8 febbraio 2010

TRA SERIO E FACETO. A COSA SERVONO I CIRCOLI DEL PD?


Bisogna ammettere che la partecipazione di un povero iscritto alla vita dell’organizzazione politica denominata Partito Democratico è decisamente frustrante.Eppure, in uno sforzo titanico di innovazione linguistica, qualcuno, certo ben intenzionato, aveva cambiato i nomi delle forme di partecipazione e rappresentanza del nuovo “soggetto politico”, e con questo, si sperava, la stessa sostanza delle cose: in nomina sunt rerum? Così la Sezione è diventata Circolo, il Segretario di Sezione si è trasformato in Portavoce e così via, in una furia nominalistica che, gattopardescamente cambiando tutto, non sembra avere alla fine cambiato nulla. Anzi sembra aver solo peggiorato le cose. Allora tutti incapaci i Portavoce? Tutti intiepiditi i militanti? Tutti allontanati i simpatizzanti?

Bisogna indagare.Bisogna indagare a partire da un’affermazione provocatoria (ma non troppo): così come sono stati disegnati, con queste regole, con questi macchinosi e conflittuali meccanismi di partecipazione, i Circoli non servono assolutamente a niente.Da bravo investigatore, vorrei allora fare due domande semplici, facili facili:Quale pratica sociale connota attualmente un qualsiasi Circolo del PD?

L’attuale meccanismo di selezione della rappresentanza di Circolo è adeguata a favorire l’emergere di leader locali effettivamente radicati e sostenuti dal consenso?Alla prima domanda, purtroppo è facile rispondere: nessuna o quasi, salvo poche e lodevoli eccezioni.

Il Circolo del PD è tendenzialmente autoreferenziale e non si pone, letteralmente, il problema della sua connessione con le istanze del territorio in cui si trova la sua sede. Diciamo che ormai la sua localizzazione, il suo indirizzo geografico, il suo essere qui o là, è del tutto accidentale e residuale rispetto alla sua eventuale azione politica, spesso trattandosi di vecchie sezioni DS (e prima ancora PCI) illanguidite e desertificate dall’invecchiare del suo personale politico, dalla incapacità di leggere e rispondere adeguatamente al cambiamento del contesto sociale, dalla perdita (un vero e proprio spaesamento) di punti di riferimento politici ed ideali.

Se oggi chiedessimo ad un qualsiasi iscritto: Chi rappresenta il PD? Di quali istanze, di quali strati, di quale domanda, si fa effettivamente carico? Qual è il suo insediamento sociale? Lo vedremo annaspare, e lo sentiremo farfugliare qualcosa di confuso, un mantra dove il “ma anche” tiene insieme tutto ed il contrario di tutto, condito magari con qualche ricordo sbiadito dei bei tempi. In questo sperdimento, la funzione primaria del Circolo del PD come luogo in cui domanda e proposta politica si confrontano e si fertilizzano reciprocamente, come essenziale snodo bidirezionale tra bisogni sociali e elaborazione di risposte, va letteralmente a farsi benedire.

Ne è una riprova l’assenza sistematica dell’azione dei Circoli del PD dai luoghi della crisi e della sofferenza dei lavoratori licenziati e cassintegrati. Ne è una conferma la debolezza delle voci dei suoi dirigenti, quasi silenti e come ipnotizzati, di fronte alla crisi, dalla retorica del mercato e delle forze della globalizzazione: è il mercato, bellezza e noi, del PD, il mercato l’abbiamo sposato come valore in sè, come se il “mercato” davvero potesse esistere un solo momento senza le concrete determinazioni giuridico sociali che regolano il disporsi degli interessi, spesso confliggenti, che operano quotidianamente sul suo campo, senza cioè la Politica e l’Etica.

Se non bastassero la confusione ed il sincretismo ignavo dell’analisi e della proposta, ad allontanare dal nostro povero Circolo il benintenzionato simpatizzante, iscritto o militante, provvede un marchingegno elettorale al tempo stesso farraginoso, escludente, tendenzialmente conflittuale. Se si pensa che alla sua elaborazione hanno cooperato centinaia tra le migliori menti della nostra cultura politica di centro sinistra, verrebbe in mente che in definitiva non aveva torto quel militare franchista che diceva “quando sento parlare di cultura, metto mano alla pistola”.

