28 ottobre 2018

I GIOVANI, I CELLULARI E LA STRADA

Una ricerca sui nativi digitali


Si parla molto dei giovani che guidano parlando al cellulare. Ma cosa ne pensano i ragazzi? Cosa rappresenta per loro questo strumento? E cosa vorrebbero che si facesse per evitare gli incidenti causati dalla distrazione?

Per rispondere a queste domande, pochi giorni fa sono stati presentati i risultati di un questionario on line condotto su giovani delle classi quarte e quinte di 10 scuole superiori presenti nell’area metropolitana milanese. L’indagine, promossa dall’assessorato alla Sicurezza di Regione Lombardia e dall’Istituto Scolastico della provincia di Milano, è stata condotta da Barbara Riva, sociologa ed esperta di sicurezza stradale.

I 2.612 ragazzi che hanno risposto a una cinquantina di domande hanno fornito di se stessi e della gioventù milanese un quadro complesso, spesso contraddittorio, a volte anche inconsueto: un materiale interessante, che necessita di approfondimenti, come più volte è stato ripetuto nel corso della presentazione.

Per iniziare, una conferma: per i giovani, l’automobile non è più l’oggetto del desiderio e lo strumento di libertà, come per i loro genitori ed i loro nonni. L’autovettura è considerata per quello che è: uno strumento utile per raggiungere certe destinazioni, in confronto ad altri sistemi di trasporto. Nella gran parte dei loro spostamenti, i giovani preferiscono la bicicletta: questa sì dà loro il senso di libertà, è comoda, arriva dappertutto, è economica. Così la giudica quasi un giovane su due (il 47%), e lo stesso motorino che fino a poco fa era l’altro sogno del giovane, ora è apprezzato soltanto da poco più di un ragazzo su cinque (il 22%). L’autovettura risulta al primo posto solo per un 14%.

Chierchini 27.10Ma ancor più della bicicletta, è lo smartphone la vera passione: basta leggere i dati sul numero di ore al giorno in cui viene usato per i più diversi motivi (telefonare, scrivere, leggere, fotografare, collegarsi ad internet, giocare, stare in rapporto con altri ecc.): se un 15% lo usa circa due ore al giorno, uno su tre (il 33,7%) lo usa dalle due alle quattro ore, e una percentuale quasi identica (il 31,3 %) dalle quattro alle otto ore. Quasi un ragazzo su cinque (il 19,4%) confessa di usarlo, ogni giorno, per più di otto ore.

Il quadro si completa con l’incrocio delle risposte: solo la metà dei ragazzi considera lo smartphone un cellulare o un pc portatile, mentre quasi un ragazzo ogni quattro (il 23,6%) lo considera come “strumento di relazione per eccellenza” e per l’8,6 % diventa addirittura “la mia voce, l’insieme dei miei rapporti”.

Con queste premesse, sembrerebbe difficile che un ragazzo spenga lo smartphone quando è per strada o almeno non lo usi quando va in bicicletta o sul motorino o quando attraversa un incrocio a piedi.

Eppure, emerge un iniziale buon senso, una maturità insospettata: una robusta maggioranza (il 70%) ritiene che lo smartphone “distragga quanto si dice”, segno che le numerose iniziative di sensibilizzazione hanno raggiunto l’obiettivo. Il restante 30% la pensa diversamente: un 10% è troppo fiducioso nelle capacità del proprio cervello, considerato “multitasking”, capace cioè di svolgere più azioni in contemporanea, ed un 13% è così abituato a usare lo strumento che è convinto di aver raggiunto una padronanza tale da non poter cadere più in distrazioni.

In ogni caso, i ragazzi dichiarano di usarlo “raramente o mai” quando attraversano la strada (il 78,6%), quando sono in bicicletta (l’84,5%), quando sono in motorino (il 72%). Semmai, scende un po’ la percentuale per chi guida un’autovettura (il 60%): sul sedile di una quattroruote si sente più sicuro e la tentazione è maggiore… Anche qui, la maggioranza dei giovani sembra esser più matura degli stereotipi convenzionali, anche se un abbondante 20% risponde in modo diverso. In valori assoluti, tenendo conto che nel solo comune di Milano, i giovani dai 18 ai 24 anni sono circa 80.000, significa che più di 15.000 in questa fascia d’età assumono comportamenti a rischio, per sé e per gli altri.

