31 maggio 2017

arte – SIAMO UN MONDO DI MIGRANTI


Fughe, viaggi, migrazioni: l’ultimo secolo ha visto, forse ancora più dei precedenti, flussi di persone spostarsi da un capo all’altro della terra per le ragioni più disparate; questo è il filo rosso che accompagna e guida il visitatore de La Terra Inquieta, la mostra ospitata da Triennale di Milano fino al 20 agosto 2017, ideata e curata da Massimiliano Gioni.

arte20FBArte, cronaca, pittura, verità, emozione, realismo, dolore, finzione: tutto si mescola in un pot-pourri che supera i limiti concettuali di arte e reportage per sfociare in una visione a volte tragica e a volte onirica del nostro mondo. Sessantacinque artisti provenienti da oltre quaranta Paesi del mondo – tra cui Albania, Algeria, Bangladesh, Egitto, Ghana, Iraq, Libano, Marocco, Siria e Turchia – mostrano sessantacinque visioni differenti del nostro tempo, attraverso documenti storici, oggetti di cultura materiale, mappe geografiche, filmati, modellini di città e di barche.

Ponendo l’accento sulla produzione artistica e culturale più che sulla cronaca, la mostra si concentra in particolare sul ruolo dell’artista come testimone di eventi storici e sulla capacità dell’arte di raccontare cambiamenti sociali e politici. Molti artisti conoscono e descrivono in prima persona il mondo da cui provengono i migranti e per questo ne parlano con il senso di responsabilità di chi vuole restituire la complessità di un evento drammatico senza incorrere in banalizzazioni e sentimentalismi.

La Terra Inquieta è promossa da Fondazione Nicola Trussardi e Fondazione Triennale di Milano; parte del programma del Settore Arti Visive della Triennale diretto da Edoardo Bonaspetti è il frutto della collaborazione tra due istituzioni che da sempre mettono al centro della loro missione il presente in tutte le sue accezioni, prestando attenzione ai linguaggi più sperimentali e innovativi dell’arte e della cultura contemporanea e con la capacità di dare voce a fenomeni portatori di cambiamenti profondi.

L’inquietudine e il nomadismo, sono, volenti o nolenti, l’elemento caratterizzante della nostra epoca. Ma in fondo cos’è che ci turba di più: che il dolore e la sofferenza siano oggetto di sempre più frequenti mostre d’arte o che siano parte della nostra quotidianità?

La Terra Inquieta fino al 20 agosto 2017. Milano, Palazzo della Triennale, viale Emilio Alemagna 6. Orari: martedì-domenica 9:30-20:30. Ingresso: intero 8 €, ridotto 6,50 €.

RICAMI DI LUCI A PALAZZO MORANDO

Un tuffo nel mondo del ricamo, della moda, e anche un po’ nella nostra è racchiuso nella piccola e preziosa mostra di Palazzo Morando che passa attraverso una selezione fra gli oltre 4000 abiti e accessori del Museo e racconta l’evoluzione delle paillettes dal 1770 al 2004. L’esposizione Ricami di luce. Paillettes e lustrini nella moda di Palazzo Morando 1770-2004, nel rispondere alla vocazione del museo che vuole l’allestimento a rotazione periodica degli abiti delle Civiche Raccolte, propone per la prima volta un’analisi trasversale su una tecnica particolare: il ricamo con paillettes. Chi si è mai soffermato a pensare come venivano realizzati i colorati dischetti prima dell’avvento della plastica? e quali le sue origini?

Attraverso l’esposizione di abiti femminili, ma anche maschili, è possibile ripercorrere la storia dei preziosi dischetti, della loro lavorazione – dall’utilizzo del metallo nei secoli passati, alle diverse e numerose varianti novecentesche (prima in gelatina animale, poi in cellulosa e in PVC o in materiali sintetici) – e di oltre duecento anni di storia della moda: dalle opulente e preziose vesti degli ultimi decenni del Settecento, al poco noto abito ancora da confezionare, databile al 1804-1805, che si vuole appartenuto a Elisa Baciocchi, sorella di Napoleone.

