5 marzo 2018
IL VOTO A MILANO
Anamnesi della sinistra
Per cercar di capire cosa è successo forse non vale la pena di aspettare che il Ministero dell’Interno pubblichi l’ultimo dato: come in tutto il mondo, la sinistra sopravvive, non solo formalmente, nelle grandi città e la destra sta altrove. È difficile capire perché il contado voti per una destra italianamente sgangherata, favorevole comunque alla destra economica che certo non ha occhio di riguardo proprio per il contado, luogo dei ceti più esposti ai capricci dell’alta finanza, quella che guarda alle semestrali e non certo a chi coltiva la terra o manda avanti la piccola industria.
Milano in ogni caso è una grande città e dunque nessuno stupore se, nel disastro nazionale, l’isola milanese non sia stata travolta dal bradisismo negativo della sinistra nei territori.
Potremmo anche divertirci a curiosare di seggio in seggio o di collegio in collegio per vedere in maniera georeferenziata come sono andate le cose, ma anche qui non credo che avremmo delle sorprese rispetto alle analisi fatte in precedenti occasioni di voto.
Allora perché a Milano la sinistra si “salva” ancorché ammaccata? Indubbiamente perché la giunta Pisapia e la giunta Sala – in corso – hanno dato la prova che una sinistra unita può farcela da un lato e, dall’altro, perché il “renzismo” milanese non ha indossato la maschera del peggior renzismo, quello arrogante, sicuro di sé, incapace di ammettere gli errori, acido e sprezzante nei confronti dell’avversario interno e insultante verso quello esterno. Il renzismo milanese non ha dovuto lottare, bisogna anche dirlo, contro il Movimento 5 Stelle e il suo “drenaggio” di voti: i 5 Stelle a Milano sono sempre stati marginali.
Mentre c’è chi si lecca animalescamente le ferite, tra rancori e spirito di vendetta, io preferisco guardare avanti. Che prospettive ha la sinistra milanese? Che cosa può fare? Potrà essere il laboratorio di una nuova sinistra?
Molto dipende da quale Governo si farà, molto dai tempi della sua formazione e, ovviamente, dalle difficoltà di formare un eventuale governo che porti a nuove elezioni, ipotesi che nessuno può escludere con la sola speranza che una nuova legge elettorale sciolga qualche nodo.
Una nuova tornata elettorale ravvicinata non consentirebbe nulla al Pd e alla sinistra in genere se non riproporre se stessa, gli stessi contenuti o quasi, forse solo con altri personaggi al proscenio, ma un nuovo “cast” non lo vedo.
Se invece abbiamo davanti una legislatura, magari anche breve, qualche anno anche se meno di cinque, allora la sinistra deve prendere atto che se non riesce a ricucire la città al contado, il suo destino non cambierà, così come probabilmente non cambierà in analoghe circostanze nel resto del mondo.
In buona sostanza ricucire vuol dire alcune cose: cedere sovranità, condividere le risorse, condividere la cultura, leggere i bisogni reciproci, condividere le responsabilità, condividere i successi, condividere i benefici, riconoscere i ruoli, avere un comune progetto di sviluppo, una comune strategia di lungo periodo. Non sono cose che si fanno in tempi brevi. Non sono cose che si fanno senza generosità. Senza intelligenza.
La Città Metropolitana di Milano avrebbe potuto avere questo ruolo, l’ho già detto: la sua storpiata e troppo recente nascita, il disinteresse del suo primo sindaco e quello del capoluogo non le hanno consentito di svolgere questa funzione unificante. La sinistra ha pagato un prezzo alto alla sua incapacità di capire i tempi del cambiamento e i suoi possibili luoghi fuori dalla cinta urbana.
La sinistra milanese lasci per oggi agli altri la scena, c’è una parsimonia anche nell’essere e nel mostrare: parsimonia milanese. Poi si vedrà.
Luca Beltrami Gadola