26 gennaio 2010

UNA RIVOLTA DALLA PERIFERIA DELL’IMPERO


Ho ricevuto la mail di una signora che mi ha chiesto se “Per una volta posso scrivere qualcosa che ci dia la speranza di un paese migliore. Sono sicura che qualcosa di buono c’è anche nella politica italiana”.

In un primo momento avevo pensato che questa era una missione disperata e stavo per suggerire alla signora di emigrare e scappare il più lontano possibile. Proprio come aveva suggerito Pier Luigi Celli al figlio con la ormai famosa “lettera aperta” pubblicata da Repubblica, ricordate?: “Questo Paese non è più un posto in cui sia possibile stare con orgoglio, in Italia per le nuove generazioni non c’è futuro. L’Italia è un paese per vecchi e mediocri. Questo è un Paese in cui, se ti va bene, comincerai guadagnando un decimo di un portaborse qualunque; un centesimo di una velina o di un tronista; forse poco più di un millesimo di un grande manager che ha all’attivo disavventure e fallimenti che non pagherà mai”. Quella lettera (purtroppo!) era assolutamente condivisibile. Era colma di amarezza e rassegnazione e la fotografia che ne veniva fuori era quella di un’Italia che non ha spazio per valori come la credibilità e il rispetto, l’onestà e il merito. In effetti l’unico merito a cui questo Paese lascia spazio è quello dell’affiliazione politica, familistica o di clan.

Però a pensarci bene una bella storia da raccontare ce l’ho. E’ la storia di una “rarità biologica”: un cittadino coraggioso.

Provo a sintetizzarla in dieci punti.

Primo. Si chiama Giorgio Fidenato. E’ un imprenditore nato a Mereto di Tomba (Udine) e residente ad Arba (Pordenone), un bel comune che più Friulano non si può. Belle case, come le facevano una volta, e un sito internet chiaro e trasparente. Ha 48 anni, ha la testa dura, è presidente della associazione Agricoltori Federati della Provincia di Pordenone ed è fondatore assieme all’editore di Treviglio Leonardo Facco, del Movimento Libertario. Da poco è anche diventato padre: ha adottato una bella bambina armena di 11 mesi.

Secondo. Tra i costi della sua azienda ci sono anche le fatture dell’esperto del lavoro. Infatti Fidenato deve lavorare “a gratis” per lo stato e operare come “sostituto d’imposta” dei suoi sei dipendenti, versando le loro tasse e i loro contributi sociali. Questo ormai è diventato un vero e proprio lavoro e quasi ogni mese ci sono nuove “racole” e adempimenti burocratici. In Italia in media i cittadini dedicano al fisco 360 ore all’anno (45 giorni) . In Svizzera le ore sono 63 (8 giorni). Fonte Doing Business 2008.

Terzo. In tutto il mondo i libertari sono pochi. Per forza sono pochi: non sono in ginocchio, non obbediscono, non baciano gli anelli dei padrini e non cercano di “fare carriera”. Li riconosci subito perché sono quelli che non mettono in galera i loro pensieri e dicono sempre quello che pensano. Leggono molto. L’ultima volta che ho sentito Fidenato al telefono mi ha ricordato che l’articolo 5 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea dice che “nessuno può essere costretto a compiere un lavoro forzato o obbligatorio”. Ma lo stato italiano, con la sua legge sui “sostituti d’imposta” obbliga gli imprenditori a lavorare per lui.

Quarto. Dal primo di gennaio ’09 Fidenato ha deciso di mettere nella busta paga dei dipendenti tutto il loro stipendio lordo, ricordandogli che devono versare le loro tasse e i contributi sociali. Fidenato non evade nemmeno un centesimo di Euro.

Quinto. In questo modo i suoi dipendenti sono più consapevoli perché a) sanno quanto è il loro vero costo per la ditta e b) “toccano con mano” il costo delle Pubbliche Amministrazioni e il peso e le complicazioni della burocrazia.

Sesto. I dipendenti hanno provato a versare le tasse e i contributi, ma non è stato per niente facile perché l’agenzia delle entrate da loro non vuole i soldi: li vuole incassare dal “sostituto d’imposta”. Hanno pagato tutto, fino all’ultimo centesimo, con libretti al portatore inviati all’Agenzia delle entrate, ma l’Agenzia li ha fatti convocare dai Carabinieri per restituirli.

Settimo. E adesso viene il bello della storia. Dopo alcuni avvisi “bonari” l’INPS ha iscritto a ruolo i contributi e il 23 Luglio 09 ha mandato la cartella esattoriale a Fidenato, che così ha potuto portare la questione in tribunale. Il suo ricorso è di 23 pagine, è serio, non è ideologico, e cerca di dimostrare che la figura del “sostituto d’imposta ” è incostituzionale.

Ottavo. La comparsa di risposta dell’INPS è stata una vera sorpresa. Poteva cercare di dimostrare che Fidenato aveva torto, oppure poteva dichiarare che in teoria aveva ragione ma la Repubblica italiana e l’INPS hanno problemi di bilancio. Invece le cinque pagine del documento INPS mi sono sembrate sul piano della “lesa maestà”. La ricostruzione legislativa di Fidenato è definita “una via di mezzo tra l’innovativa e la bizzarra”. Sono citati Woody Allen e il film “il dittatore dello stato libero di Bananas”, gli attentati alle Twin Towers, la bolla immobiliare e i mutui subprime. Riconosce il “marasma normativo che è ormai diventato il nostro ordinamento giuridico nel suo complesso” ma poi suggerisce di “istruire al proprio interno un impiegato capace di redigere buste paga e quant’altro serve per i rapporti con l’Agenzia delle Entrate e gli Enti previdenziali”. Già, ma chi lo paga? Ma questi signori hanno una vaga idea dei problemi dei piccoli imprenditori italiani?

Nono. Il 19 Novembre il tribunale del lavoro di Pordenone ha sospeso l’esecutività delle cartelle esattoriali dell’INPS ed ha rinviato la discussione al 28 gennaio. Io farò tutto il possibile per essere a Pordenone quel giorno, con la speranza di un rinvio alla Carte Costituzionale.

Decimo: per finire, penso che non sarebbe male se nel frattempo il Governo approvasse un decreto “Svizzero”, cioè semplice e pragmatico. Si riconosce che lo stato non può imporre ai cittadini di lavorare per lui, ma non può nemmeno proibire liberi accordi fra le parti e di conseguenza raccomanda alle aziende e ai dipendenti di concordare fra di loro il da farsi: a quelli che lo vogliono sarà dato lo stipendio lordo e poi sarà compito loro versare tasse e contributi. Per quelli che non vogliono fastidi le aziende potrebbero continuare a fare il lavoro di sostituto d’imposta. Ci sono problemi di bilancio? Basta fare entrare a regime il decreto in 10 anni, al ritmo di due Regioni all’anno.

 

Giancarlo Pagliarini

 

 


 



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