8 febbraio 2010

VOLONTARIATO. E SE I GIOVANI NON CI FOSSERO?


Parlare di giovani, oggi, può sembrare un luogo comune per le troppe parole spese, sia nel chiamarli “bamboccioni” sia nel vederli come esseri indifferenti alla realtà che li circonda. Guardando da vicino la situazione, le cose non sono poi così semplici. Prima di tutto i”giovani”la cui categoria oggi si dilata dai 20 ai 40 (!) anni, sente la partecipazione al sociale in modo diverso dalla generazione del 68.

Non c’è più la passione politica che animava i dibattiti e infuocava le piazze in lotte spesso fratricide tra opposti estremismi, ma c’è sfiducia e avversione nei confronti di una classe dirigente che non ha saputo parlare il loro linguaggio, interpretandone le esigenze e i bisogni. Politici che, sia a destra che a sinistra, gestiscono la cosa pubblica anteponendo gli interessi propri e del gruppo di appartenenza in maniera lobbystica dimenticandosi del tutto di essere rappresentanti dei cittadini.

Certo i “giovani”non posseggono oggi quella visione prospettica della società, derivata da studi storico-filosofici, che i ragazzi del 68 avevano approfondito a scuola e che li portava a proporre modelli alternativi. C’è uno scadimento della cultura e dell’insegnamento scolastico che non promette bene per le future generazioni. I media e la tv non aiutano a una crescita intellettuale con trasmissioni come” il grande fratello”, anzi, come osserva Massimo Fini, “la cultura è sparita, e quel poco che c’è non ha nessuna importanza, sia per la destra che per la sinistra, e il risultato è che viviamo in una sorta di pensiero unico, in cui le idee originali non hanno più voce”.Sembra questa una visione molto pessimistica della realtà, ma la situazione non è così tragica. Oggi la partecipazione al sociale dei giovani va ricercata altrove, e quasi sempre nel volontariato. Sia nel settore civile che in quello religioso, la motivazione che spinge all’azione è quella di essere di aiuto alle persone in difficoltà. Un altro comune denominatore è senza dubbio l’esperienza di vita, e il raggiungimento di una crescita interiore. Molte persone intervistate sostengono che il motivo che le ha spinte a questa scelta sia lo stato di “benessere ” e di “auto-stima” che ne è derivato. Un dato statistico dice che il 48% dei volontari s’impegna nell’assistenza sociale, mentre il 32% in quella sanitaria e il 18% in attività educative e nella protezione civile.

Quindi i destinatari cambiano, ma lo scopo è identico. Solo a Milano risultano attive 872 associazioni con 42mila volontari. Sei volontari su dieci dedicano 6 ore alla settimana al volontariato. C’è chi si dedica agli anziani, ai bambini e alle famiglie in difficoltà, ai carcerati o ai drogati, agli immigrati o agli alcolizzati; ci sono medici che prestano cure gratuite negli ospedali, ai disabili, volontari della protezione civile sono attivi per il soccorso nelle calamità naturali, eccetera eccetera. Le istituzioni e le organizzazioni, sia nel settore pubblico che nel privato, hanno capito l’importanza di questo contributo spontaneo e gratuito, e se ne servono, sia per produrre coesione sociale, sia come risorsa per affrontare i problemi che di volta in volta si presentano sul territorio… Una ricerca di Eurispes evidenzia come il mondo politico sia in netto svantaggio nella classifica di gradimento del pubblico, rispetto a quello del volontariato, per la sua incapacità di risolvere i problemi concreti di tutti i giorni.

Questo spiega la grande affluenza di pubblico al convegno di sabato e domenica, al Palazzo delle Stelline, sul volontariato, promosso da AIM (associazione interessi metropolitani) e Ciessevi, in cui si sono confrontate le diverse realtà delle associazioni con numerosi interventi.Hanno parlato di aiuti ai diseredati, sia esponenti del mondo laico, che del mondo cattolico, tra cui: don Rigoldi, don Mazzi e il direttore della Caritas ambrosiana don Roberto Davanzo. Quest’ultimo ha sottolineato l’importanza di un collegamento tra i vari centri del volontariato per un dialogo più costruttivo, ma ha anche messo in guardia dal pericolo che le istituzioni demandino a queste associazioni “no profit” la risoluzione dei molti problemi che si presentano alla società, non essendo in grado di farlo in proprio. E’ questo il vero problema che dobbiamo affrontare come cittadini, perché non possiamo esonerare le autorità civili dalle responsabilità che si sono assunte demandando tutto al “no profit”o alle associazioni cattoliche che finirebbero per esercitare un’ingerenza, non di loro competenza, in ambito politico e istituzionale (secondo il famoso detto “date a Cesare quel che è di Cesare”…). Ne nascerebbero conflitti, lacerazioni che agiterebbero ancor di più le acque, in un panorama politico già tanto confuso come quello odierno. Non si vedono per ora segnali di cambiamento, nel quadro politico e nella classe dirigente, e non resta che sperare nell’azione educativa che queste associazioni no profit esercitano sui giovani! E’ motivo di ottimismo la presenza di persone con la voglia di mettersi in gioco nell’interesse della collettività! Questo è un dato di estrema importanza e fa ben sperare per il futuro, alla faccia dei pessimisti e catastrofisti!

Laura Censi



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