8 febbraio 2010

LA SCUOLA. DI RIFORMA IN RIFORMA DI TETTO IN TETTO


Qualcuno dice “meglio il tetto del 30% che le scuole ghetto” e come dargli torto. Ma, come si fa? La medicina non sarà peggiore del male? L’aumento esponenziale della presenza di bambini stranieri è problema vero, acuto in alcune zone del Paese e in alcuni quartieri delle grandi città. Va affrontato con serietà, senza banalizzazioni, senza le facili ricette semplificate dall’ideologia, ma con una progettualità fatta di azioni concrete, impegni operativi, regole certe. Credo che in quest’ottica vada giudicata la recente circolare del Ministro Gelmini sulla quota del 30 %, chiedendosi prima di tutto “è utile? Che effetti provoca?” Ritengo che sia confusa, inapplicabile, quindi inutile.

Prima di tutto stabilisce un tetto senza giustificarlo: se fosse il 30% di ragazzi che non parlano l’italiano, sarebbe eccessivamente alto, se lo parlassero tutti bene, perché metterlo? Inoltre istituisce “deroghe”, secondo la peggior tradizione burocratica e centralista, affidate alle Direzioni regionali; infine con una successiva circolare si corregge il testo, evidentemente troppo criticato anche in casa PDL da chi conosce un po’ la scuola, per escludere dal conteggio i nati in Italia. Naturalmente qualcuno già chiede “e se sono venuti in Italia a sei mesi?” Molto meglio sarebbe affidarsi alle scuole, che con l’autonomia possono progettare inserimenti guidati e composizione delle classi eterogenee. Inoltre, a una prima lettura, rafforzata da alcune improvvide dichiarazioni, sembra che scuole intere con percentuali vistosamente superiori al tetto – una per tutte la Paravia di Milano – possano essere addirittura chiuse. Non citiamo nemmeno il caso degli Istituti professionali, che dovrebbero chiudere tutti, e limitiamoci alla scuola dell’obbligo.

Ci sono quartieri a Milano a prevalente popolazione non italiana, che gode, per meglio dire dovrebbe godere, di alcuni diritti, tra cui l’istruzione per i bambini. Bene, lì cosa si fa? Dopo aver colpevolmente lasciato che si creassero quartieri ghetto, adesso ci indigniamo per le scuole ghetto e le chiudiamo, chiudiamo uno dei pochi presìdi istituzionali presenti? Trasferiamo i bimbi coattivamente sui pullman suddividendoli nelle altre scuole della città sotto il 30%? Sappiamo che in quelle scuole non sono un’utenza aggiuntiva all’utenza italiana: sono l’unica utenza, sono gli utenti della scuola italiana, stranieri solo perché lo sono i loro genitori e per una legislazione che rende quasi impossibile acquisire la cittadinanza.

Quello che fa di una scuola un ghetto non è l’omogeneità etnica e tra l’altro queste non lo sono: basta, per favore, con la semplificazione “noi e gli altri”: sono arabi, cinesi, indiani, filippini, pakistani, ecuadoriani ecc ecc. diversissimi tra loro. Si è fatto un tentativo a Milano, sorretto dal volontariato d’insegnanti, genitori e associazioni, di qualificare queste realtà per farne poli di sperimentazione alla multiculturalità e al plurilinguismo (questi bimbi parlano già almeno due lingue!): queste esperienze, che gestiscono la complessità del presente guardando al futuro, sono da potenziare, non da chiudere. Potenziare con risorse e personale qualificato, per farne scuole che offrono qualcosa in più (non qualcosa in meno!) delle altre, attraenti anche per quei genitori italiani che vogliano preparare i loro ragazzi a essere competenti cittadini del mondo.

 

Marilena Adamo

 


 



Condividi

Iscriviti alla newsletter!

Per ricevere in anteprima sulla tua e-mail gli articoli di ArcipelagoMilano





Confermo di aver letto la Privacy Policy e acconsento al trattamento dei miei dati personali




Ultimi commenti