26 giugno 2018

NAVIGLI: QUESTIONI DI METODO ED EQUIVOCI SEMANTICI

Ricondurre il dibattito nell'alveo giusto


Svariati interventi urbanistici nell’arco di molti decenni, con scelte non sempre lungimiranti, figlie di sensibilità e logiche diverse e talora pure molto distanti da quelle attuali, hanno segnato in modo non reversibile la forma urbis di Milano conducendola a ciò che è oggi, con le vie ed i palazzi come li conosciamo, modificando vuoti e pieni, spazi ed orizzonti, cancellando quartieri per edificarne di nuovi, seppellendo anche memorie monumentali. Il volto nuovo si appoggia e talvolta sostituisce l’antico, modificandone forme e funzioni: è anche il modo in cui le città evolvono, come corpi viventi. Se però alcuni cambiamenti appaiono oggi non più accettabili, proprio nella città che, forse più di altre, ha divorato sé stessa, prima di pensare a restituzioni neppure sempre possibili conviene innanzitutto saper fare tesoro degli errori del passato per evitarne di nuovi, sempre incombenti.

04Galli_24FBPartendo dal superamento di alcuni equivoci semantici nei quali risulta facile cadere: la cosiddetta “riapertura” dei navigli ha in sé un fascino suadente e illusorio perché fa pensare ad un’esperienza di riscoperta, di scavo archeologico e di conseguente recupero a nuova vita di beni sepolti dalla coltre del tempo. Ma il progetto in questione non ha nulla a che vedere, poiché in realtà concerne uno scavo nuovo, una reinvenzione, che semplicemente simula un tracciato antico. Come non ricordare allora le osservazioni di un autorevole esperto della materia, il prof. Gianni Beltrame, nella sua “Lettera aperta agli ‘scoperchiatori facili’ dei Navigli”? Ma c’è chi invita ad andare oltre.

Allora, rispetto al dibattito in corso sul tema navigli, prima del merito, c’è un aspetto non trascurabile che attiene al metodo adottato ai fini della decisione. Sul piano metodologico infatti la discussione avviata dal Comune sostituisce il referendum, di cui si era a lungo parlato e che avrebbe chiamato i cittadini a rispondere con un sì o un no alla complessa tematica. E questa sostituzione può essere considerata positiva e virtuosa, favorendo la partecipazione, a due condizioni a mio avviso entrambe necessarie.

La prima è che le informazioni siano diffuse in modo chiaro, corretto, completo, comprensibile (anche in relazione ai costi e ai tempi previsti, ed inclusi i costi di manutenzione successiva delle opere), altrimenti si produce un dibattito viziato, frutto di informazioni asimmetriche e parziali, magari idealizzate. Occorre spiegare bene da dove vengono tratte le risorse da dedicare a questa impegnativa operazione e a cosa vengono sottratte.

La seconda condizione, è che il dibattito serva a confrontare in modo imparziale gli argomenti a sostegno e quelli contrari, per giungere a una decisione conseguente che può essere di “procedere” o anche di “non procedere”.

Questo è lo spirito e la lettera del débat public e degli altri istituti similari che vengono implicitamente richiamati dal riferimento alla “consultazione pubblica” in corso: ma c’è questa comune consapevolezza? Il dibattito pubblico è un processo che mette a fattor comune le informazioni e i dati, le opinioni informate, i rilievi critici, le proposte e le controproposte, analizzando e pesando i vari argomenti, per “poi” decidere, in un senso o nell’altro, sull’opera pubblica dibattuta: si parte da una posizione aperta, per approdare, al termine di un percorso partecipativo, a una decisione informata e non precostituita, che può portare anche a una rinuncia.

Ebbene, la percezione – anche alla luce di risposte evasive ascoltate su alcune domande al riguardo esplicite – è che, su questa partita, le cose non stiano esattamente in questo modo e che si sia invece già deciso di “fare”, che l’esito sia dunque in qualche misura già pregiudicato. Quindi la discussione pubblica sui navigli non attiene al “se”, bensì al “come” fare; serve, nella migliore delle ipotesi, a introdurre migliorie a ciò su cui si è già deciso di impegnarsi. Nel peggiore dei casi, che appartengono ai pensatori maligni, a dare una parvenza di dibattito e a creare degli schieramenti (o fazioni) nella pubblica opinione.

Se è così, però, questo non avvicina, a mio modo di vedere, la partecipazione civica, ma, al contrario, l’allontana, la scoraggia, la strumentalizza, la trasforma in qualcos’altro. Perché partecipare, come a molti certamente non sfugge, costa fatica: soprattutto in un ambito di questo tipo, oltre al tempo personale investito, occorre ascoltare, leggere, studiare, confrontarsi. E la partecipazione è un impegno non meno oneroso anche per chi la gestisce.

Se l’esito è aperto, la motivazione sale. Se viceversa il finale è sostanzialmente già chiuso, è ragionevole che molti possano ritenere che non valga la pena spendersi, avvertendo l’inutilità di impegnarsi a discutere sui fondamenti del progetto, sulle sue criticità, solo come testimonianza resa “a futura memoria” e senza una reale possibilità di influire sul dibattito con una qualche efficacia, di incontrare un ascolto reale. In questo senso sarebbe bene dissipare definitivamente ogni equivoco o ambiguità.

Quanto sarebbe più opportuno ragionare su una rigenerazione urbana che, anziché impegnare fiumi di risorse nella ricostruzione simbolica di un anello centrale d’acqua, realizzi finalmente un rammendo radiale tra centro e periferie?

Vorrei da ultimo aggiungere: ha ragione chi afferma che c’è già stato sul tema navigli un referendum nel 2011, che i cittadini si sono quindi già espressi con voto favorevole. Benché, allora, i proponenti stimassero cifre assai imprecise e ben lontane dalle attuali, che pure precise ancora non sono (i promotori referendari di “MilanoSìMuove” prevedevano “una spesa massima aggiuntiva pari a 10 milioni di euro all’anno per un triennio”, contro gli odierni 500). Se però vogliamo fare riferimento alle consultazioni civiche, merita in tal caso ricordarle tutte, senza selezioni di comodo (i referendum consultivi erano cinque: tutti superarono il quorum di validità e furono tutti sostenuti da un’ampia maggioranza di Sì, quasi a sottolineare una potente investitura della cittadinanza sui temi ambientali ai nuovi amministratori): ad esempio il quesito 1, relativo fra l’altro all’allargamento – fino alla cerchia ferroviaria – dell’area soggetta a charging (allora Ecopass, oggi AreaC), e il numero 3, concernente il mantenimento a verde del parco agroalimentare in area Expo…

Eugenio Galli



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