23 gennaio 2018

sipario – «DANZA O MUORI»: DALLA SIRIA, LA VITA


È tatuato in caratteri indiani sulla sua nuca, perché possa essere visibile e nascosto al tempo stesso. Della sua storia Ahmad Joudeh ha fatto bandiera. Ahmad è un ragazzo, ha solo ventisette anni, da quando ne ha dieci sogna di danzare, anzi lo fa, ma di nascosto. Di nascosto alla famiglia, di nascosto ai coetanei, di nascosto alle guardie. Anche alle guardie, perché Ahmad è un rifugiato palestinese nato nel campo profughi di Yarmouk a Damasco, capitale della Siria.

sipario03FBNon è davvero siriano, non è davvero palestinese, non fa quello che ci si aspetta dai rifugiati: di solito per i giovani la scelta è «combatti o muori», ma lui sceglie di danzare. Vive la sua passione con paura e coraggio: la sua determinazione lo porta a scontrarsi col padre che lo picchiava sulle gambe, magari con la speranza di romperle, perché non riuscisse più a danzare.

Ahmad è un ragazzo. L’italiano “ragazzo” viene dall’arabo raqqāṣ ‘corridore, messaggero’, perché a farlo sono i ‘ragazzi’; ma dalla stessa radice araba r-q-ṣ viene il verbo raqaṣa e i sostantivi raqṣ e rāqiṣ, rispettivamente ‘danzare, danza, danzatore’. Ahmad è un ragazzo, quindi è anche un danzatore. Quale altra poteva essere la scelta migliore?

Eppure, non è così facile per un profugo palestinese in Siria. Tra il movimento islamico palestinese di Hamas e l’intransigenza del presidente siriano al-Assad, accanto all’espansione sempre più violenta del fronte Isis, non è facile per un ragazzo essere un danzatore. Infatti, socialmente non è accettato, né accettabile. E allora? morire? No, Ahmad sceglie la vita e sceglie la sua vita: sceglie la danza.

Ted Brandsen, direttore dell’Het Nationale Ballet, lo accoglie a studiare all’accademia e lavorare con la sua compagnia ad Amsterdam. Dal 2015/16 riesce a ottenere un passaporto di apolide e rifugiato e vive in Olanda. Dopo undici anni si è riconciliato con il padre che vive in asilo in Germania con l’altro fratello.

Anche in Italia è arrivato Ahmad Joudeh, ospite al programma andato in onda in prima serata su Rai Uno Danza con me di e con Roberto Bolle lo scorso 1° gennaio. Hanno danzato un passo a due maschile che ricordasse il trascorso di Ahmad, vestiti con colori militari, come facessero una danza in un accampamento militare o in un campo profughi.

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E Ahmad continua a danzare e a sensibilizzare. Danza, infatti, dovunque sui tetti di Damasco squassati dalle bombe di al-Assad, danza al teatro romano di Palmira, saccheggiato dall’Isis, danza per la pace. La sua storia è a lieto fine. Danza in tutto il mondo, racconta la sua storia, che è un messaggio di speranza. I giovani profughi possono scegliere: non c’è solo l’arruolamento nell’Isis, con al-Assad, con gli indipendentisti oppure la morte. C’è anche la vita. Per Ahmad, la danza.

Domenico Giuseppe Muscianisi

 

questa rubrica è a cura di Domenico Giuseppe Muscianisi e di Chiara Di Paola
rubriche@arcipelagomilano.org



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