Ad aprire il percorso espositivo alcuni rari abiti settecenteschi, che attestano il fantasioso e abbondante uso dei dischetti in metallo (soprattutto argento e argento dorato, ma anche rame per ottenere sempre effetti cromatici nuovi e luminosi) sia per donna sia per uomo. Il secolo più rappresentato è il Novecento che si apre con i ricchi vestiti della Belle Époque, per proseguire con i raffinati e apparentemente semplici anni Venti o gli spumeggianti anni Cinquanta.

Alle generose forme di questi anni, nei decenni successivi si prediligerà una femminilità più esile e dinamica, simbolo di una nuova concezione di società, che si riflette anche negli abiti ora estremamente vivaci o colorati, o di contro carichi di riferimenti culturali e artistici. Un percorso che appare ancor oggi estremamente vivace e ricco di suggestioni, ben illustrato dall’abito di Roberto Cavalli, donato al Museo nel 2011, e quello di Giorgio Armani concesso in prestito al Museo dalla Casa di moda milanese in occasione della mostra.

Ricami di luce. Paillettes e lustrini nella moda di Palazzo Morando 1770-2004 fino al 2 luglio 2017. Milano, Palazzo Morando | Costume Moda Immagine, via Sant’Andrea 6. Orari: martedì – domenica, 9-13 e 14-17.30.

KEITH HARING A MILANO

«Sento che in qualche modo potrei continuare una ricerca, un’esplorazione che altri pittori hanno iniziato e non sono stati in grado di portare a termine […] Io non sono un inizio, non sono una fine. Sono un anello di una catena».

Sono passati 25 anni dalla scomparsa di Keith Haring, ma la complessità del suo pensiero e l’intensità del suo lavoro restano fortemente contemporanei al punto che ciascuna opera, vista da vicino (ma anche da lontano, di fianco o in fotografia) sembra creare un filo diretto con l’osservatore. La mostra appena inaugurata a Palazzo Reale, Keith Haring. About Art, presenta 110 opere dell’artista, alcune delle quali mai esposte in Italia, dando corpo a una retrospettiva nella quale emerge chiaro il progetto dell’artista: ricomporre i linguaggi dell’arte in un unico immaginario simbolico, che fosse al tempo stesso universale, per riscoprire l’arte come testimonianza di una verità interiore con al centro l’uomo e la sua condizione, sociale e individuale.

Comune di Milano – Cultura, Palazzo Reale, GAmm Giunti, 24 Ore Cultura – Gruppo 24Ore ci donano un allestimento emozionante e al contempo denso di rimandi al contesto in cui la breve ed esplosiva vita di Haring gli consentì di esprimersi come una delle personalità più riconosciute dell’arte americana del dopoguerra.

La mostra pone l’accento su alcuni degli aspetti più importanti dell’estetica di Keith Haring, da un lato l’artista eclettico fortemente ancorato alle dinamiche sociali e ai linguaggi del suo tempo: droga, razzismo, AIDS, minaccia nucleare, alienazione giovanile, discriminazione delle minoranze, arroganza del potere; dall’altro il forte richiamo alla storia dell’arte passata, che ha condotto l’artista a confrontarsi con le tematiche e il linguaggio dei grandi maestri del passato. Li ha profondamente ammirati, ma non per questo ha avvertito nella loro lezione dei vincoli da rispettare. Nella mostra dialogano con i lavori di Haring artisti da Jackson Pollock, Jean Dubuffet a Paul Klee per il Novecento, ma anche i calchi della Colonna Traiana, le maschere delle culture del Pacifico, i dipinti del Rinascimento italiano e altre.

