2 febbraio 2010

Scrivono vari 020210


Scrive Franco Morganti

 

Taranto ha ragione. Il digitale terrestre doveva essere, oltre che una rivoluzione tecnologica, anche una grande opportunità. Ma il fatto che non lo sia dipende dalla sua legge istitutiva, quando si è consentito solo a chi già era in possesso di concessioni analogiche, di entrare nel digitale. In nome del duopolio RAI-Mediaset si è sacrificata la concorrenza, che poteva interessare a tutta l’utenza. E così, dietro le quinte, la concorrenza è spuntata col satellite (SKY), che pure era stato penalizzato, alla faccia della neutralità tecnologica, dando agevolazioni agli acquirenti dei decoder. E recentemente anche dall’aumento dell’IVA. E oltre alla ricchezza dei programmi, SKY ha già un’offerta ad alta definizione (HD), che nel terrestre ancora non si vede.

Si aggiunga che Telecom Italia ha rapidamente abbandonato sul digitale l’offerta pay-per-view, finita a Dahlia; la RAI non può offrirlo per contratto e quindi a chi resta il reale monopolio dell’offerta pay sul digitale? Ma a Mediaset, naturalmente. Infine la qualità: il digitale, si è detto, oltre alla maggior disponibilità di programmi, doveva offrire maggior qualità. Anche questa non si è vista, anche a causa delle antenne, ed è rallentato il passaggio da un canale all’altro. Si paga il canone e si compera il decoder per aver solo questo?

Nessuno dice però che si potrebbe avere molto di più con decoder più sofisticati e cari: veri e propri computer da TV, con cui farsi un proprio palinsesto evitando anche la pubblicità. Ma è meglio non spargere la voce: potrebbero arrabbiarsi gli inserzionisti pubblicitari del duopolio.

 

 

Scrive Marco Ferraguti

 

Ho due commenti diversi su due argomenti diversissimi:

1. Ho molto apprezzato l’articolo sulla Stazione centrale dell’Arch: Giovanna Franco.

Visti con gli occhi di un estraneo gli architetti appaiono un po’ come una corporazione nella quale la difesa ad oltranza dei colleghi è al primo posto. ma qualunque cittadino “usi” la Stazione Centrale non può non essere d’accordo con la sua – a dir poco – difficile utilizzazione. Poiché sono curioso e appassionato di architettura non mi dispiacerebbe che il progettista ci raccontasse che cosa aveva in mente quando ha inventato un sistema che ti “ruba” almeno 5 minuti in più di prima dall’uscita della metropolitana al marciapiede del treno…

2. Sono un appassionato di Biblioteche e seguo da tempo le vicende della BEIC. Non capisco perché nessuno abbia mai proposto una cosa elementare: lo svuotamento della Sormani e il trasferimento del contenuto nella BEIC. I vantaggi sono a mio avviso notevoli:

a) si costituirebbe a costo zero un nucleo importante della nuova Biblioteca

b) si eviterebbero duplicati

c) estendendo questo principio si potrebbe “specializzare” le Biblioteche a vari effetti pubbliche di Milano: la Trivulziana potrebbe occuparsi dei testi più antichi, la Braidense di quelli più recenti e la BEIC dell’800 e ‘900. Capisco che fanno parte di amministrazioni diverse, ma l’utilizzo razionale delle risorse pubbliche non dovrebbe prevalere? D’altra parte, se l’hanno fatto a Parigi….

d) perché infine, fatto il trasferimento, non si potrebbe pensare di vendere Palazzo Sormani e usare il ricavato per costruire la BEIC? I cittadini, a mio avviso, potrebbero molto apprezzare lo sforzo di ridurre l’uso di denaro pubblico in questo momento.

 

Scrive Luca Marescotti

 

A proposito dell’affermazione contenuta nell’articolo citato in riferimento:

“C’è una particolarità in più: tra le tante “modernizzazioni” quella delle biblioteche sembra essere una delle più necessarie in un sistema d’istruzione-formazione-ricerca che forse più di ogni altro ha visto l’ingresso di tecnologie innovative e di cambiamento quantitativo e qualitativo della domanda”.

Si possono aggiungere due commenti.

