12 marzo 2018

RITRATTI IN CARCERE

Intervista a Margherita Lazzati


Margherita Lazzati, fotografa milanese, dal 15 al 29 marzo porta i suoi Ritratti in carcere nelle sale dell’Ambrosianeum grazie al prezioso supporto della Galleria L’Affiche che ne ha curato, in questa occasione è da sempre, l’allestimento. Dalle parole della fotografa il forte senso e il valore del progetto.

08marchesi10FBCome nasce la collaborazione con il carcere di Opera?
È stato sette anni fa, il 9 giugno del 2011, la prima volta che sono entrata nel carcere di Opera. È stato a seguito dell’invito a partecipare al Laboratorio di lettura e scrittura creativa – fondato 25 anni fa da Silvana Ceruti e da lei ancora condotto. Avevo da poco realizzato la mostra Cacciatrice di miraggi e il catalogo, composto da cartoline, era giunto nelle mani dei detenuti del Laboratorio, da lì uno scambio epistolare e la necessità dell’incontro di persona. Da allora tutti i sabati partecipo al Laboratorio, all’interno del quale ho fatto un mio progetto nel quale si uniscono fotografia e poesia. Per cinque anni ho sempre portato mie foto stampate, a tema, che distribuivo ai partecipanti e che servivano da spunto per la scrittura. Ogni anno esce un “Calendario poetico” formato dalle mie fotografie e dalle loro poesie; quello di quest’anno è stato allegato al numero di dicembre del Bullone. Il titolo del calendario è “Dai quadri della mia finestra: Nuvole”, dove le finestre possono essere quelle della reclusione carceraria o di un ospedale.*

 

Prima quindi sono entrate le fotografie, quando hai cominciato a portare la macchina fotografica?
La bellezza di questo laboratorio è che si lavora in assenza di giudizio, il che vuol dire che non conosco il motivo per cui le persone che frequentano il Laboratorio sono detenute e non so la durata della detenzione; nessuno ne parla, perché in quel momento siamo tutti attorno ad un tavolo, uguali e in ascolto delle scritture. Osservando quel tavolo con gli occhi di fotografa mi sono chiesta cosa sarebbe venuto fuori se avessi potuto fotografarlo, chi avrebbe potuto riconoscere la persona detenuta dal volontario. Ecco che allora è affiorato il desiderio di portare la macchina fotografica all’interno del carcere; da lì ho fatto domanda al Direttore del carcere, Giacinto Siciliano, e gli scatti sono diventati, in prima battuta, un omaggio al Papa in occasione del Giubileo delle persone detenute, per far scoprire che all’interno di una casa di reclusione esistono anche spazi di creatività. Tra gli scatti realizzati ce n’era uno di un volontario alle spalle di una persona detenuta, ne è scaturita una serie di ritratti con il tema “chi è chi”. Il Direttore, persona straordinaria e di una lungimiranza e sensibilità uniche, ha accolto la mia richiesta, acconsentendo a realizzare i ritratti all’interno degli spazi del Laboratorio di lettura e scrittura creativa. Qua mi sono scontrata con le oggettive difficoltà tecniche: in uno spazio ristretto, senza luci particolari, non è stato facile scattare. Ogni sabato entravo nel laboratorio e posizionavo la macchina fotografica di fronte a uno di loro e scattavo, dopo un po’ mi spostavo davanti ad un altro; sono quasi sempre ritratti alla stessa distanza, la distanza del tavolo, e la variazione delle luci asseconda la presenza all’esterno di sole o pioggia.

 

Quali i passaggi per consentire la realizzazione di una mostra come questa?
Sono stati molti: la liberatoria personale, del Direttore, dei Magistrati di sorveglianza, e il Ministero di Giustizia, dal momento in cui i detenuti sono sotto la loro giurisdizione. Nel 2017 il nucleo dei 30 ritratti è stato portato al MIA e quando il Direttore li ha visti ha ritenuto essenziale venissero condivisi e mostrati: gli scatti sono eloquenti, guardando le foto davvero non si riconosce chi è il detenuto e chi il volontario; crollano i pregiudizi dal momento in cui sono solo persone ritratte. La mia provocazione è quella: mostrare quanto sia difficile identificare la persona detenuta rispetto al volontario. Dopo la tre giorni al MIA ho cominciato a lavorare ad una sorta di reportage, che è una documentazione che per sei mesi mi ha vista accedere ad ogni angolo del carcere e che ha portato ad una raccolta di 7000 scatti. Quello dei ritratti è solo il primo passo di un progetto più ampio, che deve ancora trovare la sua forma.