Passeggiare nelle sale significa immergersi nel colore, nel disegno, nel tratto. È un’esperienza meravigliosa e unica di incontro con un’arte troppo spesso relegata in secondo piano, denigrandola come mero graffitismo e street art. Credo (ma non solo io) che sia davvero giunto il momento di dare all’artista Keith Haring la collocazione di rilievo che merita all’interno del panorama della storia dell’arte contemporanea.

Keith Haring. About Art fino al 18 giugno 2017. Milano, Palazzo Reale, piazza Duomo 12. Orari: lunedì 14.30-19.30 / martedì, mercoledì, venerdì e domenica: 9.30-19.30 / giovedì e sabato: 9.30-22.30 (ultimo ingresso un’ora prima della chiusura) Ingresso: € 12 / € 10 / € 6.

NEW YORK NEW YORK

Con la mostra New York New York la Grande Mela sbarca nel capoluogo meneghino, o meglio: tra il Museo del Novecento e le Gallerie d’Italia, dove sono raccolti i lavori di alcuni tra i maggiori artisti italiani che negli Stati Uniti – e in particolare a New York – hanno viaggiato, soggiornato, lavorato, esposto o anche solo immaginato il nuovo mondo.

Il percorso espositivo, visitabile fino al 17 settembre, si snoda tra le due sedi museali e comprende oltre 150 opere. Un racconto articolato e complesso che prende avvio al Museo del Novecento con gli anni Venti, quando Fortunato Depero, futurista di primo piano, si reca negli Stati Uniti diventando simbolicamente il punto di partenza dell’incontro con la realtà americana. Continua fino al biennio 1967-68, quando Ugo Mulas pubblica New York: The New Art Scene (New York: arte e persone), il libro nel quale raccoglie le immagini scattate dal 1964 agli artisti americani di punta dell’epoca.

Nello stesso periodo sono poi organizzate importati rassegne tra cui la grande mostra del 1949 dedicata all’arte italiana al Museum of Modern Art di New York e una doppia rassegna nel 1968 dedicata alla recente arte italiana al Jewish Museum of Art di New York.

Nelle Gallerie d’Italia a piazza della Scala, sede museale di Intesa Sanpaolo a Milano, è invece proposta un’ampia ricostruzione dei rapporti con le istituzioni, le gallerie e i collezionisti americani che hanno valorizzato la presenza artistica italiana sul territorio americano. A partire dalla mostra XX Century Italian Art, tenutasi nel 1949 al Museum of Modern Art di New York, sono presentati nelle sale della sede di piazza della Scala alcuni capolavori di artisti quali Umberto Boccioni, Giacomo Balla, Carlo Carrà e Giorgio Morandi per poi proseguire con opere di autori degli anni Cinquanta e Sessanta.

Allo scopo di mettere in evidenza il dialogo con gli artisti d’oltreoceano sono esposti anche alcuni capolavori dei massimi esponenti dell’arte statunitense come Alexander Calder, Willem De Kooning, Arshile Gorky, Franz Kline, Conrad Marca Relli e Cy Twombly, per sottolineare le loro relazioni con il nostro paese, attraverso i contatti da loro intrattenuti con artisti e collezionisti.

Per gli appassionati di questa fase della storia dell’arte italiana è una mostra da non perdere, per gli altri è comunque una bella occasione per tornare a vedere le collezioni dei due Musei ospitanti.

New York New York fino al 17 settembre 2017. Milano, Museo del Novecento (Piazza Duomo / via Guglielmo Marconi 1) e Gallerie d’Italia (Piazza della Scala 6). Orari Museo del Novecento: lunedì 14:30-19:30; martedì, mercoledì, venerdì e domenica 9:30-19:30; giovedì e sabato 9:- 22:30. Orari Gallerie d’Italia: martedì-domenica 9:30-19:30; giovedì 9:30-22:30; lunedì chiuso. Biglietto congiunto €10, ridotto €8.

