26 gennaio 2010

Scrivono Vari 25012010


Scrive Doretta Cecchi

Sono stata all’Abbazia per la festa di Sant’Antonio (benedizione degli animali e falò).

Con grande sconcerto mi sono resa conto che i due grossi maiali lasciati liberi nel recinto per la gioia di grandi e piccini portavano come nome lettere dell’alfabeto ebraico.

Cosa confermata dal monaco addetto all’interno del recinto alla domanda di un papà colpito dall’esotismo dei nomi (Bath e Ghimel).

Anzi, con aria faceta il monaco  ha detto che nei giorni a venire sarebbe venuto uno “specialista” (buon per i maiali!) che con un colpo solo avrebbe trasformato i due simpatici bestioni in carne per salumi (cosa già successa la settimana prima alla povera Aleph).

Ora, gli ebrei osservanti non mangiano carne di maiale.

Il nostro alfabeto può dare nome almeno a una ventina di suini, e perché non chiamarli Tony, Antonietta, Tonino ecc. visto che le nostre chiese sono colme di immagini di Sant’Antonio col maialino?

Tutta la cosa mi ha fatto una terribile impressione.

Difficile pensare a una iniziativa personale visto che nulla è fatto a caso in un monastero cistercense!

Perché prendersela allora con Calderoli se pascola un porcellino sul terreno dove dovrebbe sorgere una moschea?

E pensare che siamo vicini al giorno della memoria.

Grazie dell’attenzione e complimenti per il vostro giornale che non conoscevo e che mi ha segnalato un amico.

Scrive Gregorio Praderio

Sul numero 1/II di Arcipelago Milano sono stati fatti alcuni accenni alla questione PGT, che credo valga la pena di approfondire.

Sicuramente è un fatto positivo che venga redatto un nuovo piano per Milano, visto il tempo passato dall’ultimo (più di trent’anni), così come è positivo che finalmente anche a Milano si faccia riferimento alla perequazione (è più di dieci anni che se ne parla). Molti elaborati del Piano sono interessanti, e la parte analitica è estesa.

Non ci si può nascondere però che molte parti del piano sollevano diverse perplessità di natura tecnica.

Le stime di traffico ad esempio sono state fatte con riferimento a una nuova volumetria di circa 15 milioni di metri quadri di slp, mentre nel piano è prevista una volumetria di oltre 20 milioni di mq di slp. Non saranno i numeri quelli che contano, ma qui c’è un divario del 25% su un tema, quello della mobilità, abbastanza delicato e di non facile soluzione (andando nel dettaglio, si scopre poi che per enfatizzare il trasferimento modale al mezzo pubblico si è ipotizzata la tariffazione indifferenziata di ogni spostamento in auto, un provvedimento non proprio in agenda politica viste le difficoltà anche del più semplice Ecopass).

Si scopre poi che per le infrastrutture ipotizzate mancano quasi 10 miliardi di Euro (su un totale di 14) e non c’è un’indicazione chiara su come verranno reperiti. E’ un peccato, perché proprio sulle necessità di una stringente valutazione economica la legge 12/05 (la nuova legge urbanistica regionale) aveva puntato molto, proprio per superare le velleità di molti piani precedenti. Anche sulla domanda di mercato delle volumetrie ipotizzate non c’è nessuna approfondita valutazione.

Sul tema dei servizi, è stata approntata poco più di una metodologia, ma se se ne vanno a vedere gli esiti nelle cosiddette schede NIL (nuclei di identità locale), anche solo fermandosi alla prima di queste si scopre che le “centralità” del centro sono Piazza Affari e Piazza Diaz (? e non magari Piazza Duomo o via Torino, o Corso Vittorio Emanuele?); si scopre poi che l’”ascolto della città” è stato fatto con riferimento a venti segnalazioni (20) su un totale di presenze giornaliere in zona di circa 140.000 persone (una percentuale con molti zeri dopo la virgola).

