30 gennaio 2018

PIAZZA D’ARMI LIMITE VALICABILE

Il Demanio speculatore: una new entry


La Piazza d’Armi di Milano, area di circa 400.000 mq (più di 50 campi di calcio) retrostante la Caserma di Piazzale Perucchetti, è tornata al centro delle cronache dopo le dichiarazioni del Sindaco Sala in merito al progetto di realizzarvi la cittadella e i campi allenamento dell’Inter, con il trasferimento di impianti e strutture oggi ad Appiano Gentile. Una vicenda simbolica rispetto al senso di città pubblica oggi a Milano. Ma andiamo con ordine.

07trada04FBFino ai primi del ‘900 l’area aveva destinazione agricola. Con lo sviluppo della città e l’epoca d’oro dei dirigibili (un milanese, Forlanini fu tra i primi inventori e progettisti) l’area diventò campo di decollo per le aeronavi. Da qui nel 1913 decollò il dirigibile “Città di Milano”, realizzato con una sottoscrizione popolare tra i cittadini. Questa destinazione d’uso sopravvisse fino alla fine degli anni ‘20, quando le esigenze di sviluppare le strutture per la Fiera Campionaria portarono al trasferimento della Piazza d’Armi sull’area di via Forze Armate. Negli anni successivi, con la costruzione della Caserma Santa Barbara e dell’Ospedale Militare, si creò nella zona il più esteso complesso militare urbano d’Italia. Per decenni l’area verde fu utilizzata per esercitazioni militari e manovre, prima della cavalleria, poi dai carri armati e dai mezzi di artiglieria, fino agli anni ‘80, quando ne iniziò il progressivo disuso. In questi ultimi trent’anni l’area si è rinaturalizzata spontaneamente, con un bosco, flora e faune selvatiche. Nel frattempo il nuovo Piano di Governo del Territorio, elaborato dalla giunta Moratti tra il 2011 e il 2012, poi rivisto e approvato sostanzialmente invariato dalla giunta Pisapia, inserì la Piazza d’Armi tra i cosiddetti ATU (Ambiti di Trasformazione Urbana: aree soggette a un regime di pianificazione “speciale”, ad hoc) avviando il percorso che doveva portare alla “valorizzazione” dell’area attraverso un apposito Piano d’Attuazione. Già nel PGT per la Piazza d’Armi si parla della possibilità di realizzare quasi 300.000 mq di s.l.p. . Intanto su porzioni dell’area sono sorti orti urbani, sedi di associazioni, società sportive e persino un allevamento di api.

Nel 2014 il Ministero della Difesa, il Demanio e il Comune di Milano siglarono un protocollo d’intesa per la riconversione dei siti militari cittadini. L’anno successivo iniziarono le prime timide bonifiche per rimuovere i residui inquinanti e i metalli pesanti. L’area, intanto, è confluita nel’ INVIMIT, uno dei fondi creati dal Governo per alienare patrimonio e attrarre investimenti sulle ex aree del demanio. Caratteristica di questi fondi è muoversi come “venditori” al miglior offerente, di aree ed edifici di proprietà dello Stato con l’intento dichiarato di fare cassa. Una privatizzazione in piena regola, agevolata dallo strumento urbanistico che per gli ATU non stabilisce vincoli, almeno non al mantenimento della natura pubblica, ma lascia agli accordi tra privati -o finte società pubbliche che si muovono come privati- e Comune il compito di concertare gli interventi. Il risultato che scaturisce è la trasformazione di vaste aree della città da pubbliche a private (in modo molto simile alla vicenda degli Scali Ferroviari o il destino di Città Studi nel caso le facoltà dovessero essere trasferite in area Expo).

Il contesto in cui tutto questo avviene è la Milano di Expo (pre-durante-post), una città che sta subendo una trasformazione sociale e culturale, prima ancora che urbanistica, proiettata a ritagliarsi un ruolo tra le metropoli globali, a colpi di eventi e promozione del brand. In questo senso Expo è stato il grimaldello con cui scardinare le casse pubbliche, attrarre miliardi di euro verso l’area metropolitana (contando anche le inutili nuove autostrade) e creare un immaginario vacuo, una narrazione della nuova città che tutti vorrebbero visitare o vivere. Il PGT è stato invece lo strumento, il “braccio armato”, con cui privatizzare tutto quello che rimane della città pubblica e cementificare i vuoti (scali ferroviari, ex caserme, ex Trotto, area di Cascina Merlata, solo per citare gli esempi più noti). Una città sempre più esclusiva ed escludente, a misura di turista facoltoso, sempre più ostile per chi quotidianamente la vive o la attraversa per lavoro o per studio, con spazi pubblici e socialità profit sempre più sostituiti dai finti spazi pubblici all’interno dei nuovi non-luoghi, ovviamente privati (Gae Aulenti e Citylife su tutti). Una città con le casse pubbliche depredate dall’operazione Expo e con un’Amministrazione Comunale che, non solo disattende gli impegni presi con i milanesi (trasformare l’area Expo in un grande parco come gli elettori avevano votato in un referendum nel 2011), ma anche non perde occasione per fare tour nei grandi centri della finanza mondiale per cercare investimenti sui progetti nuovi, altri. Una visione dello sviluppo della metropoli che porterà nuove privatizzazioni (come il bando C20 con l’alienazione del mercato di Gorla e delle scuderie De Montel) e nuovo consumo di suolo (il grattacielo in Melchiorre Gioia per finanziare il progetto Navigli per esempio). Una narrazione tossica che porta alla continua ricerca del progetto griffato archistar, degli immaginari venduti a colpi di rendering, dell’evento o dell’occasione per rinforzare questa trasformazione della città: riunioni del Comitato Olimpico Internazionale, la vicenda Ema, la strombazzata riapertura (che riapertura non è) dei Navigli a solo scopo turistico, la possibile candidatura per le Olimpiadi invernali del 2026.

