18 gennaio 2010

PGT: COMMEDIA IN TRE ATTI


Correva l’anno 2005 quando il Consiglio regionale della Lombardia varava la nuova legge urbanistica n. 12 in sostituzione della precedente n. 51 del 1975, cosiddetta legge Morpurgo, dal nome del consigliere regionale dell’allora pci che pur dall’opposizione ne era stato il relatore. Dopo trent’anni nessuno ha messo in discussione la necessità di una revisione della stessa. Infatti i Piani Regolatori Generali dei comuni risultano rivoltati da innumerevoli varianti normative introdotte nel corso di questi anni, chiamate di deregulation, che hanno anteposto la realizzazione dei progetti rispetto alle previsioni dei piani.

Ambiti omogenei, destinazioni funzionali, indici volumetrici, aree a servizi, nulla è più utilmente programmabile e prefigurabile a fronte di singoli interventi che si sovrappongono a qualsiasi disegno di pianificazione e che contengono in sé, si dice, ogni risposta. Anzi pianificazione e standard sono vocaboli che sono spariti dal lessico urbano. Tutto ciò si giustifica invero per le troppe mancate attuazioni di obblighi preordinati a rimanere sulla carta: indicazioni di aree produttive mentre le attività dismettono, difesa dell’esistente laddove è necessario ricostruirlo, destinazioni d’uso rigidamente compatibili e percentualizzate in un sistema economico dinamico, vincoli per l’esproprio delle aree a servizi senza le risorse necessarie, limitazioni volumetriche in luogo di un maggior uso dello spazio edificabile con minor consumo di suolo. Si è quindi arrivati a mutare la concezione intesa a regolare chirurgicamente ogni area e ogni isolato formulando viceversa con lo strumento del governo del territorio le ipotesi d’intervento in un più vasto scenario aperto. Tutto bene? Si e no. Per i comuni con popolazione inferiore ai 2.000 abitanti e per quelli con popolazione compresa fra i 2.001 e 15.000 abitanti, la sbandierata semplificazione della normativa è imbarazzante.

L’articolazione in tre atti del PGT manifesta una scenografia ridondante ma poco efficace. La legge n. 12/05, modificata spesso, si conferma come un contenitore di procedure senza offrire strategie e modelli d’innovazione della programmazione territoriale. I PGT rischiano di funzionare solo in termini di quantità e crescita edilizia sottovalutando i temi strategici che incombono sul nostro futuro: la sostenibilità ambientale, i limiti che la natura pone allo sviluppo, l’ecosistema, il clima, il riscaldamento, i rifiuti, le fonti energetiche, l’acqua, il suolo, l’aria. Non si percepisce che rimandare il confronto con queste problematiche può costituire la causa, come già avviene in alcune parti del mondo, di conflitti e penurie mettendo in pericolo la convivenza civile.

Le nuove leggi per il governo del territorio e di conseguenza i PGT, così come sono concepiti non traguardano il presente; il loro scopo è aprire un mare aperto agli interventi edilizi con semplici scorciatoie. Il governo del territorio è ben più complesso di un piano che disegna ambiti specifici e quindi ci si aspetta che esso prefiguri come tutelare e migliorare l’insieme degli interessi della collettività: è sotto quest’aspetto prioritario che oggi si sta perdendo un’occasione. Il PGT di Milano conferma questa ipotesi. Ma tutto procederà senza intoppi vista la scarsa attenzione che la predisposizione del nuovo strumento urbanistico per Milano suscita nell’opinione pubblica e persino negli addetti ai lavori che preferiscono attendere e delegare ad altri le scelte e le critiche. Lo strumento milanese ha la caratteristica di uno studio dedicato alla metodologia della ricerca per la stesura dei PGT: prefigura una tecnica, insegue obiettivi preordinati e li giustifica di conseguenza. L’esempio paradigmatico è l’art. 35 delle norme di attuazione del piano delle regole secondo cui nelle note aree del parco sud si applica ex ante la perequazione prevedendo la slp complessiva già concordata in altra sede, funzioni comprese.

E’ così che si evitano i commissari straordinari. Si potrebbe proseguire con la previsione di 1.600.000 mq di slp sulle aree del Trotto. Sviluppo appunto. Per rimanere sulle questioni generali mi limito ad alcune brevi considerazioni sul PGT: primo atto, il documento di piano: è la messinscena, un complesso di obiettivi usati per descrivere una realtà virtuale, la presentazione di una vetrina alle cui spalle emerge una tendenza conservatrice fatta di progetti in termini di quantità e con una regia disposta a soluzioni di compromesso mentre il contesto metropolitano fa solo da sfondo; secondo atto, il piano dei servizi: si esplica mediante la sperimentazione teorica, proiezioni di modelli, fabbisogni statistici, misurazione qualitativa, ma rispetto alla modernità liquida il cittadino chiede piuttosto un servizio che risponda in breve alle sue esigenze; terzo atto, il piano delle regole: in pratica disciplina e liberalizza l’attività edilizia sull’esistente senza esclusioni. Ancora pochi spunti per trattare di problemi che meriterebbero ben più approfondite riflessioni.

La crescita della popolazione: dal famoso picco di 1.745.220 unità residenti del settembre 1973 agli odierni 1.296.103 unità pari a 449.117 residenti in meno, che sono e rimangono attorno a questa cifra da ormai quasi vent’anni: da un lato c’è una città che invecchia e non promuove il ricambio generazionale, dall’altro immaginare una crescita della popolazione che recuperi gli abitanti persi appare improbabile, come di fatto avviene, anche perché l’offerta abitativa si rivolge a ristrette categorie socioeconomiche e per ripopolare occorrerebbe realizzare più ers, come fu in passato, ma non ci sono risorse.

La vocazione della città: è esplicitata dal dato che emerge dal centinaio di PII approvati in questi anni in cui la funzione produttiva raggiunge in complesso appena il 5% ivi comprese le attività ricettive alberghiere, il che significa fare i conti con un mercato che o chiude o si delocalizza e pertanto si dovrebbe pensare come porre al centro la questione del lavoro e dell’indirizzo professionale dei giovani.

I servizi: incombe anche per il futuro il solito problema delle tante promesse contenute nelle convenzioni che non vengono mantenute e nemmeno sanzionate ma anche il timore che la cifra di 18 mq/ab non sia un minimo ma la regola per di più senza distinguere tra aree a verde e aree a servizi. L’Arcimboldi, la BEIC, il Centro Congressi, La città della moda, stanno tutti nei 18 mq/ab. Ciao vecchi 44 mq/ab. E ancora: perché sull’area del Tiro a Segno Nazionale di Piazzale Accursio destinata a Servizi Comunali è stata localizzata la sede del nuovo Consolato americano, interrompendo il Raggio Verde che da Monte Stella scende verso il centro? Proprio non c’era un’area alternativa già compromessa? Perché la nuova sede della Regione sull’area dei Giardini di Gioia, con il Galfa a lato vuoto da un decennio? Altro che diminuzione del consumo di suolo. E al fin della licenza, un appello. Spiace che sull’argomento PGT appaiano affievolite le voci della società milanese e manchino le critiche ovviamente sia positive che negative in un confronto civile. C’è ancora tempo per le proposte e questo è il momento propizio dei tanti saperi diffusi di manifestarsi e suscitare l’interesse dei cittadini per il futuro del territorio milanese.

 

Emilio Vimercati

 


 



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