8 febbraio 2010

MILANESI: CITTADINI SENZA CITTÀ


In quest’articolo avrei dovuto raccontare che tipo di rapporto esiste tra Milano e i suoi giovani, avrei dovuto spiegare da che cosa nasce l’eterno problema della “movida”. Un compito che si è rivelato più difficile di quello che potessi immaginare inizialmente, in molti hanno già scritto a riguardo senza riuscire a dare delle risposte. D’altronde per cogliere l’essenza della questione occorre un’analisi sociologica che richiede uno spazio molto più ampio rispetto a quello concesso da un articolo di giornale. Per affrontare il problema non si può circoscrivere il discorso al rapporto tra Milano e i suoi giovani, ma è necessario avere una visione più ampia della relazione che lega la città ai suoi cittadini. La “movida” è solo un aspetto del più vasto disagio che i milanesi vivono quotidianamente.

Leggendo i giornali di questi ultimi giorni si ha la netta sensazione che siano molti i cittadini milanesi abbandonati dalla propria città. Una città che isola Frediano Manzi, presidente dell’associazione Sos racket e usura che, dopo aver denunciato il racket delle occupazioni delle case e aver subito successivamente tre attentati, alza bandiera bianca e decide di chiudere la propria associazione (nata nel 1997) perché: “Chi denuncia la mafia a Milano viene lasciato solo”. Le istituzioni cittadine, infatti, sembra che non si siano nemmeno degnate di concedere una sede a Sos usura. Una città nella quale vengono recapitati 23 proiettili all’attore di teatro Giulio Cavalli, da tre anni sotto scorta, che, afferma sulle pagine del Corriere dello scorso 8 febbraio, trova “curioso che mentre la Lombardia celebra Saviano, un lombardo deve andare in Sicilia a cercare l’abbraccio di chi apprezza il nostro lavoro di denuncia”. Una città che avvelena i propri cittadini, i livelli di PM 10 certificano un impegno imbarazzante nelle politiche ambientali, ma anche quando il problema è chiaro, sbattuto sulle prime pagine di tutti i giornali nazionali, di destra e di sinistra, gli amministratori si affrettano a far passare i cittadini come dei visionari, stando alle loro dichiarazioni è tutto normale, sotto controllo, ci dicono che “i giornali esagerano” e che “a Roma è peggio”.

Ecco che allora i cittadini più vulnerabili, con meno esperienza e affamati di vita, i giovani appunto, si scontrano con più violenza con il contesto che li circonda. Ad aggravare questo dato naturale ci pensa una città nella quale gli spazi pubblici più cari ai giovani vengono chiusi, e se i ragazzi cercano rifugio in un locale sono ricacciati per strada a orari ridicoli se messi a confronto con altre città europee. Ma il problema sta sempre all’origine, il fatto è che da vent’anni ormai Milano è governata da amministrazioni che non sono all’altezza della città, se risulta tanto difficile capire che ai giovani, privati di piazze, parchi e locali va dato uno straccio di alternativa, allora non è poi così difficile capire che la situazione, se si prosegue in questa direzione, non può che peggiorare. Non è possibile limitare al minimo gli spazi di socializzazione senza proporre niente in cambio.

A dimostrare questa squallida realtà di cui il comune di Milano si è reso artefice, sta la notizia di questi ultimi giorni che tutti i poteri sulla movida passano dal comune al prefetto. Una delle prime idee rivoluzionarie di questo nuovo corso nella gestione del problema pare essere l’introduzione dei metal detector all’ingresso delle discoteche. Se il buongiorno si vede dal mattino.

Giovanni Zanchi




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