultati elettorali e i nuovi equilibri politici interni a Dc e Psi la maggioranza centrista a Palazzo Marino non era più possibile.

190223_Marossi 9Di Vigorelli si parlò, in quella come in altre occasioni, come ipotetico sindaco ma a sostituire Ferrari, in quella che sarà la prima giunta di centrosinistra in Italia (1961), fu non senza polemiche il socialdemocratico e presidente dell’Accademia dei Lincei Gino Cassinis (ex rettore del Politecnico), considerato insieme esempio di continuità (era stato assessore alle municipalizzate) e di rinnovamento perché più a sinistra dell’uscente.

Il mite Ferrari, perfetto esempio di understatement (morì alla Baggina e su Wikipedia nell’elenco dei sindaci milanesi è l’unico ancor oggi senza foto), il medico dei poveri, arrestato per aver favorito la fuga di Turati in Francia, ebbe forse l’unico scatto della sua vita e dichiarò: “Io antifascista che sono stato in campo di concentramento, cedo il posto a chi è stato nominato rettore durante la repubblica di Salò”. Cassinis ebbe diversi “franchi tiratori” e alle opposizioni interne Dc fu dato il contentino di non reiterare il centrosinistra alla provincia, mentre il Pci cossuttiano (ma allora era sinonimo di moderato), pur esprimendo giudizi non del tutto negativi sul programma, votò per un altro socialista: Antonio Greppi.
Oggi Vigorelli come tutta una generazione di riformisti del dopoguerra, in particolare quelli del Psdi, è dimenticatissimo, ma merita di essere “riscoperto” non per il suo impegno politico, ormai quel mondo interessa solo agli storici e a pochi aficionados tra cui voi che leggete, quanto per essere stato il teorico del welfare italiano, affrontando questioni ancora oggi irrisolte, vedasi il reddito di cittadinanza.

190223_Marossi 2Greppi (che a sua volta ne sarà presidente dal 1962 al 1965) nel 1945 lo aveva nominato presidente dell’Ente Comunale Assistenza (l’ex Congregazione di Carità,fondato nel 1937), l’Ente, si legge sulle pagine online del Golgi Redaelli, “oltre ai compiti ordinari mirati all’assistenza a carattere generico, deve affrontare, con gli scarsi mezzi di cui in quelle circostanze dispone, l’emergenza legata alle conseguenze della guerra, cioè a soccorrere le categorie più colpite, come profughi, senzatetto, reduci ecc. … Si realizzano allora alcuni originali progetti che aiutano ampi strati della popolazione a migliorare le proprie condizioni di vita quando non addirittura a soddisfare i bisogni primari. Vengono aperti ristoranti economici e mense collettive, sono edificati le case popolari di via Ponzio – connotate da standard abitativi elevati – il dormitorio di viale Ortles e l’Istituto postsanatoriale Guido Salvini, mirato alla reintegrazione al lavoro degli ex ammalati di tubercolosi”.

Si razionalizzano i meccanismi, creando i primi archivi, stiamo parlando di oltre 150.000 schede con i nominativi dei poveri cosiddetti “regolari”, ovvero bisognosi di assistenza continuativa, e di quelli “in transito”, che ricevevano cioè aiuti straordinari per un periodo ristretto di tempo.”
In pratica Vigorelli per prima cosa deve occuparsi della fame dei milanesi, le mense dell’ECA (Ente Comunale Assitenza) saranno ricordate per anni. Per dare forza alle sue richieste Vigorelli (sempre accompagnato da Aniasi che aveva conosciuto durante la Repubblica Ossolana e che lo ebbe come mentore) fonda l’Associazione Nazionale Enti di Assistenza ed ha come vice Giorgio La Pira, presidente ECA di Firenze.

L’ECA tuttavia non è che un tassello di quella che il nostro immagina come “una grande riforma dell’assistenza”, un piano Beverige in salsa italiana.

Scrive Bressan. “Emblematico è il caso di quel laboratorio politico-sociale che si costituisce intorno alla figura di Ezio Vigorelli … Da questa realtà parte una proposta anticipatrice dello stesso Welfare State, in rapporto ai limiti della situazione italiana ma senza rinunciare, come sottolinea Giuseppe Saragat, a un’offensiva contro la miseria degna della nuova Italia. Ma soprattutto essa vuole contribuire al trapasso, già del resto in atto, dalla concezione paternalistica della beneficenza pubblica e dell’assistenza alla nuova concezione organica, fondata sui capisaldi che impongono ora, anche al nostro Paese, come a tutti i Paesi civili della terra, l’adozione di un sistema di sicurezza sociale”.

