26 settembre 2017

“LE DUE CITTÀ” DI MILANO

Associazionismo e periferie, nuove povertà


Ricordano proprio Le due città di Dickens: la Milano elegante e scintillante della Settimana della Moda, del Salone del Mobile, di Brera e dei Navigli e la Milano dove 13 mila bambini si trovano a vivere in condizioni igieniche poco dignitose, non vanno a scuola e non sono seguiti dai servizi sociali che spesso faticano a star dietro ai problemi di chi ha bisogno.

07livigni31FBLe due città vivono su strade parallele, rischiando davvero di non incontrarsi mai e creando uno scollamento tra mondi diversi che genera marginalizzazione, degrado, violenza, soprattutto nei tempi che stiamo vivendo, con la crisi economica e culturale attuale e con le migrazioni di massa che stanno interessando, in modo particolare, il nostro Paese e la nostra città.

Pensiamo a un esempio eclatante, recentemente noto alle cronache per la visita del Papa di marzo scorso: Case Bianche, complesso di edilizia popolare degli anni Settanta alla periferia est tra piazza Ovidio e via Salomone, in cui convivono problematiche sociali di vario genere, dalla delinquenza, alla povertà, all’immigrazione.

Zona alquanto degradata dove però si reagisce, unendo le forze dell’associazionismo laico e religioso e offrendo spunti per un’integrazione multietnica estremamente importante per la nostra città. Una parrocchia attivissima, San Galdino che ospita un Centro Caritas molto impegnato e una piccola comunità di suore che vive in appartamenti popolari insieme alla gente comune, condividendone vita, necessità e lavorando, durante il giorno, come infermiere, custodi, semplici operaie.

Non solo. Vi sono associazioni spontanee laiche e religiose che aiutano le famiglie in difficoltà nella distribuzione di viveri di prima necessità e medicinali, nell’aiuto e cura dei minori, nella gestione di persone anziane e malate che non possono essere supportate dalle famiglie. Insomma, molti esempi singoli virtuosi, pur in un contesto di estrema difficoltà, materiale e culturale.

Milano si è sempre contraddistinta per forte sensibilità sociale e, in questi anni di crisi economica, tantissime sono le associazioni laiche e religiose che si dedicano all’aiuto dei più bisognosi, siano giovani emarginati o con problematiche di tossicodipendenza, anziani soli o migranti neogiunti con problematiche di casa e di lavoro. I dati, tuttavia, rimangono allarmanti, anche per quanto riguarda il 2016.

La Caritas Ambrosiana, che conta circa 1.500 operatori e 7 mila volontari, rileva che 13 mila bambini sono sotto la soglia di povertà. Le parrocchie della diocesi di Milano contano 320 centri di ascolto cui si rivolgono circa 60 mila persone. Per molte di loro, il «pacco alimentare» è un aiuto prezioso. Il vero problema è che tali persone, in bilico sulla soglia della povertà, gli «equilibristi», come li chiama l’annuale rapporto della Caritas, sono in aumento: dal 2008, infatti, anno ufficiale di inizio della crisi, gli italiani che si sono rivolti ai centri sono aumentati del 47,6%, con una crescita annua media del 5,7%. Tra gli assistiti, gli italiani sono una minoranza, il 37%, ma, nello stesso periodo, il loro numero è cresciuto del 21,6%.

La Caritas, anche con il progetto virtuoso del Refettorio Ambrosiano, recupera le eccedenze alimentari, il cibo inutilizzato che, diversamente, finirebbe al macero. Ma Milano, come accennato, vanta anche il primato numerico del numero di associazioni operanti in tutti i settori della vita sociale, dall’aiuto a chi ha necessità, alla cultura, allo sport, al tempo libero. Sono oltre duemila e tale dato deve essere letto per difetto, in quanto molte realtà associative non hanno formali registrazioni e non sono iscritte in pubblici registri.

Le associazioni sono il vero cuore pulsante della Milano delle periferie, esercitando un doppio ruolo, aiuto ai bisognosi, perseguendo lo scopo associativo, e anche centro di aggregazione di persone, di ogni censo ed età, che mettono a disposizione parte del loro tempo, quasi sempre pro bono, per gli altri.

Girando le periferie e conoscendone il tessuto sociale, si percepisce che la possibile soluzione per combattere le forme di emarginazione che si radicalizzano sia lavorare “all’interno”, creando una rete di cittadini, italiani e stranieri, che possano aiutare “il quartiere”, rilevandone problematiche e criticità e valorizzandone le ricchezze.

Fondamentale è l’aiuto delle istituzioni, dalle Forze dell’ordine ai servizi sociali, ma in realtà complesse come la nostra non può essere la sola forma di intervento. Ad avviso di chi scrive è importante che istituzioni ed enti locali favoriscano l’associazionismo, anche quello meno organizzato e strutturato, per esempio concedendo in locazione, a canoni calmierati, immobili pubblici non utilizzati e prevedendo sgravi fiscali per associazioni no profit, consentendo così a quanti si vogliono mettere in gioco di “fare bene” il bene degli altri e della comunità.

Ilaria Li Vigni



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