13 giugno 2017

sipario – PAROLE MUTE E CORPI PARLANTI DI ATERBALLETTO


Piccolo Teatro Strehler di Milano, Prima del 7 giugno 2017.

Words and Space. Coreografia di Jiří Pokorný. Musiche miscellanee dal repertorio barocco, riarrangiate da Yukari Sawaki. Costumi di Carolina Mancuso. Luci di Carlo Cerri. Produzione di Aterballetto.
Interpreti: Saul Daniele Ardillo, Damiano Artale, Hektor Budilla, Martina Forioso, Philippe Kratz, Ina Lesnakowski, Valerio Longo, Ivana Mastroviti, Roberto Tedesco, Lucia Vergnano, Serena Vinzio, Chiara Viscido.

Narcissus. Prima assoluta. Coreografia di Giuseppe Spota. Musica di Joby Talbot. Video di OOOPStudio. Luci di Carlo Cerri. Costumi di Francesca Messori. Nuova produzione di Aterballetto.
Interpreti: Saul Daniele Ardillo, Ivana Mastroviti, Roberto Tedesco, Serena Vinzio.

Phoenix. Coreografia di Philippe Kratz. Musica elettronica originale di Borderline Order. Costumi di Costanza Maramotti. Scene e luci di Carlo Cerri. Produzione di Aterballetto.
Interpreti: Saul Daniele Ardillo, Damiano Artale, Martina Forioso, Ina Lesnakowski, Grace Lyell, Giulio Pighini, Roberto Tedesco, Lucia Vergnano, Serena Vinzio.

Quando si legge un titolo di uno spettacolo di danza con «parole» si resta sempre curiosi, se non addirittura perplessi. Non è questo il caso. Aterballetto mostra sempre la sua capacità di sperimentazione che sa diventare poesia.

sipario22FBDal Nederlands Dans Theater di Den Haag (L’Aia), una delle principali e più prolifiche compagnie di danza contemporanea del mondo, il coreografo ceco Jiří Pokorný, già danzatore della compagnia, crea per il nostro Aterballetto Words and Space [parole e spazio] su musiche barocche. Un connubio molto fecondo tra i movimenti della danza contemporanea e i ritmi della musica barocca, che da Bach in Cello Suites di Heinz Spoerli a Progetto Händel di Mauro Bigonzetti (e anche con il poco riuscito e deludente Giardino degli amanti sulle note di Mozart) da qualche anno ha messo piede anche al Teatro alla Scala.

Pokorný sembra creare con i corpi una storia del linguaggio, di come il suono assume significato e si espande dello spazio. I movimenti coreografici mostrano continuamente una tensione al parlato, evidenziata dall’apertura della bocca dei danzatori come fossero pesci in un acquario. Le parole generano relazioni e anche conflitti: uno dei momenti più belli vede gli avambracci dei danzatori che partendo dall’esterno si legano per il gomito fino a raggiungere i gomiti della danzatrice centrale, facendo dell’ensemble un corpo unico sincrono che ora favorisce il volo come ali di chi vuole librarsi in aria ora ostacola i movimenti come catene che attraggono inesorabilmente a terra.

I danzatori diventano le parole stesse di un linguaggio che evolve sempre più e si articola descrivendo e ragionando sul mondo, come i movimenti si fanno sempre più grandi e complessi. Si arriva a un punto di rottura. Si comincia a “spogliare la parola”, il solista Philippe Kratz resta nudo sulla scena, diviene linguista rimpicciolendo sempre più i movimenti in pulsazioni fini e precise del corpo e del gesto, come scomponendo una parola nelle sue più piccole parti (morfemi, desinenze, temi e radici) fino all’essenza minima, il fonema, puro tratto distintivo della lingua.

Continua la ricerca dello spazio in Phoenix, che trae origine dall’araba fenice. Philippe Kratz ha letto nel mito di risorgere dalle proprie ceneri una metafora d’incoraggiamento contro le depressioni, i buchi neri e le preoccupazioni irrisolvibili della vita occidentale. Un tema molto nordico, in linea con la cultura scenica e sociale del Nord Europa – in particolare Germania e Paesi scandinavi -, vestito di una positività e un colore mediterraneo, mostrando l’appartenenza del coreografo alle due culture, quelle di nascita tedesca e quella italiana d’adozione.

La coreografia si sviluppa con il flashback, analessi narrativa che parte dalla morte dell’araba fenice e investigare nel processo di rinascita. Anche stavolta i danzatori fondono i propri movimenti nell’interpretazione di una sola figura nelle sue sfaccettature. I colori dei costumi, per lo più a tinta unita sfilano variegati come uno spettro della luce nel cristallo a mostrare la molteplicità della natura e delle sensazioni umane. La danza si articola tra i passaggi a contatto con il pavimento, vorticosi passi a due e a tre e momenti di adagio e sostenuti fino alla stasi, che non è mai cessazione di danza, ma continua fluidità del movimento.

La scena composta di parallelepipedi cavi, molto significativa nel suo “contenere la luce” all’interno, avrebbe potuto interagire maggiormente con gli interpreti, non solo nel finale con un assolo del danzatore. Il momento della rinascita e, quindi, del riscatto è perfettamente notato con la nuova alba che sorge nel fondale del palco retroilluminando tutti i danzatori oscurando così i colori dei costumi e dando l’idea che l’arcobaleno si ricomponga nei suoi elementi di luce pura. È come se tutta la coreografia sulla musica molto evocativa descrivesse il fuoco vivo della rigenerazione dell’araba fenice ancora covato sotto le ceneri.

Tema classico con risvolto odierno rappresenta la nuova creazione in prima mondiale al Teatro Strehler di Giuseppe Spota, già danzatore di Aterballetto e non solo e ora coreografo. Narcissus racconta il mito del ragazzo bellissimo che, innamoratosi della propria figura specchiata in una fonte, muore per la disperazione di non poter raggiungere l’immagine che crede corpo. Spota non racconta solo della morte di Narciso, ma seguendo l’episodio del terzo libro delle Metamorfosi di Ovidio racconta anche il rifiuto della ninfa Eco. Approfondisce non solo il tema «giovane» del narcisismo – come lo ha definito alla conferenza stampa -, ma anche il tema del doppio e dell’inganno del destino.

Narciso è sdoppiato in una parte maschile e una femminile, Eco è secondaria, ma importante nella diegesi coreografica dei passi a due molto fisici e ‘respinti’. Ma soprattutto è decisivo il passo a tre finale con la morte ingannatrice, vestita di verde, colore che nella simbologia cromatica descrive la volontà di sopraffazione. Gli altri costumi un po’ troppo elaborati non aggiungono nulla alla lettura coreografica; forse vestiti più neutri e non legati a un momento storico preciso avrebbero contribuito meglio alla definizione di atemporalità e quindi di attualità del mito nella società dei nostri giorni.

La musica è molto narrativa e ben si adatta ai passaggi diegetici del mito; spesso è calma da adagio, ma la danza si rivela spesso negli accenti in battere molto contrastiva e forte. Interessante e suggestiva la proiezione video che narra l’antefatto raccontato da Ovidio della violenza del fiume Cefiso sulla ninfa Liriope, che per significare la nascita del giovane protagonista il getto d’acqua prende le sembianze del fiore che da Narciso prende il suo nome.

Domenico Giuseppe Muscianisi

Foto di Nadir Bonazzi, per concessione del Piccolo Teatro Strehler: ensemble di «Phoenix».

questa rubrica è a cura di Domenico G. Muscianisi e Chiara Di Paola

rubriche@arcipelagomilano.org



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