19 dicembre 2017

MILAN0 2017: TROPPA CIPRIA

Un bilancio d’attesa. Il 2018 si apre con molte speranze


Natale alle porte e poco manca a Capodanno. Prima di voltarci indietro e guardare al passato, due ultime notizie arrivate: una buona e una cattiva. Quella buona arriva dal Consiglio comunale: il suo presidente Lamberto Bertolè ha annunciato il varo di “Milano 2046”, un laboratorio del Comune sul futuro e la qualità della vita dei cittadini. Un panel di personaggi di tutto rispetto che in diciotto mesi dovrà elaborare uno scenario destinato a orientare le politiche dell’amministrazione in una prospettiva temporale di un trentennio, così come altre città europee hanno fatto e stanno facendo.

01editoriale42FB-03Durante la presentazione si è parlato ovviamente del BES, l’indice di Benessere equo e sostenibile, l’indice che dal 2013 l’Istat pubblica e che finalmente guarda alle persone più che ai numeri, coma invece fa il PIL (Prodotto interno Lordo), lo spauracchio dei nostri ministri dell’economia per i quali è tutto.

Mi piacerebbe qualcosa di più.

Anni fa su questo giornale avevo calcolato il PIL delle donne in Lombardia dando valore economico-contabile al tempo che le donne dedicano alla famiglia – figli, marito, genitori. Con questa aggiunta, il PIL della Lombardia schizzava in alto di un punto e mezzo. Oggi mi piacerebbe anche che si desse statisticamente valore economico-contabile ai lavori sottopagati, sia quelli manuali, sia quelli intellettuali, al volontariato, a tutto quel lavoro che non viene “fatturato”, ma che c’è. Anche questo “prodotto” nascosto costituisce ricchezza prodotta dal Paese. Ovviamente non il “lavoro in nero” che l’Istat quantifica per altre ragioni.

Ma veniamo alla brutta notizia: i nuovi guai giudiziari del sindaco Sala. Ovviamente una brutta notizia per lui ma anche per la città.

Per costume non amo quelli che strillano “dimissioni! dimissioni!”: la grande coorte di sepolcri imbiancati e di appassionati della pagliuzza. La “questione” Sala è in realtà un complesso intrico di questioni irrisolte del nostro Paese, e di decisioni avventate all’insegna degli interessi elettorali, come fu quella di candidare Beppe Sala a sindaco di Milano per cogliere l’onda del suo successo personale con Expo 2015.

Era, e lo sapevano tutti, un candidato a rischio per due ragioni: la vicenda Expo, a cominciare dall’acquisto delle aree e dalla parallela vicenda di Cascina Merlata, puzzava fin da subito; la ristrettezza dei tempi di realizzazione dell’evento, dopo le pagliacciate dei vari personaggi che si erano succeduti alla guida di Expo prima di lui, avrebbero reso il cammino di Sala una sorta di pericolosissimo slalom tra norme del Codice degli appalti, regolamenti anticorruzione e follie burocratiche. Comunque per merito suo Expo 2015 aprì nel giorno previsto.

A mio modo di vedere una colpa imputerei a Sala: la scelta (subita?) delle persone che l’hanno circondato e con le quali ha collaborato durante la sua attività in Expo. Su certe persone circolavano da tempo voci poco rassicuranti e alcune di queste le aveva già conosciute durante il suo breve periodo come direttore generale del Comune di Milano – dal 2009 al giugno 2010. Tanto per cominciare Antonio Rognoni, il deus ex machina di Infrastrutture Lombarde, oggi inquisito anche per essersi fatto ristrutturare la casa in cambio di appalti. Attorno a Infrastrutture Lombarde i sussurri erano noti. Un manager si valuta pure dai collaboratori dei quali si circonda.

Ma se vogliamo dire alla latina “necesse est enim ut veniant scandala” [è opportuno che avvengano scandali], mi auguro che Beppe Sala, che sta pagando di persona, si schieri per una volta con noi nel reclamare la revisione del Codice degli appalti, dei regolamenti anticorruzione e fermi il diluvio di circolari di Raffaele Cantone che complicano solo e lasciano il tempo che trovano. Andare avanti così è follia: è la paralisi dei lavori pubblici, tra l’altro.

Ma ora voltiamoci indietro senza correre il pericolo di venir trasformati in statue di sale come capitò alla moglie di Lot: alle nostre spalle non lasciamo Sodoma e Gomorra e certo a Milano ci sono più di dieci giusti a salvare la città. Tuttavia.

Certo è che alcune vicende lasciano disorientati, cinque in particolare: la vicenda “scali ferroviari”, la vicenda aree post Expo, la vicenda Città Studi (legata a Expo), la questione riaperture Navigli e la vicenda M4.

Su di ognuna di queste vicende ArcipelagoMilano ha preso posizione e ha dato anche voce agli “inascoltati”, sempre stigmatizzando le inutili pantomime della serie “partecipazione”. Continueremo a farlo. In alcuni casi si può parlare di incaponimento sulle decisioni prese, magari ricordando le promesse elettorali. Promesse tutte mantenute?

Quello che però va detto è che in tutte le principali vicende si è sentito in sottofondo uno scalpiccio di personaggi nei mondi della finanza, dell’immobiliare, della pubblica amministrazione, tutti intenti a coprire errori colpevoli del passato, a salvarsi dai guai giudiziari per mancata sorveglianza, a mettere le mani sui beni comuni.

Scoprire intrecci poco virtuosi tra consigli di amministrazione e brasseur d’affaires, tra boiardi di Stato, poteri economici e politici non è la nostra missione: ci sono testate giornalistiche che lo sanno fare meglio di noi e cediamo volentieri il passo. Conoscere tuttavia a noi serve per capire quello che altrimenti non capiremmo e per farcene un triste perché.

Tutto buio dunque il passato? Certamente no.

Nell’accoglienza dei migranti il Comune non si è certo tirato indietro, la qualità del verde in città è migliorata, l’assistenza ai più deboli non è mancata, il sostegno all’innovazione non lascia a desiderare, i trasporti pubblici, non esito a dirlo, sono i migliori tra le grandi città italiane, la pulizia delle strade ha fatto un salto di qualità.

Dimentico certo qualcosa tra le cose buone che si sono viste nel 2017. Ma queste cose buone, delle quali Giunta e Sindaco si sono forse un po’ troppo vantati, sono un po’ come la cipria, che nasconde le rughe ma ha il difetto di dissolversi prima di sera.

Dunque che bilancio fare? Un bilancio d’attesa. Il 2018 si apre con molte speranze.

Luca Beltrami Gadola



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