23 gennaio 2018

GORI, FONTANA, SALA, ROZZA E LE CASE ”IMPOPOLARI”

Tautologia: un problema grosso come una casa


Nel dibattito elettorale era inevitabile che dal cilindro uscisse come un coniglio la questione delle case popolari – pomposamente “edilizia residenziale pubblica” – e del relativo gestore: Aler. Di nuovo si guarda al dito e non alla luna: guardare solo al gestore e non al bene gestito. Tra Gori e Fontana si è giustamente inserito il sindaco Sala dichiarando una grande verità: il 10% dei milanesi vive in alloggi pubblici (era il 25% nel 1976, se non ricordo male), dunque la gestione di tutta l’edilizia residenziale pubblica milanese, oggi divisa tra Aler e Comune, – e, aggiungo io, fors’anche della Città metropolitana, – va ricondotta a un solo e unico ente gestore. Fin qui stiamo parlando di gestione: una parte, non la più importante del problema.

01editoriale03FBNei Paesi industrializzati l’edilizia popolare è normalmente considerata un servizio sociale al pari dell’assistenza sanitaria e fa parte dei diritti dei cittadini ma non è solo così: i Paesi industrializzati la considerano un’infrastruttura “abilitante”, ossia utile alla crescita e allo sviluppo del Paese al pari delle strade, delle ferrovie, dei porti e delle telecomunicazioni. Nei Paesi industrializzati c’è una connessione tra investimenti in edilizia pubblica nel settore casa e crescita economica.

L’edilizia popolare ha anche la funzione di calmierare la rendita fondiaria e quindi ridurre il trasferimento della ricchezza dai redditi di lavoro alla rendita finanziaria e contemporaneamente consentire a molte famiglie di destinare una parte minore del loro reddito al pagamento di pigioni e trasferirlo sui consumi.

L’edilizia popolare è un potente volano per la crescita.

Storicamente l’edilizia popolare è anche stata una formidabile creatrice di consenso politico, vedi il famoso Piano Fanfani e ancora oggi, ma limitatamente all’utilizzo del patrimonio esistente e decrescente, è riserva di caccia per voti e preferenze: dunque all’avvicinarsi delle elezioni se ne parla e si fanno promesse.

Ma il patrimonio si va esaurendo perché si è inseguita un’idea del tutto demenziale che è all’origine di sciagurate leggi: l’idea che il patrimonio di case popolari potesse auto mantenersi semplicemente con i rediti ricavati dagli affitti e magari anche consentendo un “ammortamento”, ossia l’accumulazione di risorse per la ricostituzione del patrimonio obsoleto.

Visti i canoni stabiliti per legge e la morosità, in parte incolpevole, pensare che questo meccanismo potesse funzionare voleva dire non conoscere nemmeno l’aritmetica, non dico elementi di finanza.

Allora, giacché questo non poteva accadere e non è accaduto, si è imposto per legge che gli enti proprietari vendessero parte del patrimonio per manutenerne la parte restante: siccome la manutenzione è un fatto continuo nel tempo e non un “una tantum”, l’esito inesorabile è che in tempi più o meno brevi si sarebbe venduto il penultimo appartamento per mantenere l’ultimo.

Quando feci in pubblico questa osservazione ero membro del Consiglio di amministrazione di Aler da circa un anno, designato nel 2011 dal sindaco Giuliano Pisapia: fui accusato di fare del terrorismo sociale. Non voglio qui parlare dei miei rapporti con Sindaco e Giunta nel periodo in cui fui consigliere di Aler, anche se la tentazione di togliermi qualche sassolino dalle scarpe l’avrei: ricordo solo che nel 2012 scrissi una relazione al sindaco sostenendo la necessità di una gestione unica e unitaria del patrimonio di case popolari, arrivando a ipotizzare la creazione di un’unica società alla quale Aler e Comune avrebbero apportato i loro beni immobiliari di edilizia residenziale. Mi fa piacere che Sala sia giunto a una conclusione identica, almeno in parte.

Veniamo alla distruzione del patrimonio.

Con una legge del 1977 (1) si cominciava a parlare di vendita del patrimonio pubblico di edilizia popolare e si introduce il concetto di prelazione a favore dei locatari a prezzi sensibilmente inferiori al mercato: cittadini oggetto di un privilegio (voto di scambio allargato).

Con altre due leggi, una del 1993 (2), l’altra del 2011 si dava il colpo finale imponendo agli enti proprietari di vendere le case popolari, sempre privilegiando gli inquilini esistenti, ma consentendo la vendita di singole unità immobiliari con la formazione di condomíni misti nei quali il venditore, Aler nella fattispecie, si sarebbe trovato condomino di minoranza.

Un duplice disastro: l’ingestibilità di situazioni condominiali e un ricavato dalle vendite largamente sotto alle attese e comunque del tutto insufficiente, anche se sommato al ricavo degli affitti falcidiato dalla morosità, a garantire un minimo di manutenzione e di messa in sicurezza degli impianti a cominciare da quelli di riscaldamento (amianto).

Non è certo il caso di fare una cronaca più dettagliata del disastro dell’edilizia popolare ma alcune cose sono certe:

  • l’edilizia popolare è una infrastruttura abilitante oltreché un servizio sociale;
  • vanno fatti investimenti con la stessa logica con la quale si investe comunemente in infrastrutture (strade, trasporti ecc.);
  • illudersi che sia un patrimonio che si autoregga è follia, in particolare mentre si va incontro a un periodo di impoverimento dei ceti più bassi, a meno di voler espellere dalla civiltà della casa fasce sempre maggiori di popolazione;
  • non fare affidamento al sempre invocato “rapporto pubblico privato” perché comunque vada il “privato” non è gratis per la collettività ed è la sanzione definitiva dell’incapacità del pubblico a gestire.

Per finire dunque non guardare solo al dito – la gestione – ma soprattutto alla luna: il patrimonio. Non pensare di cavarsela nemmeno mandando i vigili nei quartieri di edilizia popolare del Comune per garantire sicurezza – Carmela Rozza – ma pensare a una domanda insoddisfatta, che è altro e ben di più.

Gli slogan attuali dei candidati vanno in altra direzione.

Luca Beltrami Gadola

 

1) LEGGE 8 agosto 1977, n. 513 Testo unico e disposizioni generali sull’edilizia popolare ed economica. Provvedimenti urgenti per l’accelerazione dei programmi in corso, finanziamento di un programma straordinario e canone minimo dell’edilizia residenziale pubblica
2) LEGGE 24 dicembre 1993, n. 560 Norme in materia di alienazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica.



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