20 febbraio 2018

SUL PROJECT FINANCING IN VERSIONE CASERECCIA

Uno strumento nocivo per Città Studi e Piazza d’Armi


La città di Milano sta vivendo un tempo in cui le grandi trasformazioni, siano esse urbane o di scala metropolitana, sperimentano una fase particolarmente difficile. Le amministrazioni, ed in generale il soggetto pubblico, mostrano sempre una maggiore difficoltà nell’elaborare e gestire i grandi piani finalizzati al recupero o alla gestione della città e del territorio. Si osserva innanzi tutto una desolante mancanza di quella che potremmo definire “cultura pubblica”, o cultura dei beni comuni, cioè di quella capacità di pensare alla costruzione della città come luogo partecipato e condiviso, spazio privilegiato delle relazioni sociali e bisognoso di qualità dei luoghi.

06askapen07FBSoprattutto si nota una grandissima indifferenza, se non vera e propria ostilità, verso temi quali l’inclusione territoriale e sociale, mentre cresce una sempre più forte visione della città come luogo della competizione, elitaria ed escludente, e in definitiva non ospitale nemmeno nei confronti degli stessi abitanti. A tutto ciò si aggiunge, da parte delle amministrazioni, una capacità di spesa sempre minore o soggetta a vincoli, che relegano il soggetto pubblico ad una marginalità decisionale e ad una sudditanza operativa sempre più marcata a vantaggio di grandi operatori privati. I quali ovviamente non hanno nessun interesse (e probabilmente nessuna capacità) di comprendere le grandi sfide sociali della globalizzazione.

In questo scenario di scarsità è possibile inquadrare lo strumento del Project Financing (PF), un “sistema indiretto di realizzazione di opere pubbliche attraverso l’opera e il finanziamento privato”.

Il Project Financing è una modalità di realizzazione delle opere pubbliche di derivazione anglosassone, utilizzato in Italia come strumento per reperire le risorse necessarie per la realizzazione di opere pubbliche. In linea teorica consente un risparmio di spesa, e permette ad alcuni grandi investitori (meglio identificabili come speculatori) di realizzare le cosiddette grandi opere.

Tecnicamente quindi – ed ipoteticamente – consente di realizzare opere pubbliche senza oneri finanziari immediati per la pubblica amministrazione. Il meccanismo è sintetizzabile con questo schema: la pubblica amministrazione identifica le opere ed i servizi necessari per la collettività e ne affida mediante un bando la realizzazione e la gestione ad un soggetto privato che agisce secondo una logica di libera concorrenza, quindi teso a massimizzare il proprio profitto. Il privato che si aggiudica la gara realizza con propri fondi l’opera e recupera l’investimento mediante gli introiti derivanti dal canone percepito o dalla gestione del servizio e dell’opera, per tutto il tempo stabilito dalla convenzione.

In particolare si può distinguere tra PF a caldo e a freddo. Il PF a caldo si verifica quando dall’opera realizzata il concessionario ricava la possibilità della vendita di un servizio, con un conseguente cash flow diretto. È questo il caso dei PF per la realizzazione di autostrade o parcheggi, opere capaci di generare un introito più o meno prevedibile. Il PF a freddo invece si verifica nel caso in cui il soggetto pubblico affida la realizzazione di un’opera al concessionario (il caso tipico è la realizzazione di una nuova sede dell’amministrazione stessa) e versa per il tempo concordato un canone al costruttore, con i relativi interessi.

La storia del Project Financing in Italia, soprattutto per quanto riguarda le grandi opere del valore di centinaia di milioni di euro, ci racconta qualcosa di completamente differente. I costi di costruzione quasi sempre aumentano considerevolmente rispetto a quanto previsto dal preventivo iniziale e la differenza è sempre versata dallo Stato, che non può permettersi di vedere l’intervento bloccato a metà. I tempi di realizzazione si dilatano, consegnando intere porzioni di aree urbane ed estesi territori ad uno stillicidio di avanzamenti e sospensioni che prolungano la devastazione.

Il soggetto privato promotore dell’intervento, per realizzare l’opera, fa ricorso a finanziamenti, erogati in forme diverse e con mutevoli schemi associativi, ottenuti da istituti di credito. Le garanzie – ovviamente – sono prestate in ultima istanza dallo Stato.

Il canone, o più spesso i ricavi, della gestione del servizio in concessione molte volte non risultano sufficienti per il recupero dell’investimento. In questo caso lo Stato deve intervenire per evitare il fallimento del privato (ad es. con defiscalizzazioni, nuovi finanziamenti, nuovi appalti…) e scongiurare la chiusura dell’opera o la sospensione del servizio. La previsioni di incasso dalla vendita del servizio è spesso sbagliata, di solito sopravvalutata, anche in funzione della necessità di accedere, in fase iniziale, a finanziamenti.

Il soggetto privato è per definizione poco o per nulla trasparente. Tutta la gestione del servizio passa dalla modalità pubblica a quella privata, con le conseguenze prevedibili: perdita di visibilità, assenza di controllo pubblico, decisione del contraente di privilegiare soggetti “solventi” o di rivolgersi ad alcuni segmenti e non ad altri.

Un esempio ormai classico di queste inefficienze del metodo PF è rappresentato dalla Brebemi; per i dettagli si rimanda ad un volume completo ed interessante: Anatomia di una grande opera” che ne racconta gli aspetti noti e ne svela quelli meno noti.

Altro caso esemplare è quello della Pedemontana veneta, 94 km realizzati in PF tra Vicenza e Treviso, per i quali inizialmente il governatore del Veneto, per far fronte all’aumento dei costi, aveva addirittura pensato alla introduzione di una nuova addizionale Irpef. Cioè ad un aumento delle tasse a carico degli abitanti.

Il tentativo di snaturare Città Studi, e probabilmente anche gli altri grandi interventi di trasformazione della città, da Piazza d’Armi agli Scali ferroviari, espone ad un duplice rischio. Da un lato quello proprio insito nella trasformazione, che come ormai evidenziato da molti studi ed approfondimenti, cambia la struttura della città, ne snatura la forma e ne altera i rapporti, senza produrre miglioramento o progresso, ma al contrario, restituendo degrado ed esclusione. In subordine a ciò, il fatto che l’Amministrazione potrà avvalersi, per la progettazione, per l’esecuzione e la gestione delle aree e delle opere, dello strumento del Project Financing, con tutti i rischi di cui si è detto.

Gli esempi recenti insegnano che le grandi opere realizzate in PF versano tutte in profondo deficit. Il soggetto privato non si assume mai il rischio d’impresa e pertanto non ci rimette nulla. Le banche non subiscono perdite ed il denaro prestato è sempre stato prima garantito e poi restituito dallo Stato; cioè dai cittadini. Il costo della prestazione invece aumenta e la Pubblica Amministrazione è costretta più volte ad intervenire per ripianare debiti o garantire da ogni tipo di default, per salvaguardare il servizio pubblico. Alla fine l’operazione costa alla comunità molto più cara di quanto costerebbe se gestita in modo classico, senza PF.

Che il Project Financing non funzioni è ormai chiaro a chiunque abbia a che fare con servizi, opere pubbliche, cura del territorio, beni comuni. È chiaro ai movimenti, a coloro che animano le vertenze, a tutti quelli che lottano a difesa del territorio bene comune.

Purtroppo questa verità lapalissiana non è ancora patrimonio culturale della nostra classe dirigente, né tanto meno di quella politica.

Mario Askapen



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