1 novembre 2018

ACQUE STRETTE

Alla riscoperta del prosatore francese Julien Gracq


181101_BellonIn un’epoca in cui le case editrici sottostanno alla legge di mercato, che punta molto sulla fruizione dell’opera e meno sul valore, “L’Orma Editore” va controcorrente e riesuma dagli antichi e pregiati bauli di letteratura classica, un libro di Julien Gracq (1910-2007), uno dei massimi prosatori francesi del ‘900, ancora poco conosciuto in Italia, nonostante i suoi lavori siano stati tempestivamente tradotti in italiano. In Francia è considerato l’ultimo dei classici e, non a caso, ha avuto il raro privilegio di essere incluso, ancora vivente, nella «Bibliothèque de la Pléiade» di Gallimard. Classe 1910, vita modesta, da schivo professore di un liceo parigino, amico di André Breton, ama Edgar Allan Poe, Stendhal e Ernst Jünger (“darei quasi tutta la letteratura degli ultimi anni per un solo libro di Jünger, Sulle scogliere di marmo”), detesta Jean-Paul Sartre e l’esistenzialismo, il nouveau roman (“assurdi romanzi di zinco”), e l’intelligenza parigina “rete di pettegolezzi, mercanteggiamenti, speculazioni, aggiotaggi, calunnia.” Nell’ultimo anno, L’Orma Editore ha reintrodotto nel novero dei classici novecenteschi alcune opere di Julien Gracq passate sotto il silenzio.

Dopo aver pubblicato “La riva delle Sirti” (2017), l’editore romano torna in libreria con “Acque Strette” (pp. 76, euro 13), un breve testo narrativo – scritto nel 1976 e del tutto inedito in Italia – tradotto dalla raffinata penna di Lorenzo Flabbi. La vicenda narrata è la rievocazione di un’escursione in barca sull’Èvre, un fiume che si getta nella Loira, che l’autore era solito percorrere da bambino, con la famiglia, a bordo di una piccola imbarcazione. La fantasticheria di Gracq prende avvio, nelle prime righe, con una domanda ben precisa: “Per quale motivo si è presto radicata in me la sensazione che, se soltanto il viaggio – il viaggio che non prevedeva l’idea di un ritorno – è in grado di aprirci le porte e cambiarci davvero l’esistenza, un altro tipo di sortilegio, più nascosto, come originato da una bacchetta magica, si leghi invece alla passeggiata prediletta fra tutte, all’escursione senza avventure né imprevisti che dopo poche ore ci riconduce all’attracco da cui partimmo, alla cinta familiare di casa?”.

A pelo d’acqua si attiva la memoria: ecco che paesaggi, campi, scogliere, boschi, ginestre si colorano e si dispongono nel quadro dell’autore, che subito ritrae con una prosa sinuosa e incantatoria l’ineffabile bellezza di un tramonto dopo un giorno di pioggia, di un odore terroso, di un vento d’aprile. “Al contatto con questa terra promessa, ogni nostra piega si distende come si dischiude nell’acqua un fiore giapponese: inspiegabilmente ci sentiamo in un territorio di conoscenza, come circondati da volti di una famiglia di là da venire.”

La famiglia, che lui descrive, ha il volto di Nerval, Rimbaud, Balzac, Poe, Valéry, Wagner e molti altri in un magistrale mescolarsi di ricordi e percezioni, esperienze ed emozioni. L’infanzia di Gracq diventa così un idillio, dove le esperienze di vita e di lettura concorrono, insieme, nell’arte della scrittura, che ha lo scopo di risvegliare, rianimare e collegare tutto ciò che si è amato.

Cristina Bellon



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