15 gennaio 2019
MILANO CITTÀ DEI BISOGNI CITTÀ DELLE IDEE
Dov’è la road map per arrivare alle decisioni?
15 gennaio 2019
Dov’è la road map per arrivare alle decisioni?
Anche prima che Alessandro Baricco dalle colonne di la Repubblica ce lo raccontasse, ben sapevamo che tra le élite e il resto del Paese la frattura fosse profonda. L’élite delle élite è la classe politica e tra questa e il Paese la frattura è ancora più profonda: nessun rapporto tra eletti ed elettori. Se ci aggiungiamo l’astio diffuso nei confronti della burocrazia, strumento di Governi comunque poco amati, burocrazia che spesso ci mette del suo per farsi detestare, abbiamo il quadro completo: le origini del rancore, terreno di cultura del populismo.
Le colpe delle élite sono tante, la più grave è certo il non essersi accorte di questa frattura e delle relative cause ma subito dopo c’è l’incapacità di rendere chiare e comprensibili le ragioni delle loro scelte, in particolare a livello di amministrazione locale, il livello dove il confronto tra governanti e governati è più diretto.
Volendo tracciare una sorta di road map ideale del Buon Governo dobbiamo prendere le mosse dall’inizio: il “candidato” e la sua candidatura e partire dal suo programma. Sto parlando del candidato alla carica di sindaco.
Raramente il programma elettorale di un candidato parte da una vera e rigorosa analisi dei bisogni della collettività che vorrebbe guidare; più spesso è un mix di intuizioni personali, “idee” e un gioco di rimessa rispetto alle più palesi disillusioni degli elettori per quel che sindaco e Giunta uscenti hanno fatto sino a quel momento. Formalmente il programma è invece il documento presentato alla Segreteria del Comune dal candidato al momento dell’apertura delle attività elettorali, come prevede la legge.
Il documento presentato e protocollato è in concreto irrilevante ai fini pratici perché la giurisprudenza ha chiarito che il programma amministrativo (elettorale) ha natura di documento politico-programmatico, non di atto amministrativo, mentre invece da lì dovrebbe nascere il tutto. Che così non sia lo testimonia anche il fatto che in Giunta non sieda un “assessore all’attuazione del programma” a imitazione del Governo centrale perché in realtà un vero programma non c’è.
Se ci fosse, in occasione del suo primo discorso in Consiglio comunale, il neoeletto dovrebbe ripresentare il suo programma soprattutto a favore dell’opposizione che non è tenuta a conoscerlo, come per altro la maggioranza dei consiglieri eletti.
Presentato il programma, l’atto immediatamente successivo dovrebbe essere la presentazione di un “piano strategico” per la realizzazione del programma stesso: amministrare partendo da lì.
Tra tutti i documenti sinora prodotti da Comune, Sindaco e Giunta che in qualche modo, anche solo nel titolo, contengano il termine “strategico”, non sono riuscito a trovarne uno che facesse riferimento alla “analisi dei bisogni”, nemmeno nell’ultimo MILANO 2030 IDEE PER LA CITTÀ CHE CAMBIA, documento che tra l’altro è del giugno del 2018 e che dunque arriva in pratica a metà mandato e che difficilmente inciderà nell’arco di tempo di questa Giunta.
L’analisi dei bisogni è un’attività ormai oggetto di ampia bibliografia che ne definisce le funzioni, le capacità, le potenzialità ma sopratutto le procedure per la sua redazione. Di tutto questo nessuna traccia oggi.
Venendo all’attualità. In questi giorni si sta procedendo alla stesura del nuovo Piano di Governo del Territorio, partendo da che cosa? Con quali “coerenze” rispetto a cosa? A un piano strategico che non c’è?
La domanda non è oziosa perché la coerenza dimostrata e dimostrabile tra piano strategico di attuazione di un programma e azione amministrativa è il salvacondotto che le élite hanno per una loro legittimazione: le élite e dunque anche gli amministratori locali. Oggi di tutto questo non c’è traccia.
Forse la road map che ho descritto è utopia perché i primi a non volere una vera analisi dei bisogni sono proprio gli estensori di un piano strategico che potrebbero veder smentite alcune loro “passioni” elettorali come la riapertura dei Navigli. Quest’ultima è una passione, un’utopia? Un errore? Peggio: una stupidità sul piano politico/elettorale. Non mi stancherò mai di ripeterlo.
Luca Beltrami Gadola
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