15 gennaio 2019

IL MITO DELLE CLASSIFICHE: GOVERNANCE, MILANO AL 104° POSTO

Serve una riflessione critica a cinque anni dalla legge Delrio


Le classifiche fondate su comparazioni valutative sono sempre da prendersi con le molle. Tuttavia in un mondo dominato dalla competizione globale non può sfuggire un raffronto tra le parti ed il tutto, per quanto approssimativi possano risultare gli indici ed i criteri di misura. Le grandi città in particolare si rivelano centri sensibili per ponderare rispettive qualità e carenze sotto diversi profili economici, ambientali, sociali e istituzionali.

190115_Ballabio_01Sovviene allora una ricerca internazionale (Iese Cities in Motion Index 2018) che valuta 165 grandi città dislocate in 80 paesi sotto tali profili. Ebbene dalla classifica emerge che Milano occupa una posizione eccellente per i trasporti pubblici (16° posto), per le telecomunicazioni ed i servizi online. Meno invidiabile purtroppo la collocazione per inquinamento atmosferico, disponibilità di verde, produzione di rifiuti. Ma un requisito appare a dir poco inquietante: la qualità della governance che fa sprofondare Milano al 104° posto!

Quest’ultimo aspetto chiama in causa direttamente la qualità della politica, la capacità di darsi regole ed istituzioni che presiedano efficacemente al governo complessivo della polis. E qui il confronto con le altre realtà metropolitane, in particolare europee, appare sconsolante. Esclusi i diretti interessati: una classe politica adagiata sullo status quo quando non impegnata in “riforme” errate e regressive.

E questo il caso della “legge Delrio” che dopo cinque anni di applicazione mostra i segni di una preoccupante fragilità e incoerenza dell’assetto istituzionale locale ed intermedio, ove la finta realizzazione delle “città metropolitane” appare il fallimento più palese. Ma la politica come reagisce? Il PD non può o non vuole sconfessarla, il M5S risulta ignaro e l’iniziativa rischia di tornare in modo scomposto alla Lega, come peraltro sta accadendo a proposito delle rivendicate autonomie regionali.

Ora che ruolo politico vuole giocare Milano su questo terreno, posto che intenda coltivare un’alternativa futura al “contratto” giallo-verde ed alla relativa spesso confusa e sbilanciata azione di governo? Milano è il capoluogo certamente più ben messo delle tre (con Roma e Napoli) autentiche realtà metropolitane italiane, risultando le altre dieci o undici semplici intestazioni di prestigio distribuite col poco apprezzabile criterio spagnolesco “todos caballeros”.

Dunque ci si aspetta che nasca da qui una riflessione critica ed una proposta seria di revisione della legge Delrio, che preveda un’organizzazione razionale e funzionale dei poteri locali ed intermedi nonché un rapporto lineare tra le relative autonomie ed i livelli regionale e statale; definendo con chiarezza la ripartizione degli ambiti territoriali e delle responsabilità e competenze onde evitare i noti doppioni e rimpalli.

Invece non solo i politici in carica, ma anche intellettuali e professionali (tra i quali gli scrittori di Arcipelago forniscono un’eccellente rappresentanza) sembrano, salvo eccezioni, attratti da una forza centripeta verso la “ridotta” del centro, ammettendo il ripiegamento su un “modello Milano” tanto aperto al mondo quanto chiuso al vicinato. Eppure è proprio a cominciare dalla ex cintura rossa che la destra “sovranista” preme minacciosamente alle porte (vedi i ribaltoni alle elezioni comunali di Cologno, Sesto, Cinisello, Bresso ecc.).

Ed anche la discussione sulle periferie risente di un punto di vista centralistico e paternalistico. Il ruolo dei Municipi continua a risultare ambiguo e marginale. Un vero decentramento fondato sull’autogoverno viene inibito sia da diffidenze manageriali che da resistenze burocratiche. Cosicché si ripiega sul “rammendo” come rimedio agli strappi ed alle toppe, ricorrendo alla tutela dalla celebrità luminare a copertura di una propria incapacità politica di correzione e innovazione.

Infine se non si danno le condizioni per una discussione libera da conformismi ed aperta alle idee diventa purtroppo velleitario formulare ragioni e proposte che non trovano né conferme né smentite, ma solo indifferenza e disarmante ritrarsi nel buco (per quanto prestigioso per carità! con i navigli da navigare e gli scali da deferroviarizzare)!

Valentino Ballabio

P.S. Per una sintetica ipotesi di revisione della legge Delrio sono costretto a riprendere l’intervento qui pubblicato, a seguito dell’esito del referendum costituzionale, il 25 gennaio 2017 “Carta rifondativa per le province 2.0”. Ipotesi certo azzardata e forse erronea, ma – visto che abbiamo il blog – sarebbero gradite motivate obiezioni e/o sostenibili alternative.

 

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