5 luglio 2017

SESTO SAN GIOVANNI: UNA SCONFITTA ANNUNCIATA

La lucida analisi di un assessore uscente


È evidente che le elezione amministrative comunali sono influenzate dal clima politico nazionale, in questa tornata certamente non favorevole alla sinistra. Peraltro, proprio queste elezioni hanno dimostrato che essere al governo delle città è diventato per i sindaci una penalità, una sorta di stigmate, mentre qualche decennio addietro era un vantaggio competitivo sufficiente per assicurare il doppio mandato.

02marini25FBAllo stesso modo è banale costatare che gli esiti della competizione elettorale sono influenzati dalle antipatie, dai personalismi, dalle promesse di poltrone, seggi, incarichi professionali o lavori ad esigibilità immediata o differita, leciti o più o meno leciti, che normalmente animano il ballottaggio e che ci hanno visto perdenti a fronte della spregiudicatezza della destra. Fra questi mercati vale la pena ricordare (almeno stante alla ricostruzione che della vicenda ha fornito La Stampa e altri giornali) l’ingenuità imbarazzante del candidato sindaco Cinque Stelle che alla ricerca di un lavoro, magari in Regione, ha pensato bene di inviare per e-mail durante il ballottaggio il proprio curriculum al candidato della destra.

Benché scambi vari e clima politico nazionale contino, probabilmente anche tanto, mi interessa di più riflettere sui fattori locali della sconfitta e cercherò di farlo a partire da tre possibili spunti di riflessione.

Probabilmente pianificata nelle stanze degli assessori regionali, la destra ha condotto una campagna elettorale da manuale. Onore al merito. Due sono i principali temi su cui ha puntato. Il primo è un “evergreen”. Alemanno lo ha sperimentato con successo quando è diventato sindaco di Roma nel 2008. È il tema della sicurezza unito alla paura dell’altro. Non perderò tempo a spiegare che la paura è uno stato d’animo e non un dato di realtà e che può essere “reale” anche quando i delitti calano e si vive meglio.

Il meccanismo è largamente noto: induci un bisogno e ti proponi come il suo paladino, anzi accusi gli altri di non essere capace di trattarlo. Per poterlo sfruttare occorre però avere un appiglio, che in questo caso è stata il Centro Culturale Islamico di Sesto, cioè il diverso da sé. Come non sfruttare la paura inconscia per gli attentati di ispirazione jihadisti avvenuti in Europa o lo sgomento provocato dalle immagini dei profughi stipati nelle barche che affollano i nostri telegiornali?

Un “evergreen” classico per la destra come la “paura” sta dunque avendo una nuova primavera. Che a Sesto san Giovanni abbia trovato casualmente la morte il terrorista Anis Amri ha contato molto di più del fatto che il Centro Culturale Islamico sia funzionate da tempo, senza peraltro particolari problemi, e che era preesistente con molte più difficoltà in altra parte della città. La verità è che unitamente a coloro che lo hanno contrasto, questo insediamento è l’unico elemento di vitalità di un pezzo di città molto sofferente per i cantieri senza fine della metropolitana e i progetti di trasformazione urbana interrotti.

Il secondo tema mosso dalla destra e, in questo caso, anche dalla lista civica di centro destra, è più complesso e riguarda la cosiddetta “manutenzione della città”. È un tema che ha caratterizzato anche la campagna elettorale di Monza e di altri comuni. L’accusa è “La città è sporca”, “mal mantenuta” e il corollario è “voi amministratori siete degli inetti”. Ma anche la manutenzione è una questione di cultura e di percezione: Monza, Sesto San Giovanni, Cinisello Balsamo non sono peggio tenute o più sporche di Milano, delle città emiliane o toscane o di quelle campane. Anzi. La manutenzione è soprattutto un problema di bilancio. I tagli dell’erba sono le prime spese ad essere soppresse, e così le asfaltature, il rattoppo delle buche, gli ascensori delle scuole o delle case comunali e quant’altro.

