2 febbraio 2010

DI MILANO SI PUÒ ANCHE MORIRE


 

Proprio così: di Milano si può anche morire. Quante sono le morti “naturali”? È un calcolo difficile anche perché non tutte le morti naturali sono uguali. Chi muore in un letto, e sono i più, può morire, come si diceva una volta, di vecchiaia: un lume che si spegne piano piano. Non esiste un termine statistico per indicare la soglia oltre la quale si muore di vecchiaia ma oggi siamo sempre più portati a pensare che forse chi muore oltre gli ottantacinque anni può già ringraziare Iddio, soprattutto se non ha sofferto. Ma se avviene prima e guardiamo le cause di morte per malattia o per incidenti, ma soprattutto per malattia, ci domandiamo sempre quanta cattiva qualità dell’aria ci sia dietro quei decessi.

Eppure anche quando le statistiche parlano chiaro, come nei casi di leucemia infantile nella nostra città, il dibattito sul come ridurre l’inquinamento resta sempre sul piano della rissa tra fautori e nemici ora di questo ora di quel provvedimento: la vecchia massima della cautela che direbbe che qualunque azione che riduca anche di poco l’inquinamento va adottata, sembra inesorabilmente uscita dai modi di comportamento. Una rissa grottesca ma ancor più grottesca è l’affermazione “abbiamo fatto quel che si poteva”. Non è vero! Si poteva, si può e si deve fare ancora molto.

Ma si deve cominciare da lontano e con tutti gli strumenti dei quali disponiamo, anche se gli effetti dei provvedimenti presi si manifesteranno ad anni di distanza e quando chi ne beneficerà, i nostri nipoti, non saranno voti utili per chi governa ora: uno sforzo di “generosità” della classe politica odierna. Cominciamo con il governo del territorio. Ogni piano deve avere come obbiettivo principale la sostenibilità ambientale – la parola sostenibilità non mi piace perché è una condizione, non un fine – anzi io direi “avere come obbiettivo il ricupero ambientale”.

Chiunque mastichi anche pochissimo di urbanistica sa di cosa stiamo parlando: densità edilizia, verde, destinazioni d’uso viste con la lente del pendolarismo e per lavoro e per svago, reti di trasporto pubblico e così elencando. Il contenimento dei consumi energetici, l’altra faccia della medaglia dell’inquinamento, non deve essere una virtù premiata –norme premiali sotto forma di aumento dell’edificabilità – ma un obbligo di legge e di regolamento. Il capitolo delle norme per il contenimento dell’uso dei mezzi privati di trasporto va riscritto da capo e applicato con serietà.

Domenica scorsa la limitazione del traffico ha avuto, come sempre, degli aspetti beffardi: tutte o quasi le automobili cui era consentito di circolare (troppe) nel vuoto delle strade si sentivano in pista e ognuna si loro consumava a quella velocità come fossero due. Parsimonia per molti, festa grande per altri. D’altra parte chi controlla normalmente la velocità dei veicoli a Milano? Pochissime pattuglie, tanto è vero che quando si imbocca il cavalcavia Scarampo che ha una velocità video sorvegliata di 70 km ora – 20 più del limite urbano normale – le auto che lo imboccano rallentano visibilmente. Lo sceriffo De Corato tra le sue “grida” bellicose forse dovrebbe mettere anche quella del controllo urbano dei limiti di velocità perché ogni chilometro in più oltre i cinquanta vuol dire polveri fini e compagnia in aumento. (*)

E siamo arrivati alla nota dolente: i nostri comportamenti, quelli che nessuno può o riesce a controllare e che sono lo strumento più efficace per ridurre l’inquinamento. Invece di spendere tanti soldi del Comune nella propaganda personale, il sindaco Moratti farebbe bene a distribuire a scuole e famiglie un piccolo manuale del cittadino consapevole, di quel cittadino che vorrebbe essere di esempio al mondo nel 2015 quando ci sarà l’Expo e quando i comportamenti virtuosi potranno essere mostrati. Senza fumetti bamboleggianti, senza parlare ai bambini come fossero tanti piccoli cretini, prima che la televisione loro dedicata (e non solo quella a loro) abbia compiuto la sua missione d’incretinimento. Poi ci sono le morti per abbandono, quelle di chi muore al freddo, di chi muore solo e passano giorni prima che qualcuno se ne accorga; ci sono i suicidi anche di giovani e giovanissimi, c’è chi muore di overdose ma tutti alla fine, dopo il primo momento di “turbamento”, sono morti dimenticati e sono rimosse le cause dalla loro morte. C’è alla fine un’ultima causa di morte, non umana morte fisica ma statistico anagrafica: chi ancora se ne va da Milano scomparendo dall’anagrafe comunale, e chi non ci torna, quelli che potremmo chiamare i “non nati”. Tutte vittime dell’inquinamento patito o temuto. Di Milano si può anche morire.

 

(*)

 


L.B.G.



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