 

Portare fuori o portare dentro?
Credo che la Direzione abbia capito l’urgenza di proporre e interrogare la società civile, la cui maggioranza invita “a buttare via le chiavi” quando si parla di carcerati. Sabato ho distribuito ad ognuno dei partecipanti del Laboratorio un libro dedicato personalmente, una delle risposte immediate che ho ricevuto è stata: “Grazie per ogni volta che il tuo sguardo è riuscito a scavalcare i mille occhi, mille occhi che ci osservano senza scorgere il buono in noi. Grazie per ogni volta che hai catturato il nostro cuore in un ritratto eterno”.

(È decisamente una questione di portare fuori)

 

Milano città sensibile?
Milano è sensibile… sì, ma fino ad un certo punto: lo è per le persone malate, lo è per i bisognosi, lo è per gli homeless, ma proporre attenzione sui detenuti non è così facile. All’Ambrosianeum il mio grazie più profondo, perché non solo ospita la mostra, ma accoglie l’inaugurazione nella quale interverranno il l’ex Direttore del carcere di Opera ora a S. Vittore, e alcuni dei detenuti che hanno preso parte al progetto, i quali racconteranno perché si sono fatti ritrarre e cos’è la scrittura nella loro vita.

 

Facendo un passo indietro e guardando al tuo lavoro nel complesso, che rapporto hai con la fotografia?
Sono un’appassionata: dalle mostre al libro fotografico, alle foto di famiglia; ho un uso elementare della macchina fotografica, e questo credo che abbia facilitato la relazione con le persone che ho fotografato. Ho una piccola Leica che ho usato nel progetto, sempre con luce naturale e senza flash, e fuori uso il mio iPhone; anche l’ultimo Calendario è stato realizzato con gli scatti fatti con il telefonino. Nel Laboratorio i ragazzi scrivono con foglio e penna e il mio scattare con iPhone voleva essere dimostrazione che non è la tecnologia che rende importante il lavoro che facciamo insieme, ma il messaggio che vogliamo far arrivare.

 

Il valore del ritratto
Dopo la scorsa edizione del MIA ho regalato a ciascuno una copia della foto esposta, le reazioni sono state davvero interessanti e hanno suscitato risposte differenti. In carcere non sono presenti specchi, le persone detenute si sono visti quasi come per la prima volta, mentre i volontari non si immaginavano di essere così tesi e concentrati, quasi severi. Questo mi ha colpito: il luogo influenza e determina moltissimo, anche le persone che vengono da fuori. Due testi di quelli presenti nel catalogo sono stati scritti da coloro i quali hanno ricevuto il loro ritratto che erano anni che si vedevano riflessi in vetri o in lastre d’acciaio. La mostra dovrebbe essere il primo passo per far scoprire cosa c’è al di là di quel muro: prima di tutto sono persone detenute, Persone.

Chiudo la telefonata e ho bisogno di qualche secondo per mettere a fuoco il tutto. Dalla voce di Margherita traspaiono accoratezza, emozione, entusiasmo: le immagini e la mostra sono frutto di un percorso di presa di coscienza, di assorbimento di un’esigenza che si è fatta strada fino a trasformarsi in azione concreta, ricca di atti di generosità: della Direzione del carcere per aver colto la necessità e l’opportunità, per l’Ambrosianeum per aver accolto e aver riconosciuto il valore dell’operazione, per le persone di essersi lasciate ritrarre.

 

Benedetta Marchesi

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* Il Bullone è il giornale realizzato dai B.Livers, ragazzi con gravi patologie croniche, studenti e volontari. I B.Livers hanno incontrato un gruppo di detenuti discutendo del tema della reclusione, nella declinazione da malattia e di chi ha un debito con la società. Il 20 marzo, alle 16, i ragazzi di B.Live incontreranno nuovamente persone detenute e si confronteranno sul tema dell’essere “ex”: ex detenuti ed ex malati, e quanto quell’essere “ex” determini la vita dopo.

L’inaugurazione della rassegna si terrà: MERCOLEDI’ 14 MARZO 2018 ALLE ORE 18.00 alla Fondazione Ambrosianeum (Via delle Ore, 3 – Milano (MM Duomo)

Intervengono: Marco GARZONIO, Presidente Ambrosianeum, Adriano PROPERSI, Vicepresidente Ambrosianeum, Giacinto SICILIANO, Direttore Carcere San Vittore, alcuni poeti detenuti ed ex detenuti ritratti, Margherita LAZZATI, Fotografa

La mostra è aperta con ingresso libero dal 15 al 29 marzo da lunedì al venerdì: 16.00-19.00. Sabato e domenica: 11.00-18.00



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