Poteva la Piazza d’Armi salvarsi da queste dinamiche? No, è troppo appetibile avere 40 ettari a 15 minuti dal centro cittadino per pensarne un uso pubblico e una destinazione a nuovo polmone verde per i milanesi, condannati alla camera gas da polveri sottili e altri inquinanti. Si arriva così, a giugno 2017, al primo progetto per l’area, realizzato per Invimit dall’architetto Leopoldo Freyrie. In realtà non si tratta di un progetto, bensì della banale estrusione del tratteggio di contorno, e si presenta come l’ennesimo rendering, nemmeno troppo accattivante, per ingraziarsi l’opinione pubblica. Su giornali e web si parla del più grande quartiere ecologico d’Europa, di 27 ettari di parco, evitando di sottolineare che un terzo dell’area sarebbe cementificata, che molto del verde sarebbe di pertinenza dei condomini, che i palazzi sarebbero disposti a difesa del verde come i carri dei cow-boy che si difendono dagli indiani e che Milano è piena di quartieri, completati o in costruzione, con appartamenti vuoti e invenduti (che si vanno ad aggiungere alle migliaia di alloggi pubblici e privati sfitti). Dopo appena pochi mesi, il discutibile progetto viene surclassato nelle cronache dal nuovo pronunciamento del Sindaco Sala dell’autunno scorso. La Piazza d’Armi diventerà la nuova sede della cittadella dell’Inter, con un investimento di 100 mln di euro per acquisire da Invimit gran parte dell’area e realizzare campi di allenamento, il campus della squadra e le strutture ricettive, commerciali e di servizio. A detta di Sala un’occasione unica per l’immagine di Milano nel mondo, che attrarrà capitali, turismo e porterà posti di lavoro (quante volte abbiamo sentito queste dichiarazioni nel nostro paese in questi ultimi anni e quante volte è accaduto veramente?), sottacendo che l’area sarebbe sostanzialmente privatizzata. Sarebbe bastato che il Sindaco e INVIMIT leggessero le relazioni del Politecnico che nel 2014/2015 individuavano il ruolo strategico dell’area come collegamento tra il tessuto urbano e il sistema dei parchi della periferia ovest, del quale valorizzare le caratteristiche di landmark unico e da aprire ai cittadini.

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Fortunatamente gli abitanti dei quartieri limitrofi, storicamente molto attivi a difesa del territorio, non hanno assistito passivi ai progetti di privatizzazione e di consumo di suolo. Ci sono state già negli anni scorsi iniziative di sensibilizzazione, che chiedevano una restituzione alla città dell’area con il recupero delle palazzine per usi sociali e di favorire la completa rinaturalizzazione dell’area, con il completamento delle bonifiche, valorizzando la caratteristica di piccolo ambito di “wilderness ” urbana. I comitati e le associazioni di zona hanno presentato anche varianti al PGT e progetti dal basso, come ad esempio “Le Giardiniere”. Da giugno 2017 in poi si è alzato il livello di attenzione, ci sono stati i primi presidi e assemblee di quartiere che hanno portato il coordinamento di associazioni, comitati e collettivi, e sollecitato le prime mobilitazioni fino al presidio del 28 gennaio.

L’obiettivo è affermare che non si accetteranno cemento e privatizzazione, che per la Piazza d’Armi si vuole natura, agricoltura, imprese sociali e culturali, che non si lasceranno demolire le palazzine come vorrebbe chi, in nome del solito mantra della sicurezza, gioca sulle paure per interessi elettorali.

Al momento l’eventualità da temere è l’abbandono di area e strutture a un voluto degrado per agevolare poi i progetti di privatizzazione.

Come Offtopic, pensiamo che il territorio, i suoi abitanti, la città, sappiano e possano esprimere progettualità e saperi dal basso in grado di realizzare tutto questo e, per questo, insieme agli altri promotori dell’iniziativa, pretendiamo di essere ascoltati. Il 28 gennaio vogliamo trasformare quello che oggi è un limite invalicabile in un limite valicabile perché i cittadini capiscano che questi 40 ettari di territorio sono Bene Comune e si può realmente pensare a un futuro verde sociale e pubblico per Piazza d’Armi.

Luca Trada – OffTopic Lab
http://www.offtopiclab.org/



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