Ma noi non vogliamo pensarlo, anche se crediamo sempre più che una certa cultura di sinistra abbia fatto davvero il suo tempo, vicina com’è ormai al bizantinismo onanistico dell’Impero D’Oriente. Tornando al nostro Circolo, attualmente gli iscritti del PD trovano grande difficoltà a scegliere quelle persone, quei dirigenti che, per autorevolezza, passione, capacità, hanno dimostrato di potersi candidare alla sua guida: Il Regolamento non lo prevede, lo Statuto “nol consente”. Il nostro povero iscritto potrà solo scegliere se aderire o meno con il suo voto ad una bella lista bloccata, che qualcuno nelle segrete stanze gli ha cucinato. Anzi vi è di più, alla lista si collega la candidatura di un Portavoce, frutto a sua volta di inesauste ed altrettanto opache trattative, insomma un bel pacchetto preconfezionato: questa è la minestra o salta dalla finestra..

Così, mentre il PD contesta, a ragione e ci mancherebbe altro, la legge politico – elettorale imposta dalla maggioranza, ne riproduce con pervicacia i principi ispiratori nella regolazione della propria vita democratica interna. Certo è possibile presentare un’altra lista, ma questo da un lato implica che il nostro iscritto si faccia carico di una vera e propria operazione politica, attivando e convincendo su questa ipotesi un certo numero di co – iscritti di Circolo. Dall’altra, e forse qui vi è l’effetto più nefasto, si accredita una modalità di partecipazione che può essere solo “contro”: contro la tua lista, presento la mia lista, non ammettendo altra forma di partecipazione che non sia la “correntizzazione” del proprio punto di vista.

Così alla fine, ci si trova di fronte al dilemma del perdente: cooptazione su lista bloccata o concorrenzialità indotta ed artificiale? Si deve allora convenire che l’attuale processo di selezione del gruppo dirigente locale deve essere profondamente riformato, se davvero si vuole raggiungere il duplice obiettivo di selezionare dirigenti autorevoli senza promuovere sistematicamente profonde e permanenti divisioni interne. Dato che qualcuno potrebbe contestare una posizione interamente destruens, provvedo anche ad una modesta proposta construens:

  1. Ogni iscritto può essere proposto quale candidato al direttivo da almeno 3 iscritti del Circolo;
  2. Non vi sono Liste contrapposte, ma un’unica lista di candidati;
  3. Ogni iscritto può esprimere più preferenze;
  4. “Vince” chi attira su di sé il maggior numero di consensi;
  5. Il Portavoce viene eletto direttamente dall’Assemblea del Circolo o in seconda battuta dal Direttivo eletto.

E’tanto facile, forse troppo facile. Ed allora la domanda sorge inevitabile: ma se è così facile per quale motivo non ci si è pensato? Per aver una risposta bisogna forse tornare alla domanda iniziale; a cosa servono i Circoli del PD? Se non producono prassi sociale utile ad aumentare i consensi al PD, se non favoriscono la libera espressione del consenso utile a selezionare un gruppo dirigente autonomo ed in quanto tale effettivamente rappresentativo, in cosa possono rendere un servizio a qualcuno? Qui casca l’ingenuo, che non comprende che i Circoli servono principalmente a misurare le reciproche posizioni, e soprattutto i pesi, delle diverse componenti del PD, in un gioco assolutamente autoreferenziale, intento a spartire, tra gli inclusi, la torta sempre più piccola del consenso raccolto all’esterno. Non è vero allora, e qui dobbiamo rettificare la posizione di partenza, che non servano a nulla, al contrario servono eccome a garantire la sopravvivenza, ed la reciproca misurazione, del ceto politico che oggi dirige il PD.

Lontano dall’attrarre simpatie, dall’avvicinare curiosi di politica, dal garantire libertà ed autonomia di partecipazione, il Circolo vive normalmente una vita stanca, del tutto autoreferenziale, adatta solo a garantire ai maggiorenti del Partito una pàtina di legittimazione formale ed una misurazione della propria forza di trattativa interna. Così crisi di iniziativa e di visione si combinano con la crisi di relazione e rappresentanza in un condizionarsi reciproco al ribasso.

Certo, si ribatte, non è che gli altri Partiti Italiani stiano meglio quanto a partecipazione, siano essi di destra o di sinistra. Si dice che la crisi della politica è allentamento del sentire diffuso dalla partecipazione come momento importante della cittadinanza, si sostiene che si va verso il modello americano di partecipazione politica: elitès ristrette che decidono tutto ed ogni tanto, alle elezioni, Comitati Elettorali sostenuti dal Volontario che non capisce bene cosa fa, ma intanto lo fa.

Può essere, può darsi.

Personalmente non mi convince e non mi attrae, mentre resto convinto che la scommessa del PD non sia ancora stata veramente giocata, e che un Circolo vivo, libero ed autonomo, ne costituisca parte essenziale.

Giuseppe Ucciero

 

 

 

 

 

 



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