Scrive Mattia Granata: “Il pensiero di Vigorelli partiva da un’analisi dell’evoluzione che i concetti stessi di carità e filantropia avevano avuto nella storia, e dalla constatazione che tali attività non avevano portato alla soluzione del problema della miseria. A ciò contrapponeva il concetto di moderna assistenza, concepito come un dovere collettivo della solidarietà e che, in un regime intimamente democratico, doveva portare ad attuare un sistema di sicurezza sociale complessivo…Vigorelli osservava, che lo Stato disponeva e stanziava già una inutile ridda di miliardi, per una inefficiente assistenza, un complesso fantastico di denaro che raggiunge[va] e supera[va] la metà di tutte le spese dello Stato. Il Piano che egli proponeva, quindi, si basava sulla esplicitata necessità di non accrescere gli oneri finanziari che la collettività sopporta[va] (…) per l’assistenza.”.

190223_Marossi 6 vigorelli al lirico

Nella sua attività parlamentare, promuove la costituzione della commissione “Sulla miseria e sui mezzi per combatterla” di cui sarà presidente, avendo come vice (con il compito sostanzialmente di sabotare ogni proposta “socialisteggiante”) Ludovico Montini, fratello del futuro Paolo VI. Finalità della Commissione era quella di studiare il fenomeno della miseria per individuare le cause che la producono e proporre al Parlamento provvedimenti concreti per eliminarla, ed in particolare analizzare tutto il sistema della assistenza. L’inchiesta quantificò in 1.357.000 le famiglie misere e in 1.350.000 quelle disagiate, si scrive nella relazione finale: “la miseria è un problema che non interessa soltanto quanti sono caduti nel bisogno; ma tutta la società nazionale, perché sotto l’aspetto economico abolire la miseria significa creare le condizioni per aumentare i consumi e quindi aumentare la produzione e cioè, concorrere all’aumento del reddito e del benessere collettivo”.

190223_Marossi 7vigorelliezioCosa aveva in mente lo aveva scritto a Greppi in una lettera del 1946: “Chi ha sofferto tanto male, tutto il male che l’uomo può soffrire, non ritroverà ragione di vivere se non per lenire la miseria altrui, per chinarsi a raccogliere dal fango un caduto… Non dunque, spirito di carità; ma adempimento a un dovere umano verso tutte le creature che hanno il diritto di vivere, e cioè il diritto al pane e alla solidarietà e per noi socialisti all’abolizione di tutti i privilegi, all’eguaglianza degli uomini nella vita, come nella nascita e nella morte.”

Cosa realizzò fu ben poco; il suo Piano, fu accantonato per la crisi politica; alcuni provvedimenti in particolare i cosiddetti decreti Vigorelli (decreti legislativi emanati in base alla legge 14 luglio 1959, n. 741 con la quale il Parlamento delegava il governo a recepire in atti aventi forza di legge i contenuti dei contratti collettivi di diritto comune stipulati sino a quel momento, al fine di assicurare minimi inderogabili di trattamento economico e normativo a tutti gli appartenenti a una stessa categoria) furono oggetto di interminabili contenziosi giuridici e la corte costituzionale ne dichiarò illegittima la proroga; altri non videro mai i decreti attuativi; altri ancora furono bloccati dai ministri concorrenti.

L’insuccesso di Vigorelli ministro fu l’insuccesso della via socialdemocratica italiana al welfare, quella che affondava le sue radici nella Milano di Critica Sociale e dell’Umanitaria e fu una delle ragioni della generale involuzione della socialdemocrazia italiana e del prevalere del Psi di Nenni. Indicativo lo scorato e oggi ironico titolo di un suo libro: “L’italiano è socialista e non lo sa”. A Milano Vigorelli (che è sempre parlamentare) resta un protagonista assoluto: nel 1961 viene nominato presidente della Metropolitana Milanese e si prepara alle elezioni comunali del novembre 1964 (quelle della vittoria del Pli) quando il 24 ottobre, colpito da infarto, muore pochi giorni prima dell’inaugurazione della linea Rossa. Viene sepolto accanto ai figli.

Walter Marossi

 

Credits.
E. Landoni, Il laboratorio delle riforme. Milano dal centrismo al centro-sinistra,
Massimiliano Paniga Welfare ambrosiano
Mattia Granata https://www.italianieuropei.it/it/tablet/item/726-riformismo-e-welfare-a-proposito-di-ezio-vigorelli-e-di-un-piano-beveridge-italiano.html
Edoardo Bressan Lo stato sociale in Italia dal fascismo al secondo dopoguerra
Michela Minesso Welfare donne e giovani in Italia
www.milanoattraverso.it
www.culturagolgiredaelli.it/nostre-iniziative/geriatria-e-societa-tra-passato-presente-e-futuro/



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  1. PaoloUn ringraziamento di cuore per lo sforzo di fare comprendere cosa è stato, cosa dovrebbe essere e cosa forse sarà il Socialismo.
    27 febbraio 2019 • 09:57Rispondi
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