MANET E L’UMANITÀ DEI SUOI TEMPI

Il profumo della primavera, il pizzicore della brezza marina sulla pelle quando scende la sera, il tintinnio di piatti e bicchieri che si mischia alle voci in un bar affollato, lo scintillio degli abiti eleganti all’ingresso dell’Opera: la mostra Manet e la Parigi moderna, ospitata da Palazzo Reale fino al 2 luglio, consente un’immersione nel mondo leggero e colorato degli impressionisti. Attraverso le dieci sezioni della mostra si dipanano i temi cari a Manet e agli artisti che al suo fianco collaborano: la Parigi che sul finire dell’Ottocento si trasforma alimentandosi di edifici nuovi e funzionali (scuole, municipi, chiese), ma anche di tendenza come la biblioteca Sainte-Geneviève, una struttura totalmente in ferro, e il grandioso Palazzo dell’Industria, costruito per l’Esposizione universale del 1855.

Attratti dallo studio della luce e dei suoi mutamenti, i pittori impressionisti sono istintivamente affascinati dall’acqua dei fiumi e del mare: Manet resta fedele alle coste del Nord della Francia dipingendo nel 1869 una serie di marine dalla finestra. La luna avvolta nella foschia che domina il ritorno dalla pesca in piena notte dà alla scena un aspetto drammatico e misterioso. Renoir, Sisley e Caillebotte, ciascuno alla ricerca del proprio stile e gli anni tra il 1872 e il 1878 vedono il fiorire dell’impressionismo. La Senna, le barche a vela e gli infiniti riflessi dell’acqua sono i soggetti prediletti dagli artisti. Poi e la volta dei fiori, tra mazzi e bouquet, tavolozze ricche e variopinte; e poi ancora le tavole ispirate alla Spagna e al suo folklore.

Si torna a Parigi: Manet frequenta il Café Tortoni, il Café Guerbois, La Nouvelle Athènes ed è proprio in un caffè-concerto, un locale molto alla moda, che Degas e Manet scoprono i soggetti più interessanti, cui lavoreranno con spirito assai differente: graffiante in un caso, vivace e minuzioso nell’altro. Caffè e brasserie sono tra i pochi luoghi in cui si mescolano ancora i diversi gruppi sociali, e Manet mostra uno spiccato interesse per l’umanità: per il popolino come per l’alta borghesia, cogliendo l’occasione per raffigurare fianco a fianco il borghese e l’operaio, ciascuno isolato nel proprio mondo, mentre gustano un boccale di birra in un’atmosfera venata di malinconia.

È il 1861, quando Garnier vince il concorso per l’Opéra, e ancora non sa che il suo teatro diventerà punto di riferimento non solo in tutta la Francia, ma anche all’estero. Concerti, serate da ballo e balletti sono i temi che affascinano maggiormente Manet e i suoi contemporanei: offrono uno spaccato eccellente della mondanità parigina, al suo massimo durante il Secondo Impero. A chiosa: la donna, che sia in bianco o in nero, innocente o misteriosa, candida o intrigante, resta protagonista delle tele degli impressionisti (così come degli artisti di tutti i tempi).

Promossa e prodotta dal Comune di Milano-Cultura, Palazzo Reale e MondoMostre Skira, la grande esposizione è curata da Guy Cogeval, storico presidente del Musée d’Orsay e dell’Orangerie di Parigi con le due curatrici del Museo Caroline Mathieu, curatore generale onorario e Isolde Pludermacher, curatrice del dipartimento di pittura.

A Milano la primavera è arrivata, se non vi è sufficiente prendetevi un’ora per perdervi nella sale di Palazzo Reale e respirare un po’ d’aria parigina. Migliorerà la giornata!

Manet e la Parigi moderna fino al 2 luglio 2017. Milano, Palazzo Reale, Piazza Duomo 12 orari: martedì, mercoledì, venerdì e domenica 9,30 -19,30 / giovedì e sabato 9.30 – 22.30 / lunedì 14,30 -19,30 / Ultimo ingresso un’ora prima della chiusura Biglietti (audioguida inclusa): € 12 / 10 / 8 / 6.

