27 aprile 2017

RIAPRIRE I NAVIGLI? FATECI CAPIRE, PER FAVORE

Alcune domande su costi, benefici e priorità per Milano


Sulle pagine milanesi di Repubblica on line, campeggia la domanda “Riaprire i Navigli, vi piace l’idea?”. Seguono, per chi vuole, i risultati: per il SÌ, sono registrati 6.879 voti (89%), per il NO 770 voti (10%), mentre il NON SA ne ottiene 85 (1%). Personalmente voterei un bel NON SA, e non perché non abbia un’opinione in merito, ma perché riconosco che non è corredata da un’adeguata conoscenza dei fatti e soprattutto da un adeguato confronto. Del resto, il quesito di Repubblica sembra preconfezionato per dare al SÌ una splendida, in quanto inconsapevole, maggioranza.

07ucciero15FBCosa vuol dire “Riaprire i Navigli, vi piace l’idea?” se non sventolare sotto il naso del pubblico un sogno a occhi aperti? Come se qualcuno vi dicesse “Ti piacerebbe cenare al migliore ristorante di Milano?”, oppure “Non sarebbe bello mollare tutto e fuggire in Polinesia?”. Certo che ci piacerebbe e diremmo subito di sì, se un istante dopo non ci mordesse la scomoda domanda “Scusi, chi paga” e poi in rapida successione “come la metto con il lavoro?” oppure “Ma è proprio la cosa più indispensabile?”, per finire con i dettagli “Se sto male in Polinesia come mi curo e quanto mi costa l’assicurazione ?”. Così interrotto il bel sogno a occhi aperti, si torna a guardare la realtà con attenzione e a porsi alcune essenziali domande.

Domanda A: Quanto costa? – Al momento una quantificazione precisa dell’onere economico non esiste, mentre esistono previsioni generiche nell’ordine di 400 milioni di euro, a salire. Gradiremmo, per non svegliarci in un incubo reale da quello che credevamo un sogno a occhi aperti, di conoscere con la dovuta precisione a quanto ammonti l’opera e, per favore, niente scherzi: lasciamoci alle spalle la pratica malandrina della sottovalutazione iniziale, cui fa seguito, all’italiana, l’emergere di extra costi vertiginosi.

Domanda B: Quale beneficio? – Un investimento di questa portata deve necessariamente porsi di fronte alla necessaria qualificazione e quantificazione del beneficio (eventuale) derivante dalla spesa. La città diviene più bella e più vivibile, per chi? Milano diviene più attrattiva, per chi? Quali ritorni economici sono realisticamente attesi?

Dice Repubblica dell’11 giugno 2016 “hanno calcolato gli esperti, per Milano ci sarebbe un beneficio – ambientale, turistico, commerciale, di valorizzazione degli immobili – di 800 milioni”. Mah, sarebbe interessante esaminare da vicino questi calcoli, di cui peraltro non sfugge intanto una cosa essenziale: investimento pubblico per 400 milioni e ritorno privato per 800, specie in forma di incremento dei valori immobiliari dei residenti lungo le sponde. Cui prodest?

Domanda C: Quali controindicazioni ? – Qualsiasi opera, specie di queste dimensioni, porta con sé numerose problematiche e criticità, dall’impatto sul traffico a quello dei lavori stessi sulle comunità commerciali e civili coinvolte. Molto rilevantero sarebbero poi gli effetti sul carattere storico ormai comunque assunto dai luoghi e sul sistema di relazioni a questi connesse. Possiamo analizzare e considerare, tra i costi, anche questi?

Domanda D: Chi paga ? – Ammetterete che questa è la “madre di tutte le domande”. Paghiamo noi contribuenti o ci sono anche investitori privati, vista anche la redditività proclamata? E in quali quote? Se la spesa è realizzata con soldi pubblici, ciascun cittadino contributore dovrebbe chiedersi se il gioco vale la candela, se oltre 400 milioni di euro sono il prezzo giusto per avere cosa: 400 milioni diviso 1.300.000 abitanti circa fa 307,69 euro a testa, che per un nucleo di 4 persone fa oltre 1.200 euro a famiglia. Son calcoli della serva, d’accordo, ma tanto più reali di altri. Se devo pagare 1.200 euro, a salire, per una grande opera, la prima domanda che mi faccio, da buon padre di famiglia, è se questa spesa è davvero utile, molto utile, addirittura indispensabile.

Domanda E: È la priorità per Milano? – In effetti, la preoccupazione che subito angustierebbe il buon cittadino è se la “riapertura dei Navigli” sia la grande opera più importante per migliorare la condizione dei milanesi e la propria. Il tracciato attualmente previsto partirebbe da “Cassina dè Pomm per riaffiorare sotto i grattacieli di Porta Nuova e correre lungo via Melchiorre Gioia, San Marco, Fatebenefratelli, Visconti di Modrone, Molino delle Armi, De Amicis, per giungere alla Darsena”. Si concentra, dunque, nelle zone centrali della città, già frequentatissime e in crisi da “iper-gentrificazione” (eccessivo afflusso di visitatori che svuota i contesti urbani dei loro originari caratteri attrattivi).

Ammesso che l’opera sarà bella e utile, siamo sicuri che altre opere in altri contesti urbani non lo siano in pari o maggior misura e con minori costi? Deve essere ricordato che la condizione delle periferie potrebbe ricevere da un investimento di pari entità un enorme beneficio, sociale, civile, urbanistico, per non dire anche economico. Cosa significherebbe ad esempio aggiungere agli attuali 360 milioni del Piano quinquennale per le Periferie, altri 400 milioni? Siamo sicuri davvero che non avrebbe maggior effetti e benefici? Oppure, quale effetto moltiplicatore potrebbe generare una spesa di 400 milioni in supporto del grande progetto di riordino degli ex Scali Ferroviari?

Non desidero farla troppo lunga, anche perché non desidero tanto formulare ipotesi o proposte, ma piuttosto alcuni interrogativi e una pressante esortazione: fare di “Riaprire i Navigli” l’occasione di un effettivo momento di estesa e informata partecipazione pubblica. Si coinvolgono così le associazioni, i portatori di interesse, i singoli cittadini, le istituzioni e le imprese, e soprattutto coinvolgiamo quanti si trovano al margine se non fuori dal circuito del dibattito pubblico milanese.

Quella forma un po’ ristretta di partecipazione che, mentre gratifica e autogratifica la buona borghesia progressista del centro, allontana e ghettizza sempre di più gli abitanti delle periferie milanesi. Riaprire i Navigli, non è questione di Municipio 1, ma di tutti e 9, e della stessa Città Metropolitana.

Il Sindaco si è impegnato a corredare il prossimo quesito referendario sui Navigli con una preventiva e adeguata campagna di informazione: ne siamo felici, tanto più se il Comune, piuttosto che intestarsi la classica Campagna di Comunicazione, predeterminata negli esiti e unidirezionale nei processi, garantirà a tutte le voci nel farsi sentire e a tutti gli interessi in causa di farsi valere, offrendo, con i numeri e le informazioni, anche strutture e strumenti per comunicare dubbi e controproposte.

Qualità, quantità e durata, del dibattito pubblico saranno essenziali per consentire alla cittadinanza un voto efficace perché informato, a conclusione di un processo effettivamente partecipato: troppo spesso ormai i dibattiti pubblici si riducono a una rituale e stanca conta dei voti (o dei click) di comunità sempre meno effettivamente partecipi.
Giuseppe Ucciero



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