Passando all’uso quotidiano di questo strumento, quando brevi segnali sonori avvisano che è arrivata una “notifica”, è solo una percentuale relativamente modesta a dichiarare un insopprimibile desiderio di immediata conoscenza. Per spiegare il bisogno di rispondere subito, gli psicologi hanno fatto riferimento al piacere di sentirsi oggetto di attenzione, di far parte di un gruppo e al desiderio di confermarlo attraverso l’immediata risposta; ma fosse anche solo per la “curiosità”, come è stato detto nel corso della presentazione dell’indagine, sta di fatto che vuole veder subito chi ha scritto o chi sta chiamando il 7% dei giovani pedoni, l’8% dei ciclisti, l’8,5 dei ragazzi in motorino ed il 16,2 degli automobilisti.

Identica considerazione può essere svolta a proposito dei selfie: un 73% esprime un giudizio negativo nei confronti di chi scatta selfie alla guida di un motorino e un filo di meno (il 70,3%) per chi si fotografa mentre guida un’autovettura. Digitare un post è considerato più pericoloso: le percentuali salgono rispettivamente al 92,7 e al 90,8.

Lo smartphone è considerato insomma oggettiva fonte di distrazione. Ma subito dopo, tuttavia, la stragrande maggioranza dei giovani (il 90%) ritiene di accorgersi “sempre” o “spesso” di quanto accade attorno, mentre parla con lo smartphone o legge sul suo schermo. E’ questa una delle maggiori contraddizioni che emergono dalle risposte: c’è un discreto livello di conoscenza dei rischi, ma c’è una sopravvalutazione delle proprie capacità. Insomma: “Io sono furbo e non ci casco come gli altri!”.

E’ poi interessante, e assieme preoccupante, segnalare che un ragazzo su cinque considera “distrazione” distogliere l’attenzione per un arco di tempo superiore ai cinque secondi e un 6% lo dilata addirittura a oltre dieci: gli esperti del settore considerano invece distrazione un arco di tempo tra il mezzo secondo e il secondo: il tempo ad esempio sufficiente per percorrere in città più di dieci metri a una velocità di 40 Km orari. In più di cinque secondi lo spazio percorso è almeno di 50 metri, l’altezza di un palazzo di una quindicina di piani.

E cosa pensano questi ragazzi delle iniziative di educazione stradale? Quelle giudicate più utili sono le testimonianze dirette con giovani che hanno subito un incidente e che si trovano magari paralizzati (83,4%), mentre le campagne di sensibilizzazione che impiegano un testimonial sono giudicate meno proficue e il parere positivo scende al 51,7%. In ogni caso, le campagne che attraggono di più sono quelle di stampo anglosassone, cruente, mentre solo un 8,7% di pareri positivi è rivolto alle campagne in cui si parla pacatamente del problema e lo si sdrammatizza.

Questo per la prevenzione. E per la repressione? I pareri sono chiari: si richiedono con fermezza controlli su strada (82,7%), sanzioni (78,7%) e decurtazione dei punti dalla patente (75,6). Quasi la metà dei ragazzi è addirittura d’accordo sulla sospensione della patente alla prima infrazione e non alla seconda come oggi il Codice prevede: più si rischia il ritiro, più si sta attenti. E circa uno su tre chiede sanzioni più alte…

Molte altre risposte potrebbero esser qui commentate, ma il senso dell’indagine non cambia: la più parte dei giovani è consapevole dei rischi legati per strada all’uso dello smartphone e chiede maggior impegno alle istituzioni. Spetta invece alla società nel suo complesso, dagli amministratori, agli insegnanti, alle forze dell’ordine, svolgere iniziative che smontino la sopravvalutazione giovanile delle proprie capacità, anziché descrivere i rischi di comportamenti scorretti: in questo senso vanno indirizzati gli sforzi in questa battaglia che solo l’anno scorso ha visto in Italia la morte per strada di 142 ragazzi tra i 15 e i 19 anni e il ferimento di 6.876: più di due morti la settimana e più di 18 al giorno portati d’urgenza al Pronto Soccorso.

Gianfranco Chierchini



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