5 marzo 2018

DÉBÂCLE ELETTORALE

Non ci sono parole


I commenti post elettorali oscillano spesso tra il “correre in soccorso del vincitore” (Flaiano) e il “bastonare il cane che annega” (Mao?), per quello che mi riguarda invece ritengo il commento più corretto quello del candidato Gori: “Non credo di aver sbagliato qualcosa. Rifarei la campagna elettorale che ho fatto”.

marossi09FBQuando ti separano 20 punti percentuali dal vincitore e più di mezzo milione di voti, quando realizzi il peggior score elettorale dai tempi di Martinazzoli, quando nella città di Milano perdi rispetto ad Ambrosoli 67.000 voti, e in regione più di 200.000 voti, sostenere di non aver sbagliato niente non è supponenza ma realismo, rassegnazione, meglio: è rimembranza foscoliana “i Fati non lasciano ad Atene altro che il nome”.

Gori ha ragione.

In molti erano pronti a gettare la croce sul povero Onorio Rosati, reo atteso di aver fatto perdere il centrosinistra con la sua candidatura, ma con l’ 1,93% -sempre ammesso che l’elettorato di Liberi ed Eguali si fosse pedissequamente riallineato sul candidato PD (ed è almeno dei tempi dell’unificazione Nenni- Saragat che la somma tra due sigle non si realizza)- la differenza sarebbe comunque stata abissale e a conferma basta guardare il risultato invero tristanzuolo di Lombardia progressista. Ergo né a Rosati, né a Gori, né a nessun altro può essere imputato questo terremoto.

Semplicemente si tratta di un onda lunga moderato/populista che, annunciata dal voto in altri paesi è alfine arrivata in Italia dove non ha trovato alcuna barriera.

Il centro sinistra governa la città di Milano, Brescia, Bergamo, Mantova, Cremona, Pavia, amministrazioni che non paiono particolarmente demeritevoli, ma questo non è bastato a costruire un argine al successo leghista e dei cinque stelle.

Nella stessa Bergamo di Gori e Martina, cavalli di razza del PD a trazione renziana, i risultati sono disastrosi. Tuttavia se perdi tutte le elezioni lombarde dall’anno della riforma elettorale in senso presidenzialista e cioè dal 1995, neppure l’onda lunga è una spiegazione sufficiente.

Forse più banalmente bisogna prendere atto che viviamo nella Baviera italiana: l’ultimo presidente bavarese socialdemocratico risale alla metà degli anni ’50.

C’è come una incompatibilità genetica tra la Regione Lombardia (intesa come istituzione) e il centrosinistra; discettare quindi dei risultati delle liste civiche, della modestia della campagna elettorale, delle responsabilità dei segretari regionali o provinciali, dei candidati a caccia di preferenze che non ci sono, dei teatri pieni e delle urne vuote, appare quindi francamente patetico ed inadeguato, e me ne astengo. Se nella città di Milano, Salvini ormai l’unico partito storico presente alle elezioni, ottiene il risultato migliore dai tempi di Formentini nonostante tutti i cambi di linea politica, di personale politico, di strategia sostenere “Milano è in controtendenza” appare un po’ ironico.

marossi09-01
Peggio: ricorda le elezioni amministrative del 10 dicembre 1922, quando il Partito socialista unitario (quello di Turati) ottenne il 29,8%, il Partito socialista l’11,3%, il Partito comunista l’1,5%. Non pochi pensarono che la resistenza al fascismo (la marcia su Roma era avvenuta poco più di un mese prima) sarebbe potuta partire da quel risultato elettorale nient’affatto disprezzabile considerato le condizioni in cui si era svolto il voto. Come sia andata a finire lo sappiamo: i sogni svaniscano all’alba.

Di solito quando scrivo su Arcipelagomilano vengo rimproverato per la lunghezza degli articoli, questa volta non accadrà perché per descrivere questa débâcle semplicemente non ci sono parole.

Walter Marossi



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