21 giugno 2017

LA MOROSITÀ IN CONDOMINIO CRESCE

Un indicatore di nuove povertà metropolitane


Emergenza abitativa a Milano non è soltanto mancanza di un tetto e lunga attesa per l’assegnazione di un alloggio. Per molte persone è la fatica quotidiana di mantenere la casa di proprietà: dati oggettivi quantificano una sofferenza sociale diffusa e sottovalutata. Sono sempre più numerosi, negli ultimi anni, i condomini che smettono di pagare le loro quote delle spese, accumulando rapidamente migliaia di euro di passivo e creando serie difficoltà anche all’amministratore e agli altri residenti.

04poli23FBCostruire nuove case “da fare abitare” non è tutto, quindi, è necessario riflettere sul benessere e la dignità di chi abita quelle esistenti. Nella ricerca realizzata da Confabitare, associazione dei proprietari immobiliari, effettuata sui capoluoghi di provincia italiani e aggiornata a questa primavera, viene segnalato a Milano – negli oltre 438.500 condomini presenti in città – un aumento della morosità nel 2016 pari al 30%; un incremento di pochi punti percentuali inferiore a quelli di Bologna (in testa con il 33,8%), Roma, Napoli e Torino.

Quando le famiglie sono in difficoltà, prima di rinunciare a beni di prima necessità come le cure mediche, o alle spese alimentari e a quelle scolastiche per i figli, scelgono piuttosto di tagliare “momentaneamente” un costo che consente dilazioni maggiori. Lo si fa ben consapevoli che questo passo non comporta conseguenze immediate, perché deve trascorrere un periodo tutto sommato lungo prima che il debito verso il condominio metta a rischio la proprietà dell’abitazione.

È più facile essere condomini indietro con le spese piuttosto che inquilini in ritardo con l’affitto, perché in quest’ultimo caso si rischia lo sfratto in tempi rapidi. In alcuni quartieri della città, soprattutto quelli periferici dove i redditi sono più bassi, le conseguenza delle quote ordinarie insolute si manifestano in tutta la loro serietà. Nel Municipio 2, negli ultimi mesi, il gruppo di Sinistra x Milano ha avviato contatti con amministratori, residenti e agenti immobiliari della zona, con particolare attenzione a via Padova e dintorni. È stata anche coinvolta l’Amministrazione Comunale, in particolare l’assessorato alla casa, sebbene il disagio abitativo riguardi stabili privati e non di edilizia pubblica.

Gli incontri con i diretti interessati e le loro testimonianze hanno rivelato che – a parte le situazioni estreme nelle quali sussistono anche problemi di ordine pubblico, igiene e sicurezza – i debiti in condominio sono più diffusi di quanto non si creda, e si rivelano con maggiore urgenza negli stabili dove vivono meno di venti famiglie. Basta infatti che uno o due nuclei non paghino per pochi anni consecutivi le rate e l’intero bilancio entra in crisi. I provvedimenti per tentare di rientrare comunque in pareggio risultano comunque duri per tutti indistintamente, perché, per compensare e risparmiare, ci si vede costretti a tagliare sui servizi, dal riscaldamento (quando l’impianto è centralizzato) alle bollette elettriche per le parti comuni.

Molti amministratori adottano la soluzione temporanea di sospendere il pagamento dell’acqua – che pure non è certo tra i costi maggiori – poiché è noto che questa risorsa primaria non può essere tolta neppure in caso di insolvenza. Eppure non basta. L’amministratore, per obbligo di legge, deve far emettere decreti ingiuntivi nei confronti dei proprietari morosi e quando anche questi non ottengono risultati gli appartamenti vengono venduti all’asta a prezzi molto inferiori a quelli di mercato, senza che si riesca, nella maggior parte dei casi, a recuperare una cifra sufficiente per saldare le “sopravvenienze passive”.

In extremis, queste ricadono così, in aggiunta alle rate ordinarie, su chi paga regolarmente. Ma qual è il prototipo del proprietario moroso? Lo scenario è più variegato di quanto si immagini: famiglie a reddito medio-basso, nuovi single con figli a carico che dopo la separazione dal coniuge non riescono più a far quadrare il bilancio, anziani ai quali la pensione non basta; e poi cinquantenni che hanno perso il lavoro o sono stati duramente colpiti dalla crisi nella loro attività.

Sono quelle che vengono chiamate le nuove povertà, ex benestanti che vedono precipitare velocemente le proprie condizioni economiche: storie che, salvo tragiche derive, non trovano spazio nelle cronache se non inserite all’interno di statistiche generali. I conti correnti dei condomini ridotti a zero diventano una concausa dell’aumento del degrado nei quartieri dove già sussistono condizioni di rischio dovute a tanti altri fattori; una proprietà “in rosso” non è infatti in grado di provvedere a interventi straordinari che ne garantiscano la sicurezza e il decoro architettonico; una facciata senza manutenzione diventa fatiscente, un tetto pericolante.

Nella maggior parte dei casi, i passivi sono determinati da oggettive carenze economiche; ma se questa è considerata, per così dire, “ordinaria amministrazione”, si registrano invece in alcuni nuclei abitativi criticità davvero emergenziali. Nella zona di via Padova, per esempio, vi sono condomini con appartamenti occupati o subaffittati senza alcun controllo, tanto che nemmeno gli amministratori riescono a ricostruire un’anagrafe condominiale attendibile degli immobili sotto la loro responsabilità.

Nei complessi più disagiati, l’illegalità prende piede a ogni livello, dallo spaccio alle aggressioni, dalle pericolose bombole del gas al posto dei regolari allacciamenti alla rete fino ai “furti di corrente”: quando cioè un solo condomino pagante si vede attribuita anche la bolletta dei vicini che si sono attaccati abusivamente alla sua utenza; e ovviamente si smette di fare la raccolta differenziata, con sanzioni a raffica che tanto nessuno pagherà mai. Mondi a parte? Forse, ma così non deve essere. Anche perché i problemi piccoli e grandi sono correlati: il debito contenuto di poche famiglie e i casi off limits non sono tra loro così incommensurabili. Più il sistema del condominio entra in crisi, più si scivola gradualmente verso un’anarchia di cui non si possono immaginare fino in fondo i risvolti.

La questione è aperta, lontana da soluzione. E riguarda tutti i cittadini milanesi perché il disagio abitativo è uno dei volti della città, accanto a quello dei grandi eventi e all’immagine internazionale. I margini di intervento del pubblico non sono facili da definire, eppure solo la regia istituzionale può essere in grado di trovare gli strumenti per affrontare un problema prima sociale che economico, prima collettivo che individuale; non attraverso l’assistenzialismo o i provvedimenti d’urgenza, ma in un piano complessivo di riqualificazione urbana che parta proprio dai condomini. Altrimenti questo quadro preoccupante potrebbe sfociare in tante nuove storie di emarginazione quotidiana.

Eleonora Poli



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