24 ottobre 2017

musica – INTORNO A CHOPIN


Dopo il concerto “rivoluzionario” di cui abbiamo scritto la settimana scorsa, un altro evento ha portato in città una folata di aria internazionale di grande livello, quello che martedì scorso ha inaugurato la stagione della Società del Quartetto. Una stagione che – scrive il suo direttore artistico Paolo Arcà – “pone più che mai al centro la figura dell’interprete, tramite unico e indispensabile per far vivere la musica”. E l’interprete era, attesissimo, il giovane e già celeberrimo pianista Daniil Triponov con un programma interamente dedicato a Chopin. Un programma così ben congegnato (pareva alludere alle simmetrie di certe opere bachiane) che vale la pena di soffermarcisi.

musica35FBIl primo tempo non prevedeva alcuna opera di Chopin, solo musiche a lui o da lui ispirate: si è aperto con le 12 Variazioni (1957) del catalano Mompou sul Preludio n. 7 dell’opera 28 e si è chiuso con le 22 Variazioni (1903) del russo Rachmaninoff sul Preludio n. 20 della stessa opera 28. Due magnifiche composizioni di 25/30 minuti l’una, su altrettanti temi arcinoti di Chopin, che hanno accarezzato e coccolato le orecchie dello strabordante pubblico della sala Verdi del Conservatorio.

Incastonati al centro quattro brevissimi pezzi – rispettivamente di Schumann (1’), Grieg (2’), Barber (4’) e Čajkovskij (3’) – veri e propri “omaggi” a Chopin con garbate e più o meno velate allusioni a suoi temi piuttosto che alla sua scrittura, eseguiti uno di seguito all’altro come a costituire il movimento centrale di una sonata tripartita. Molto interessante e centrale, ancorché poco noto, il Notturno dell’americano Samuel Barber, genericamente ispirato a Chopin ma in realtà dedicato al compositore irlandese John Field che alla fine del settecento fu l’inventore del genere “Notturno” (ne ha lasciati scritti una ventina).

Nel secondo tempo è entrato in scena personalmente Chopin con due suoi lavori assai famosi: le Variazioni sul tema “Là ci darem la mano” dal Don Giovanni di Mozart, op. 2 in si bemolle maggiore, e la Sonata n. 2, op. 35 in si bemolle minore (si noti la scelta della stessa tonalità nelle due diverse modalità). La prima fu composta nel 1827 (aveva 17 anni ed era appena al secondo anno della Scuola Superiore di Musica di Varsavia) ed è l’opera che fece scrivere a Schumann “Hut ab, ihr Herren, ein Genie!” (Giù il cappello, signori, un genio!); queste Variazioni sono state scritte per pianoforte e orchestra e purtroppo nella trascrizione per il solo pianoforte perdono un po’ del loro fascino.

Tuttavia conservano abbastanza integra la solida ed innovativa struttura musicale. L’altra è una fra le opere più mature di Chopin (fu composta tra il 1837 e il 1839), ma è anche fra le più misteriose e difficili da decifrare (alcuni ricorderanno le opposte letture del terzo movimento – la celeberrima Marcia Funebre – che ne davano Alfred Cortot e Arthur Rubinstein); e Triponov ha dato prova di grande maturità e di profonda consapevolezza nell’affrontarla con tutta l’umiltà e l’intimità ch’essa richiede.

Non basta, perché il concerto si è concluso con due bis, ovviamente anch’essi di Chopin: il “Largo” dalla Sonata per violoncello e pianoforte op. 65 (ultima opera pubblicata da Chopin stesso e da lui eseguita nell’ultimo concerto parigino) nella felice trascrizione per pianoforte solo, e la notissima Fantasia (o Improvviso, vi sono diversi manoscritti che in proposito si contraddicono l’un l’altro) in do diesis minore op. 66 pubblicata dopo la morte dell’autore.

Insomma, Triponov ha voluto celebrare Chopin a tutto tondo e lo ha fatto nel migliori dei modi. Nato solo ventisei anni fa nella città di Nizhny Novgorod (in questa città della Russia centrale, sul Volga, sono nati anche Maksim Gor’kij e Vladimir Aškenazi) ma da tempo diventato cittadino newyorkese, questo pianista ha un “tocco” – come si diceva una volta – fuori dal comune.

