31 maggio 2017

LA FRETTA DI SALA E MARAN VALE UN MILIARDO?

Ripensare l'accordo di programma prima di segnare il destino di Milano


Il sindaco Sala e l’assessore Maran sembra proprio abbiano una gran fretta di arrivare a presentare in Consiglio la delibera di approvazione dell’Accordo di Programma sugli scali ferroviari: vogliono arrivarci entro l’estate, il che è come dire che deve andare a calendario di Consiglio al più presto. Le ragioni di tanta fretta non sono chiare e, come ho detto la settimana scorsa, continueremo a fare questa domanda. Le ragioni contro la fretta sono molte e di due ordini: di natura urbanistica e di natura politica.

01editoriale20FBRimettiamo ordine. Come ho già accennato in un mio precedente articolo la vicenda parte da lontano, ma il primo punto di svolta è l’Accordo di programma Masseroli-Moratti del 2006. Qualunque provvedimento di natura urbanistica ha come prima fase la cosiddetta “analisi dei bisogni” e anche di questo abbiamo parlato: bisogni pregressi, bisogni attuali, bisogni futuri. Su questa fase del procedimento esiste una metodologia consolidata e non c’è nulla da inventare.

Questa analisi non è stata fatta allora dalla Giunta Moratti, a quanto è dato sapere, e probabilmente nemmeno ora o comunque non se ne ha notizia pubblica. Se fu fatta allora e la si è rispecchiata nel relativo accordo di programma non vale certo per oggi, visto che l’Accordo che si profila ora è sostanzialmente immutato rispetto al precedente, salvo alcuni indici di densità.

L’analisi dei bisogni che non si è fatta originariamente non può certo essere sostituita dai recentissimi tavoli tecnici messi in piedi dal Consiglio comunale, né dal lavoro fatto all’ultimo momento dai Municipi interessati. Tutti questi lavori, certamente utili in assoluto, avrebbero dovuto essere conclusi assai prima che gli uffici comunali procedessero alla stesura ora in corso di qualunque documento propedeutico alla stesura del nuovo accordo di programma. Ce la faranno a introdurre queste indicazioni in meno di un mese?

Nella migliore delle ipotesi questi lavori sono solo parte di una completa analisi dei bisogni, perché manca quella legata alle grandi questioni che nascono dall’esistenza della Città Metropolitana e dai suoi bisogni, dai una integrazione a livello regionale coi relativi bisogni e dall’integrazione nel quadro nazionale di sviluppo. Di tutti questi bisogni si è fatta una analisi? Ancorché sommaria e anche solo per rifiutare la strategia dell’urbanistica casuale?

A prescindere poi da questi lavori e dalla loro influenza sulla stesura dell’Accordo di Programma, in qualche modo legittimati dalla Giunta e dal sindaco come espressione della coerenza col quadro programmatico contenuto delle indicazioni della campagna elettorale che ha insediato questa Giunta e questo sindaco, le FFSS hanno dato incarico a cinque studi di architettura perché formulassero le ben note “visioni”.

E veniamo dunque al ruolo delle FFSS con una prima domanda: tutto quello che si è detto, discusso, dibattuto e progettato sarebbe stato identico se non fosse in campo la pesante ipoteca di dover in qualche modo “remunerare” la disponibilità delle aree dismesse delle Ferrovie dello Stato?

Eccoci dunque al solito nodo che riguarda tutte le aziende dello Stato e delle pubbliche amministrazioni in genere oggetto delle cosiddette privatizzazioni, società erogatrici di servizi o produttrici di beni: qui ora le Ferrovie dello Stato.

Nel caso di questa ultima è una SPA a suo dire privata, e ne rivendica le strategie e il modus operandi, pur essendo totalmente pubblica: l’azionista unico è il Ministero del Tesoro, il Ministero delle infrastrutture ha il compito di indirizzo, vivono di contributi dello Stato. Manca qualcosa?

Per fare quello che fanno, ogni esercizio coprono i costi rispettivamente, e a grandi linee, per 4 miliardi dagli utenti (biglietti, merci, etc.) e per 3 miliardi da contributi dello Stato. A questi vanno aggiunti 8 miliardi annui di investimenti che arrivano sempre dallo Stato e a disposizione delle FFSS per investimenti. Per finire sempre dallo Stato ricevono 4 miliardi all’anno per le pensioni dei dipendenti. Tanto per fare le somme 15 miliardi dallo Stato e 4 miliardi dal “mercato” (biglietti, etc.) nel quale sono praticamente monopolisti. Una SPA privata?

Questi 15 miliardi all’anno vanno confrontati con i “ricavi” una tantum – più o meno un miliardo spalmato almeno su cinque anni secondo i calcoli che troverete in molti dei nostri articoli passati e anche in questo numero – chiesti alla collettività milanese per utilizzare, parzialmente, le aree degli scali per i propri “bisogni”. Dobbiamo consentir loro di incassare una bazzecola a fronte del destino di un area assolutamente strategica per il futuro della città? Follia.

Così non può e non deve funzionare, questi conti fatti ora per la prima volta cambiano tutto e tutto rimettono in discussione.

Le Ferrovie dello Stato, come vado dicendo da anni, sono un bene comune a disposizione della collettività, una “risorsa” della collettività e non viceversa e come tale vanno gestite: vanno capovolti i rapporti di forza, Mazzoncini e Di Vito sono al servizio di Milano e come Milano desidera, senza se e senza ma.

Se poi proprio non vogliamo alterare questo rapporto di vassallaggio che privilegia le Ferrovie dello Stato rispetto allo Stato medesimo, rapporto funzionale a una politica di clientelismo diffuso – vedi la gestione di 8 miliardi di investimenti -, al momento del “Patto per Milano” sarebbe stato sufficiente inserirvi la disponibilità incondizionata delle aree degli scali. Ma di questo non si è parlato: mai toccare l’adorato Molok.

E se proprio vogliamo essere generosi proponiamo il concambio con una manciatina di azioni ATM, forse la “golosità” di Mazzoncini ci consentirà di trattare da posizioni di forza.

Dunque, una pausa di riflessione per rimettere in ordine il percorso di generazione dell’Accordo di Programma e riequilibrare i rapporti con Ferrovie dello Stato è utile, anzi indispensabile.

Una pausa che può essere anche breve, dipende dall’indipendenza e dall’autorevolezza degli attori in campo e dal loro rispetto del bene comune.

Luca Beltrami Gadola

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