8 febbraio 2010

MA I GIOVANI CHI SE LI FILA


Chi se li fila i giovani? Dipende dai tempi. Un racconto autobiografico fotografa il nostro attimo perché il tempo è un compagno inseparabile: tu cammini e lui ti affianca. Parlarne da storici forse per questo è difficile, il ricordo personale ti travolge. Comunque. Il ‘900 li ha visti arrivare giovanissimi alla guerra del ’15 – i ragazzi del ’99 con i loro più anziani commilitoni, decimati – e li ha sbarcati tra le braccia di Mussolini. Nessuno si preoccupava molto di cosa pensassero, le autorità, le istituzioni volevano solo educarli perché fossero i loro replicanti: sangue fresco per le idee dei padri. La guerra del ’40 li ha visti divisi tra fascismo e antifascismo ma, finita la guerra la musica non è cambiata molto: scuole, università, istituzioni e genitori: sempre quelli.

C’è voluto il ’68. Per le istituzioni i giovani sono diventati una grana ma per il mondo economico una risorsa. Sassantottini a parte gli altri si erano trasformati in giovani consumatori e da allora in poi via così: Timberland, Monclair, Hi-Fi e motorini. La fascia di età più bassa, i neonati,  si affaccia anche lei al mercato: Chicco, Pampers, omogeneizzati in attesa del momento della Nutella. Di cosa pensassero nessuno se ne occupava, bastava  che comprassero. Nell’80 arriva quell’orrenda parola che è “paghetta”. Se ne discute. Quanti soldi? Tanti? Pochi? Basta che comprino, senza pensarci su. Intanto l’onda del ’68 va a morire sulla spiaggia del consumismo. Per i pensieri dei giovani ancora nessun interesse ma per i loro modi di vestire sì. Fanno tendenza e gli adulti sono travolti dalla ventata “giovanilista”: seri professionisti vestiti da globetrotter, signore di mezza età che non si vestono più da zingarelle o da figlie dei fiori e si travestono invece da cavallerizze e da teenager. La grande scoperta commerciale: le taglie non esistono più, il concetto di largo, lungo e stretto scompaiono. C’è dietro un pensiero? Un inno alla libertà? No, la forza del marketing via televisione.

Moda, mercato e Made in Italy la fanno alla grande. Dei loro pensieri ancora nulla. Ci avviamo alla fine del millennio, la politica italiana dopo Mani pulite si fa confusa, si comincia a sentir parlare di rinnovamento e ricompare miracolosamente la parola “giovani” ma prima di lei il suo contrario: vecchi. Vecchio diventa un insulto. Nel nostro Paese, nominalista, si parla di terza e quarta età: i pensionati attirano più dei giovani, hanno soldi da spendere e, anche se la forbice tra la loro miseria e la loro ricchezza è enorme, si sa cosa pensano e per qualche tempo attirano più dei giovani. Girato il millennio sono loro, i vecchi, con le loro paure, vere o indotte, a spostare l’ago della bilancia politica. I partiti sanno che l’area del voto incerto è fatta soprattutto di giovani. Cosa pensano? Poco se ne sa, poco si indaga, vince la vecchia teoria dei replicanti: un fallimento.

Filarseli è sempre più difficile e la concorrenza è tanta. Il mondo economico li vuole consumisti consumatori, pieni di carte di credito, poco colti e propina loro modelli da Grande Fratello, li fa litigare sotto gli obbiettivi della TV in una nobile gara di volgarità con i loro genitori, li arruola fin da bambini e li fa cantare (“Io canto” con Gerry Scotti Canale 5): canzoni che parlano di pulsioni amorose di cui nulla sanno e sarebbe prematuro sapessero. Far fingere l’eros ai bambini somiglia ad una anticipazione di violenza sessuale. La sinistra guarda attonita e nulla dice per paura di essere accusata di atteggiamenti bacchettoni o censori. Chi tra i giovani resiste e non si lascia arruolare scappa via Internet: Face book, social network, YouTube, blog e tutti gli anfratti che la “rete” offre, dove i “vecchi” si muovono a fatica per tecnica e cultura. Chi se li fila questi giovani? Tutti ci provano ma la rete è una giungla, difficile scovare queste nuove tribù: probabilmente sono l’unica speranza di sopravvivenza della razza umana, di quella cerebrata.

L.B.G.



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