Ricorda un po’ il magico ed ineguagliabile Arturo Benedetti Michelangeli. Mai sopra le righe, i “piano” e i “pianissimo” di grande delicatezza, l’uso controllatissimo dei rubati, una concentrazione così potente da apparire per nulla disturbato dai colpi di tosse che inesorabilmente colpivano i momenti di maggiore intensità emotiva. Da una parte poteva sembrare Chopin in prima persona, tanto era immedesimato in lui, dall’altra sembrava volesse evocare e riassumere la lezione dei grandi interpreti che hanno fatto la storia della sua musica.

Il sabato successivo vi sono state due altre importanti inaugurazioni: il 26° Festival di Milano Musica, dedicato quest’anno a Salvatore Sciarrino, e la 5ª stagione dei concerti di Musica al Tempio della Chiesa Valdese di Milano.

Del concerto inaugurale di Milano Musica non si possono ignorare alcuni aspetti sorprendenti: il luogo prescelto (il vasto spazio che accoglie il capolavoro di Anselm Kiefer “I Sette Palazzi Celesti” alla Bicocca), l’orario (le tre del pomeriggio) e la considerevole quantità di persone presenti e soprattutto plaudenti. Non dirò nulla della musica di Sciarrino, non essendone un appassionato cultore, ma voglio sottolineare come, in un ambiente così suggestivo quei 100 flauti + 100 sassofoni + 4 flauti e 4 sax solisti + un bravo controtenore che emetteva indecifrabili suoni (miagolii, squittii, balbettii, gorgoglii, tremolii, borbottii … ma forse il titolo dell’opera Studi per l’intonazione del mare può aiutare a capire) sono riusciti comunque ad acchiappare l’attenzione del pubblico. Quanto meno in termini di emozionalità è stato un evento sicuramente positivo.

Al Tempio Valdese, la sera, il Coro Bach di Milano diretto da Sandro Rodeghiero + Stefano Borsatto al grande organo della chiesa + la soprano Camilla Pomilio + il baritono Daniele Caputo, hanno eseguito in modo esemplare il Requiem op. 48 e Le cantique de Jean Racine op. 11 di Gabriel Fauré. Programma succulento, da leccarsi i baffi. Ma il Requiem che noi conosciamo, quello originale di Fauré, è scritto “per soli, coro, orchestra ed organo” e l’altra sera, ahinoi!, l’orchestra non c’era.

Per giunta il coro era giustamente sistemato sull’altare mentre l’organista si trovava a quaranta metri di distanza (e ovviamente si dava le spalle con il direttore), talché è stato ben difficile tenerli insieme. Peccato, perché come si sa quel Requiem è un’opera meravigliosa e gli ottimi concerti di Musica al Tempio attirano nella chiesa di via Francesco Sforza un pubblico molto attento e interessato.

Infine, una bella scoperta. Il giorno successivo, in un concerto del ciclo “Dimore Storiche del Quartetto” che si è svolto nel magnifico Palazzo Jacini di Casalbuttano, il Quartetto Dàidalos composto da quattro giovanissimi musicisti novaresi (Anna e Lucia Molinari, Stefano Raccagni e Lorenzo Lombardo, la loro età media si aggira intorno ai 20 anni!), si è cimentato con grande successo in due famosissime opere: La morte e la fanciulla di Schubert ed il Quartetto in mi minore di Verdi. Esecuzione molto curata, affiatamento perfetto, una grande passione sono state la cifra del concerto che ha tenuto tutti con il fiato sospeso. La si smetta dunque di dire che l’attuale generazione dei ventenni sa solo ‘cazzeggiare’ o che non sa come fronteggiare la tragedia della disoccupazione. Ci sono ragazzi meravigliosi che ce la mettono tutta e che ci riescono. Si può.

Paolo Viola

questa rubrica è a cura di Paolo Viola
rubriche@arcipelagomilano.org



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