Il primo commento riguarda la modernizzazione attraverso la scuola (tutti gli ordini dell’istruzione dalla scuola dell’obbligo al sistema universitario) per la formazione di una “cultura” scientifico-tecnologica, capace di affrontare i problemi della modernità per tempo. Questo aspetto si presenta come problema infatti non solo nelle università in cui è difficile percepire un discorso generale, ma in tutte gli ordini scolastici che preparano sempre meno alla capacità di “manipolare” concetti.

Il secondo commento riguarda la necessità di confrontarsi con altri paesi che affrontano l’innovazione anche nel sistema biblotecario: in Francia la modernizzazione delle biblioteche passa attraverso la digitalizzazione: Alla Bibliothèque Nationale de France inaugurata nel 1998 ora si parla, oltre ai rapporti cercati con Google e altri, d’investimenti consistenti (750 milioni di euro) per la digitalizzazione dei testi francesi (vedi la Repubblica del 23 dicembre 2009), ma anche di programmi di attività. L’intervista di Anais Ginore si chiude con l’affermazione: “Ecco come intendiamo la Biblioteca del Duemila”.

E Milano quale progetto culturale ha in gestazione?

 

 
 

Scrive Michele Sacerdoti 

 

Ho letto con interesse l’intervista a Boeri su You Tube  e l’articolo di dell’arch. Favole. 

Mi fa piacere che l’ANPI, l’ANED e le associazioni delle vittime del terrorismo possano avere una nuova sede prestigiosa, tuttavia mi permetto di dissentire con la collocazione dell’edificio, al posto del Community Center previsto dalla convenzione tra Isola srl e il Comune all’angolo tra via Volturno e via Confalonieri.   

La convenzione prevede “funzioni per l’adolescenza, culturali e per il quartiere” in sostituzione della Stecca degli Artigiani che è stata demolita. E’ previsto anche un asilo nido di 45 posti. 

Anche il Community Center era stato progettato dall’arch. Boeri e la sua realizzazione differita in attesa del completamento della linea 5 del metro, che vi passa sotto.  Il progetto è stato presentato a tutta la città ed è compreso nel plastico visibile alla Fondazione Catella. 

In base alla convenzione è il consiglio di zona 9 che deve decidere le funzioni che saranno ospitate nel community center e non mi risulta che questa proposta sia mai stata presentata in quella sede. 

Per l’arch. Boeri è molto più prestigioso progettare un Museo della Memoria al posto di un Community Center di quartiere e inoltre si può attingere ai fondi destinati all’anniversario dei 150 anni della Repubblica. Anche Manfredi Catella, che si è fatto recentemente pubblicità per lo spostamento del monumento ai partigiani da largo de Benedetti a piazzale Segrino, approfitterebbe della nuova destinazione. Tuttavia il cambio di destinazione dell’edificio non sarà accettato senza proteste dal quartiere, che si aspetta il Community Center come indennizzo per l’impatto del progetto Garibaldi-Repubblica che ha eliminato la Stecca e i giardini di via Confalonieri.  La proposta dell’arch. Favole per un percorso della memoria è inoltre incompatibile con il giardino di quartiere (giardino dei ciliegi o central park bonsai) progettato dall’arch. Kipar davanti al Community Center.

Ho l’impressione che la collocazione di questo progetto per la Casa della Memoria venga tenuta nascosta al pubblico fin quando non sarà tutto deciso; infatti nel comunicato stampa del Comune la collocazione non è mai stata chiaramente spiegata e tanto meno la spiega l’arch. Boeri nella sua intervista.

 
 

 

Scrive Manuela Frau

 

Non sono d’accordo con l’affermazione del dott. Massimo Belotti riguardo alle biblioteche di Milano:

Milano non è messa poi così male dal punto di vista delle sue biblioteche, a partire dalla principale, la Biblioteca Sormani.

Penso invece che a Milano non esistano biblioteche specialistiche. Faccio un esempio: a Firenze esiste l’Istituto tedesco per la storia dell’Arte. A Roma c’è la biblioteca Hertziana. A Milano, l’unica degna di nota, è quella del Castello. Altre non ce ne sono.

Per trovare libri specifici bisogna andare a Parigi alla Bibliothèque Nazionale de France! A Parigi biblioteche ben più piccole, parliamo sempre di milioni di libri, possiedono libri che a Milano sono introvabili.

Se si ha bisogno di studiare veramente a livello specialistico Milano non offre quasi niente. Le biblioteche milanesi soddisfano i bisogni degli utenti fino al livello universitario (forse!). Chi deve studiare invece deve rivolgersi altrove a proprie spese.

 


 



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