A Sesto San Giovanni, come altrove, mantenere la città vuol dire inevitabilmente ridurre la spesa dei servizi alla persona e assistenziali e spostare risorse verso le opere pubbliche, giacché è difficile ipotizzare che nel futuro si liberino più denari. Questa riallocazione è ontologicamente problematica per la sinistra. Ma forse c’è di più. Lo spazio pubblico della città è il luogo dove incontriamo l’altro, è lo spazio della comunità, quello della quotidianità dei cittadini che spetta all’amministrazione curare e mantenere. Forse il tema della manutenzione nasconde significati più complessi e merita una riflessione più ponderata. Ho anche il sospetto che la manutenzione sia un problema di qualità progettuale piuttosto che di cura o pulizia. Molte zone di Sesto o di Monza non sono mal tenute o sporche ma sono anonime.

Se la destra riesce, aiutata dalla sua faccia tosta, a comunicare efficacemente, noi siamo stati poco capaci di costruire una narrazione efficace di quanto stavamo facendo e di come volevamo che Sesto diventasse. Un esempio paradigmatico è stato il tema della Città della Salute e della Ricerca, cioè la costruzione della nuova sede dell’Istituto dei Tumori e dell’Istituto Besta per un investimento diretto e indiretto di poco meno di un miliardo di euro. Tema sul quale molto abbiamo insistito, giacché fondante per avviare l’effettivo recupero delle aree Falck, costruire una prospettiva di sviluppo economico e conferire una nuova caratterizzazione alla città.

L’efficacia della narrazione è stata però scarsa, probabilmente perché era tema che parlava di una città futura e altra rispetto a quella vissuta dai cittadini. A un certo punto, per dare più sostanza al progredire di questo progetto, abbiamo organizzato delle visite in situ per mostrare ai cittadini l’incredibile panorama generato dalla bonifica di circa 200.000 mq. Iniziativa di grande successo ma – ahimè! – troppo tardi e di cui hanno beneficiato numeri ridotti. Con il senno di poi il tema si è dimostrato mediaticamente inflazionato e forse era intuibile, giacché se ne parla da più di 20 anni. E forse tutti i grandi progetti di trasformazione urbana, con i loro tempi lunghi, hanno oramai scarso appeal.

In questo caso l’architettura realizzata vince a pieni mani sull’urbanistica delle carte. Allo stesso modo non abbiamo sfruttato il tema della correttezza amministrativa ristabilita dopo le note vicende giudiziarie del cosiddetto “sistema sesto”, e al quale abbiamo dedicato almeno metà della Consigliatura. Questo è accaduto anche per un malinteso quanto umano senso di vergogna rispetto a quanto era successo. Ma siamo anche inconsapevolmente caduti in una ingenuità tipica della Sinistra: quella di pensare che risolvere i problemi e fare le cose bene sia sufficiente, che il buon governo sarebbe stato automaticamente riconosciuto, giacché, appunto “buono”. Errore di ingenuità o di supponenza, non saprei. Le conseguenze di questa idea salvifica della politica sono note da tempo. La visione positiva e razionalista dell’azione amministrativa ti fa smarrire il quadro delle priorità e delle gerarchie portandoti ad occuparti un po’ di tutto, talvolta senza riuscire a star dietro a molto. Soprattutto in un contesto di risorse e capacità di governo per definizione deboli e limitate.

La smania di fare bene finisce poi per isolarti dalla città proprio quando lo svuotamento dei partiti, l’abolizione delle circoscrizioni e l’indebolimento dei cosiddetti corpi intermedi consiglierebbero di camminare e dialogare molto di più con la città. Alla fine ti chiudi in ufficio, magari per lavorare giorno e notte. In questo siamo stati poco politici, anche se le cose ben fatte sono state molte e importanti. Peraltro con un trucco geniale la Destra ha saputo neutralizzarne la portata: è bastato appropriarsene per minimizzarne l’effetto.

