15 febbraio 2010

MONOD E LE PRIMARIE


Jacques Monod fu un importante biologo francese, professore al Collège de France e direttore del servizio di biochimica cellulare dell’Istituto Pasteur, che nel 1965 vinse, insieme ai colleghi André Lwoff e Francois Jacob, il Premio Nobel per la Medicina e la Biologia. La sua fama sarebbe rimasta confinata tra gli intenditori di genetica molecolare, disciplina alla quale aveva dato un pur importante contributo, se non fosse stato per un libro da lui scritto e pubblicato nel 1970 dalle Edition du Soleil a Parigi, e contemporaneamente in Italia da Mondadori, intitolato nella traduzione italiana “Il caso e la necessità. Saggio sulla filosofia naturale della biologia contemporanea”. Sono passati esattamente 40 anni dall’uscita di quel libro che scatenò in Francia un acceso dibattito nel mondo intellettuale, non solo scientifico, e un po’ meno anche in Italia. Basti ricordare che Francois Mauriac, dopo avere ascoltato una conferenza di Monod al Collège de France, dichiarò: “Quello che dice quel professore è troppo difficile da accettare per noi poveri cristiani”.

Ma che cosa, al di là dei contenuti tecnici del suo libro, aveva scritto Monod di tanto scandaloso? Si trattava del caso, Monod aveva scritto che ciascuno di noi e l’intera specie umana esistono per puro caso. Tirando le conseguenze estreme del neodarwinismo, il biologo francese aveva sostenuto che senza il caso (sola legge alla quale obbediscono le mutazioni che possono essere ereditate e che sono selezionate dall’ambiente, che è la necessità) non si sarebbe avuta l’evoluzione biologica e non sarebbe emerso l’uomo. Per la verità del caso già lo stesso Darwin aveva parlato, ma non si era soffermato troppo a riflettere sulle implicazioni per l’uomo e per la società di questa sua assunzione. In effetti si poteva anche pensare che dietro il caso si celasse la mano creatrice di Dio, come ebbe a sostenere qualche anno prima di Monod il gesuita Pierre Teilhard de Chardin.

Anche tra gli scienziati un ruolo del caso privo d’implicazioni, se non metafisiche, almeno naturalistiche, era stato accolto con diffidenza. Si dice che Einstein, di fronte all’enunciazione dei principi della meccanica quantistica che faceva uso del concetto di probabilità, avesse dichiarato: “Dio non gioca ai dadi”, e avesse invocato l’esistenza di variabili nascoste che alla fine sarebbero state svelate e avrebbero ristabilito il determinismo. Ma, a parte il fatto che è dubbio che Einstein abbia mai pronunciato questa frase, lo stesso grande fisico ebbe occasione di dichiarare “Il segreto del successo nella scienza come nella vita è trasformare un problema in un postulato”. E’ quello che lui aveva fatto per arrivare alla teoria della relatività ristretta, assumendo la costanza della velocità della luce. Ebbene, prendendo in parola Einstein, si potrebbe risolvere il problema del caso considerandolo, come aveva fatto Monod, un componente della natura.

So bene che questo punto di vista si presta all’accusa di essere materialistico, ma credo che anche persone religiose che credono nella trascendenza possono accettarlo. Dio, possono dirsi, ha creato il mondo con la legge di gravità (per citare solo una legge di natura) e Dio ha creato il mondo con il caso.

Ma, al di là delle implicazioni filosofiche del pensiero di Monod, è suo grande merito avere indicato, e anche averne fatto cenno nel suo libro, un metodo di analisi che va al di là dell’evoluzione biologica e riguarda l’evoluzione delle idee. Queste nascono liberamente (in questo caso la libertà è l’analogo del caso) nella testa degli individui e sono selezionate o meno a seconda della necessità costituita dalla partecipazione e dalle aspettative della società. E’ questa l’evoluzione culturale della quale la politica è una parte importante.

Alla luce di questo metodo interpretativo si può riflettere sulle capacità evolutive di vari sistemi politici. Per esempio, al giorno d’oggi, un regime dittatoriale o oligarchico ha scarse possibilità di evoluzione perché manca la selezione di una pluralità di idee. E infatti, il nazismo e il fascismo si sono dissoluti nella guerra che improvvidamente avevano provocato e il regime comunista sovietico è imploso per la sua incapacità di autoriformarsi. Se vogliamo forzare la similitudine al campo dell’evoluzione biologica, i regimi che limitano la libertà sono analoghi ai grandi dinosauri. Un regime democratico-liberale ha dei vantaggi a questo riguardo, a patto che la libertà di espressione non sia limitata dal monopolio dei mezzi di comunicazione di massa. Infatti, in sistemi veramente liberi, molte idee possono essere presentate a un vasto pubblico che ha la possibilità di criticarle o di promuoverle.