Per i nuclei storici periferici, si scopre che mancano Bruzzano, Dergano, Trenno, Figino, Quinto Romano, che vengono catalogati indifferentemente come “ambiti di ridefinizione del paesaggio urbano” e come tali vengono assimilati a posti come la via Gallarate o simili, dove si può tranquillamente demolire e ricostruire (anche se invece spesso ospitano edifici interessanti e comunque costituiscono un luogo di identità e di riferimento delle periferie, cosa che tra l’altro ci viene invidiata dalle altre nazioni, dove spesso nelle periferie non c’è nulla di storico).

Anche su altri temi, come il ruolo della città nel Nord Italia (o, meglio ancora, nel Sud Europa) il piano è abbastanza silenzioso; altre indicazioni, come quelle di ridurre il numero dei parcheggi nelle aree di trasformazione, appaiono abbastanza in contraddizione con le politiche del Piano Urbano Parcheggi (aumentare ovunque il numero dei parcheggi disponibili).

Insomma, si potrebbe continuare a lungo. Ma più che altro non si capisce perché il Piano, dopo essere stato per anni negli uffici, sia stato portato in Consiglio con questa fretta indiavolata (certo, ci sono le scadenze regionali, ma ci si poteva pensare prima). Un po’ più di confronto meditato e di dibattito pubblico avrebbero probabilmente giovato.

Scrive Giorgio Ragazzi

Contro il nuovo assetto della Stazione Centrale di Milano si è levato un coro di critiche, su quotidiani ed anche su Arcipelago (articolo di Giovanna Franco Repellino). A monte c’è una questione di fondo: quale obiettivo persegue la ristrutturazione? Si vuole che la stazione sia funzionale ad agevolare chi viaggia oppure che divenga “un luogo attrattivo dove andare e poter stare insieme anche senza dover prendere il treno”, per citare la Repellino?

La stazione era stata concepita per il primo obiettivo: la vecchia galleria delle carrozze consentiva un facile accesso sia ai taxi che alle auto, ci si trovava immediatamente davanti la biglietteria e poi le scale mobili portavano ai treni. Oggi tutto è stato cambiato, per il peggio. La vecchia galleria, pedonalizzata (perché?) è deserta e semibuia; i taxi sono stati relegati su due accessi laterali, angusti e scomodi; raggiungere la stazione, o almeno le sue vicinanze, in auto è molto difficile e non vi sono aree nemmeno per brevi soste; davanti alla stazione c’è un vastissimo piazzale (pedonale) sempre vuoto; la biglietteria è insufficiente e relegata in fondo, quali fosse un’accessorio secondario; per raggiungere i treni, invece delle semplici e funzionali scale mobili, c’è ora un lungo percorso di tappeti mobili; non esistono sale d’aspetto e nemmeno panchine su cui sedere in attesa del treno.

Per contro, la stazione è stata riempita di cartelli pubblicitari e di negozi: se ne prevedono oltre 100 a ristrutturazione completata! Il punto è che la Ferrovie hanno affidato la ristrutturazione ad una società (Grandi Stazioni) a capitale misto (Ferrovie e privati, tra cui il gruppo Benetton) i cui profitti derivano soprattutto dalle royalties pagate dai negozi istallati nella stazione (e dai proventi pubblicitari). Per questo mirano a rendere la stazione “un luogo attrattivo dove andare…anche senza dover prendere il treno”. A loro interessa poco o nulla che la stazione sia funzionale a chi viaggia. Se non vi sono sale d’aspetto o panchine, meglio, la gente vagherà tra i negozi e magari farà anche compere.

Dubito che la gente andrà in stazione per fare shopping, dubito che i negozi in stazione faranno grandi affari, vedremo, intanto il viaggio in treno è fortemente penalizzato.

Mentre le ferrovie investono enormi somme, migliaia di miliardi, per accorciare di pochi minuti i tempi di percorrenza dei treni con l’alta velocità, poca o nessuna cura viene dedicata a razionalizzare stazioni ed accessi. Eppure, per il viaggiatore ciò che conta è il tragitto da casa a casa, non da stazione a stazione. Ma evidentemente la dirigenza è molto più interessata ai mega appalti che alla funzionalità complessiva del sistema per il viaggiatore.Scrivono Vari 25



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