Poiché il mondo non è cosa diversa dalle parole che usiamo per descriverlo, a essere proprio sinceri ho il sospetto che una narrazione inefficace non sia solo un problema di strategia comunicativa ma anche sostantivo, ovvero una debolezza del progetto di città e di società. Una debolezza che è stata della nostra Amministrazione, ma che è della sinistra e più in generale dell’Accademia, come di molte expertise disciplinari o professionali. L’altro giorno con un amico ricordavamo la quantità di studi, enti di ricerca e discussioni che accompagnavano il governo della area metropolitana negli anni ’80 e ’90 (chi si ricorda, per esempio, il Progetto Milano promosso dall’IRER?) e ci chiedevamo se eravamo noi ad averne perso traccia, se questa riflessione non esiste più o se si è persa nella ridondanza di una produzione ricca quanto inefficace.

Non è questa la sede per affrontare temi complessi come quello della rappresentanza, dell’emigrazione, del governo dell’area metropolitana o dell’efficacia e la produttività della burocrazia. Non è questo il momento, anche perché non ne sono in grado. Mi limiterò pertanto ad un breve cenno rimarcando che Sesto San Giovanni è da questo punto di vista particolare. Lo stile politico della città, almeno storicamente, è quello tipico delle aree a tradizione “rossa”, quello cosiddetto “emiliano”, fondato su una forte omogeneità e sintonia della classe di governo pubblica e privata e su una buona dose di pragmatismo che hanno assicurato capacità di mediazione e ricomposizione dei conflitti unitamente a una buona efficacia dell’azione di governo. Non a caso la chiamano la Stalingrado d’Italia.

Ci siamo accorti che questo stile politico si era disintegrato, forse anche prima che ci insediassimo, in parte per motivazioni esogene (la crisi economica), in parte per degenerazione (il cosiddetto sistema Sesto), in parte per auto consunzione (età anagrafica). Ci siamo accorti che i partiti politici sono solo una pallida imitazione di quello che erano, che alle prese con la crisi economica la cooperativa edilizia e la banca locale avevano tutt’altro a cui pensare. Ci siamo accorti che l’imprenditoria attiva a livello cittadino, perlopiù legata al mattone, è implosa per età e scambi opachi, mentre l’associazionismo sportivo, quello ricreativo o assistenziale è andato per suo conto. E ci siamo anche accorti che tutto ciò avveniva nel mentre il tessuto sociale della città si polarizzava: da una parte l’ulteriore impoverimento degli ultimi, che hanno finito per votare a destra, dall’altro un ceto medio, anche esso colpito dalla crisi, ma che ha acquisito valori e aspirazioni diversi rispetto a quelli della tradizione “rossa” sestese. Ci siamo accorti, ma non siamo stati capaci di fondare una nuova prospettiva.

E come se fossimo rimasti in mezzo a una transizione di cui tuttora mi sfugge la meta finale. Da questo il punto di vista il paradigma della manutenzione della città e delle conseguenti scelte di allocazione delle risorse è emblematico. Ho il sospetto che la Sinistra sia poco attrezzata a trattare questi dilemmi da un punto di vista culturale, prima ancora che politico. Non c’è dubbio: la Stalingrado d’Italia non esiste più e forse da tempo.

Post scriptum. La mia Sindaco, se mai avrà modo di leggere questo articolo, penserà al solito che sono troppo duro e un po’ pessimista: che sono poco politico. Forse alcune frasi le faranno storcere il naso. Personalmente penso che quando è il momento dell’analisi, ancorché abbozzata, sia necessaria una lucidità disincantata. Me ne scuso in anticipo, e poi non rinnego nulla di quello che ho fatto in questi anni e, soprattutto, la ringrazio della fiducia che mi ha accordato e della possibilità che mi ha dato di vivere questa straordinaria avventura. Anche se alla fine abbiamo perso.

Edoardo Marini
assessore all’Urbanistica uscente Comune di Sesto di San Giovanni



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