CHARLOTTE SALOMON. VITA? O TEATRO?

Charlotte Salomon è una donna cui la vita sembrerebbe aver regalato poco: giovane ebrea berlinese ha una vita segnata non solo dagli orrori della seconda guerra mondiale, ma anche da una forte sensibilità familiare che porta a lutti e dolori.

La giovane Charlotte frequenta, unica allieva ebrea ammessa, l’Accademia di Belle Arti di Berlino tra il ’35 e il ’38 ma nel 1939 è costretta a lasciare la Germania per rifugiarsi dai nonni materni a Villefranche-sur-Mer, vicino Nizza.

Qui, nel 1940, a seguito del suicidio della nonna, scopre che anche la madre e la giovane zia, di cui aveva preso il nome, erano morte suicide. La terribile rivelazione, insieme alla drammaticità degli eventi che gravavano sulla sua sorte di perseguitata e profuga, la spinge a concepire e realizzare la sua grande opera autobiografica Leben? oder Theater? [vita o teatro?].

È un lungo racconto pittorico integrato da dialoghi teatrali, intersezioni letterarie e indicazioni musicali che si compone di 1325 documenti tra tempere, veline, annotazioni, varianti pittoriche e altre prove, con una scelta di quasi 800 tempere selezionate dall’autrice quali immagini del racconto definitivo. Ultimato da pochi mesi l’immenso lavoro, a fine settembre 1943 Charlotte, incinta di alcuni mesi, viene arrestata dalla Gestapo e condotta ad Auschwitz dal quale non farà mai ritorno.

Ma la sua opera è sopravvissuta. Affidata prima dell’arresto al medico di Villefranche-sur-Mer, pervenne in America alla dedicataria Ottilie Moore, che dopo la guerra la donò al padre, fortunosamente sopravvissuto alla guerra e allo sterminio degli ebrei con la fuga in Olanda. I familiari di Charlotte decisero di affidare Vita? o Teatro? dapprima al Rijksmuseum di Amsterdam, sino a quando nel 1971 l’opera passò al nuovo Jewish Historical Museum della stessa città, dove è tuttora conservata dalla Fondazione Charlotte Salomon.

La mostra a cura di Bruno Pedretti è promossa e prodotta dal Comune di Milano – Cultura, Palazzo Reale e Civita Mostre, in collaborazione con il Jewish Historical Museum di Amsterdam. Nelle Sale al piano terra di Palazzo Reale, l’esposizione presenta circa 270 tempere, insieme a decine di fotografie storiche che illustrano la vita di Charlotte e gli avvenimenti del suo contesto.

In parallelo, scene rappresentate nel suo poema autobiografico e un filmato introducono il visitatore nel mondo dell’autrice. La vita di Charlotte prende forma in tre sezioni, l’infanzia, l’adolescenza e la vita da profuga in Francia, dopo l’abbandono di Berlino nel 1939, in cui la sua pittura si fa via via più frenetica e vorticosa, inglobando interventi scritti in forma di dialogo o narrazione.

Charlotte Salomon è una donna cui la vita sembrerebbe aver regalato poco, o forse no: ha ricevuto un grande dono che consiste nella capacità di raccontare l’orrore che ha vissuto usando tratti e colori che liberano (per quanto possibile) dal dolore.

Charlotte Salomon. Vita? o Teatro? fino al 25 giugno 2017. Milano, Palazzo Reale, Piazza Duomo 14. Orari: lunedì 14.30-19.30, martedì, mercoledì, venerdì e domenica 9.30-19.30 giovedì e sabato: 9.30-22.30. Ingesso: intero 10 €, ridotto 8,50 €.

questa rubrica è a cura di Benedetta Marchesi

rubriche@arcipelagomilano.org


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