2 febbraio 2010

UN PGT SENZA CITTÁ NÉ CITTADINI


Il principio archimedico che ci solleverebbe a una visione diversa e alternativa, più ampia indubitabilmente ma anche più acuta di quella assunta dal nuovo Piano di Governo proposto dal Comune di Milano, e ora in discussione nel consiglio comunale della città, è quello di Città Metropolitana. Sollevandoci appena un poco dal pelo della superficie e guardando le cose dall’alto di questo principio, si vedrebbe bene quanto l’inquadramento della realtà di Milano compiuto dal PGT morattiano sia concettualmente inadeguato e vecchio. E non solo perché ancorato ai solidi interessi degli immobiliaristi piuttosto che alla vita della città, alla sua storia e alla sua identità, ma perché non coglie l’attuale configurazione di Milano e il rapporto che nei fatti stringe il capoluogo al territorio di quella che solo per inerta abitudine (e per difetto istituzionale) chiamiamo provincia, ma che invece è parte integrante, indistinguibile ed essenziale di questa grande e unica conurbazione che è Milano assieme, appunto, alla provincia.

Il più grave errore, irriscattabile, del PGT è quello che con formula graffiante viene definito da Matteo Bolokan, “centralismo regressivo”. Un difetto, un errore, una tara ormai, questo centralismo, che ha segnato la recente storia di Milano e fa pagare un prezzo elevatissimo a questa comunità, in termini economici, di vivibilità e di civiltà. Questa miopia ha una sua ragione, diciamo le cose con chiarezza, e si chiama “rendita fondiaria”. A Milano città i terreni rendono di più e, inoltre, gli interessi abbarbicati alla rendita si collegano immediatamente con quelli delle grandi banche e della finanza. Se qualcuno volesse cercare il filo rosso di scelte non sempre comprensibili e razionali, credo debba cercarlo nella simbiosi rendita fondiaria-nuova finanza. Insomma, per dirla papale, Ligresti (e soci) hanno contato e contano sulla vita dei milanesi più di Albertini (“l’amministratore di condominio”!) e della Moratti. O meglio, hanno contato tanto per la complicità oggettiva di Albertini e della Moratti.

Negli ultimi dieci quindici anni a Milano si è costruito moltissimo: milioni di metri cubi. Ma non si è risolto alcun problema. Ora, con il Piano di governo si promette una nuova ancora più spaventosa valanga di cemento. Non i bisogni della gente guidano e motivano queste scelte, ma sempre gli interessi dei grandi pochi attori, anzi mattatori, che dominano la scena.

Nel PGT in discussione non c’è proprio la città e mancano i cittadini, ci sono invece gli stakeholders, i portatori d’interesse, e c’è la Giunta. La quale non ha una visione e un disegno, rinuncia al suo ruolo politico fondamentale e si affida alla contrattazione, volta a volta decidendo il quanto, il dove e il come.

L’obiettivo finto del Piano di aumentare la popolazione di trecentomila abitanti (in prospettiva settecentomila, per raggiungere così la mitica quota dei due milioni di abitanti!) è del tutto gratuito, immotivato e incomprensibile. Perché Milano città nei prossimi anni dovrebbe crescere così tanto? Non lo abbiamo capito. E quali dei gravi problemi che stringono come in una morsa il capoluogo vengono in tal modo, con questa medicina, risolti o almeno allentati? In che modo con questa cura intensiva di metri cubi Milano migliora la qualità della sua vita, assai peggiorata negli ultimi quindici-venti anni?

Non c’è la città, manca, come dire, la cristallografia, la sedimentazione di cultura e di storia, di ragioni e di ragione, di abitudini e di costumanze che fanno di Milano Milano e non un’altra qualsiasi città al mondo. Manca, non per citare a ogni costo J. Hillman, l’anima delle cose e della città. Tra la trasformazione dell’Isola, “un antico Paesone” come lo definisce con affetto Enrico Bertolino che ci è nato e ancora ci vive, in un moderno quartiere di una capitale europea e la frenetica rincorsa per ridurlo a una pseudo Manhattan dei Bauscia c’è una bella differenza… anche economica.

Ci mancano i cittadini, ci sono i portatori d’interesse. Come dice il titolo di un articolo di Beltrami Gadola su Repubblica, “Il Piano di governo del territorio milanese è costruito per favorire gli interessi di pochi: i soliti”. E riferendo di un incontro per la presentazione del Piano, nota: “Quali erano le “parti sociali” presenti all’incontro? Sostanzialmente una: gli operatori immobiliari. Il resto della platea era costituito da professionisti, architetti e avvocati amministrativisti, ossia i professionisti degli operatori immobiliari: una rappresentanza molto parziale delle parti sociali”.

Rispondendo a un giornalista che le chiedeva “saprebbe dire dove è finita la leggendaria borghesia milanese?”, Giulia Maria Crespi, lei sì leggendaria presidente del Fai (Fondo Ambiente Italia), ribatteva secca e decisa: “Non c’è più. E’ scomparsa da anni. E’ inutile farsi illusioni”.

 

Arturo Calaminici


 



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