31 maggio 2017

musica – BACH NELLA “SUA” CHIESA MILANESE


A Milano, forse non tutti lo sanno, c’è una bella Chiesa Cristiana Protestante, in via Marco de Marchi – con la facciata ruotata di 90° rispetto alla strada, perché inizialmente la si voleva affacciata sulla via Montebello -, immersa in un bel fazzoletto di verde che sull’angolo delle due strade mostra un altissimo e lussureggiante pino.

musica20FBÈ discreta, come si addice a un emblema della grande riforma luterana che quest’anno compie 500 anni. Era infatti il 31 ottobre del 1517 il giorno in cui il monaco agostiniano Martin Lutero affisse, alla porta della chiesa che fiancheggia il castello nel delizioso villaggio di Wittenberg, le sue 95 tesi contro lo scandalo delle indulgenze e sui problemi della penitenza, del peccato e della grazia. E Johann Sebastian Bach, come si sa, assumendo duecento anni dopo l’incarico di “Kantor” [maestro di cappella e didatta di musica ecclesiastica] della città di Lipsia, divenne per antonomasia, a torto o a ragione, il “cantore” (mi scuso per il bisticcio di parole) del protestantesimo.

Ecco perché ascoltare domenica sera, nel bel mezzo di quest’anno speciale e nella chiesa protestante di Milano, il concerto della Mailänder Kantorei che ha eseguito la Messa in sol maggiore e la cantata Sie werden euch in den Bann tun [essi saranno estromessi] di Bach è stato molto di più che partecipare a un bel concerto, è stata una immersione, totale e feconda di pensieri e di suggestioni, nel cuore più profondo della cultura germanica.

La Mailänder Kantorei (letteralmente la Cantoria milanese), fondata negli anni ’60 nella stessa chiesa protestante in cui tutt’ora risiede, è composta da circa cinquanta elementi e ha un proprio ensemble strumentale a sua volta composto da otto musicisti (due violini, una viola, un violoncello e un contrabbasso, oltre a due oboiste e a un organista).

L’altra sera i solisti per la Cantata e la Messa erano la soprano Cristina Fanelli, la contralto Elena Biscuola, il tenore Alessio Tosi e il basso Guglielmo Buonsanti. Concertatore e direttore di tutto questo imponente organico era Davide Pozzi, docente di organo e di tastiere antiche, che da poco più di un anno ha assunto il ruolo di direttore stabile della Kantorei succedendo a Ruben Jais e a Luca Dellacasa.

Fra la Cantata e la Messa l’organista Matteo Riboldi ha eseguito, sul grande organo della chiesa, il Preludio in mi minore per solo organo di Nicolaus Bruhns – un musicista di vent’anni più vecchio di Bach che fu allievo prediletto di Dietrich Buxtehude e che morì a poco più di trent’anni – che secondo Carl Philipp Emanuel Bach fu uno dei compositori più amati dal padre Johann Sebastian (testimoniandolo in una lettera al musicologo Forkel che preparava la prima biografia del Kantor pubblicata nel 1802).

La Messa in sol maggiore per soli, coro e orchestra, la BWV 236, è una delle quattro cosiddette messe “brevi” o “luterane” perché composte dai soli Kyrie e Gloria, unici complementi musicali che si usavano all’epoca per accompagnare le messe nel rito protestante. Bach scrisse una decina di messe complete (ma sull’elenco delle opere di Johann Sebastian bisogna camminare con i piedi di piombo, poiché ne esistono troppe versioni e revisioni) e fra queste la più celebre è quella in si minore stranamente scritta in latino per il rito cattolico.

Sulla religiosità di Bach si sono misurate le migliori intelligenze del mondo musicale, e non sempre in buona fede. Credo che il povero Kantor sia stato strattonato da tutte le parti e che ancora adesso sia molto difficile dare una risposta chiara e obiettiva sulle sue reali attitudini e intenzioni religiose. Di certo si conosce la grandissima predilezione ch’egli dimostrava per le proprie opere “profane” o “civili” (come i Concerti, le Suite, il Clavicembalo ben Temperato, l’Offerta Musicale, le Variazioni Goldberg, etc.) rispetto alla sua produzione cosiddetta “sacra” che, come si sa, era molto spesso il prodotto di un sapiente “copia e incolla” di parti utilizzate in opere precedenti.

Ma si sa anche che, nonostante fosse radicato nella fede protestante, sia nelle Passioni secondo Matteo e secondo Giovanni, sia nella cattolica Messa in si minore, Bach ha ampiamente dimostrato una universalità molto al di sopra di confessioni e liturgie.

Concerto dunque di grandissima presa simbolica e morale, che ha fatto passare in subordine l’interpretazione e l’esecuzione non proprio all’altezza delle circostanze. Ma anche questo, in fondo, fa parte del “clima” tipico della profonda provincia tedesca in cui la musica non è prodotto di élite destinato a élites, ma al contrario – come ci ha recentemente ricordato anche Wagner alla Scala con i suoi Maestri Cantori di Norimberga – è frutto di una cultura diffusa e popolare; è la musica tradizionalmente insegnata e praticata a tutti i livelli della società, contadina o urbana che sia, da utilizzare per cantare e suonare insieme, per divertirsi sull’aia o per inneggiare al proprio dio, comunque per dare senso identitario alla comunità.

Paolo Viola

questa rubrica è a cura di Paolo Viola

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