Ma le cose non sono così semplici. Infatti le voci che si confrontano possono essere così numerose

da richiedere degli intermediari, che sono i partiti politici. E qui si cela un’insidia che deriva dal come i partiti politici definiscono le loro idee e stabiliscono i loro programmi. Quello che voglio dire è che, se gli iscritti non sono un campione rappresentativo dei votanti, e nel clima attuale di sfiducia nella politica che c’è in Italia è facile che questo avvenga, al vertice dei partiti si selezioneranno delle oligarchie, per non parlare della circostanza, unica in Italia tra i paesi europei, che un partito abbia un padrone. Quando questo avviene l’evoluzione culturale è ostacolata e ci si avvicina alle condizioni delle dittature.

Faccio notare che questo modo di vedere, suggerito dall’analogia tra evoluzione culturale ed evoluzione biologica, è giusto il contrario di quello che molta gente crede secondo il senso comune, e cioè che il governo senza restrizioni di uno solo assicuri maggiore efficienza perché le decisioni possono essere prese più rapidamente e senza discussioni. Credo che possa essere così nel breve periodo, ma alla fine le cose si mettono male per la impossibilità di evolvere con il mutare dei tempi. Infatti, non c’è mente umana che possa racchiudere in sé tutte le capacità immaginative dell’umanità.

Ma, come abbiamo visto, anche partiti senza padroni, che eleggono democraticamente i loro dirigenti, possono dare origine a oligarchie che non soddisfano le esigenze dei potenziali votanti. In questo senso le elezioni primarie del Partito Democratico rappresentano una piacevole novità. Ma con un limite. Ricordiamoci che quelle che debbono essere selezionate sono le idee e che in tutte le elezioni, comprese le primarie, si vota per le persone. Ora, io non nego che le persone sono veicoli delle loro idee, ma il modo con il quale queste vengono veicolate ha molta importanza. Voglio dire che diffido delle idee belle e generiche. Sono vecchio e ricordo un film del 1949 del regista Robert Rossen, intitolato “Tutti gli uomini del re”. Il protagonista (Broderick Crawford) è un giovane politico americano che lotta contro l’establishment politico in nome di idee per l’appunto belle e generiche. Ha successo e alla fine si trova a coprire egli stesso quelle cariche politiche che erano prima appannaggio di coloro che criticava. Ma a questo punto si trasforma ed egli stesso cade vittima dei vizi che in precedenza aveva censurato. Naturalmente, i candidati del partito Democratico sono brave persone e non c’è rischio che facciano questa fine. E tuttavia, le idee belle e generiche, soprattutto se non esenti dal peccato del nominalismo (ne ho già parlato in un precedente articolo su Arcipelagomilano) non possono essere esposte al vaglio dell’evoluzione culturale e non servono a niente. Sono analoghi a geni largamente diffusi tra i viventi, ma d’importanza non decisiva per la loro trasformazione, se vogliamo fare un paragone con l’evoluzione biologica. Personalmente, voterei più volentieri per un candidato che esprimesse poche idee, ma molto definite. E’ dall’insieme di idee di questo tipo che un partito politico può trarre una felice sintesi.

Comprendo che il confronto tra questo approccio evoluzionistico alla politica e un antagonista che possiede molti mezzi di comunicazione di massa e ha trasformato la propaganda politica in pubblicità (la quale ha il vantaggio di essere semplice, ripetitiva ed esente dall’obbligo della verità) possa apparire una lotta impari, ma il mondo attuale è dominato da un mammifero, l’uomo, e i grandi dinosauri, che erano molto più forti dei primi mammiferi, si sono estinti circa 60 milioni di anni fa. Si potrebbe obiettare che i dinosauri per estinguersi ci abbiano messo circa 140 milioni di anni, ma l’evoluzione culturale è molto più rapida dell’evoluzione biologica, purché sia messa in moto correttamente. Perciò, consoliamoci con questo pensiero.

Claudio Rugarli



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